In nome della Verità: Don Peppino Diana

Torna “In nome della Verità”, e torna con la storia di un prete che, a cuore aperto e a mani giunte, spaventò la mafia.

Quella di Don Peppino Diana è una storia particolare. Una storia che, parafrasando non testualmente Saviano, rimane impressa, e che una volta assunta all’interno del proprio organismo, non può non essere condivisa. Noi la condividiamo qui, perché crediamo che raccontare di eroi come Falcone e Borsellino, di uomini come Giuseppe Diana, sia l’unico modo. Loro sono morti per noi, noi parleremo sempre di loro. Sempre. Ma, oggi, per parlare di quel giovane prete che impaurì la mafia, è necessario fare un passo indietro.

Un passo indietro datato 1968: è l’anno in cui Peppe Diana entra in seminario a Casal di Principe, sua città natale, dove frequentò le scuole medie e il Liceo Classico. Dopo essersi laureato in teologia biblica e filosofia, Peppino nell’ ’89 diventa parroco. Da prete, il giovane Diana, non si nascose. Iniziò, primo fra tutti a farlo, a rifiutare la cristianità degli uomini di mafia; inizio, fra i primissimi a farlo, a parlare del lato manageriale della camorra, definita “imprenditrice”. Le sue omelie colpirono al cuore i fedeli e iniziarono a colpire anche i camorristi. Il suo scritto più conosciuto è “Per amore del mio popolo non tacerò”, datato 1991: ” A me non importa sapere chi è Dio, a me importa sapere da che parte sta. Avere una parte, essere in grado di capire ancora che natura ha un paese, in che condizioni si trova, come avvicinarlo con uno sguardo che voglia vedere, vedere per capire, per comprendere e per raccontare. Prima che sia troppo tardi, prima che tutto torni ad essere considerato normale e fisiologico, prima che non ci si accorga più di niente…” Scrisse poi agli uomini di camorra, alle famiglie, e ai giovani: agli uomini di camorra: “Ritrovate la vostra vera dignità di uomini, creati ad immagine di Dio, fatti per il bene. Ripudiate ogni forma di violenza. Con Cristo vi diciamo: «Convertitevi e credete al Vangelo» (Me, 1,15). Sappiate scrivere i vostri no­mi nel libro della vita e non in quello della morte”; alle famiglie: “Siate autentiche comunità educatrici ai veri valori della vita e della so­cietà. Amatevi e siate scuola di amore, di accoglienza, di perdono, di dialogo e di rispetto. Educate i figli alla sensibilità verso i più deboli, verso gli an­ziani e i sofferenti; educateli alla verità, alla giustizia, alla generosità. Siate vere «chiese domestiche», in cui Cristo sia sempre presente come «via, verità e vita» (cfr. Gv, 14, 6)”; ai giovani: “voi siete esposti alla tentazione della violenza e del facile benessere in una società che spesso vi offre soltanto esempi di violenza e di idolatria del benessere. Ma avete anche grandi risorse di generosità e di amore. La vita è un grande dono che ha vissuto nella fede e nell’amore. Sappiate amare i grandi ideali che costituiscono una vera storia dell’uomo, di ogni uomo, la sua grandezza e felicità. Con coraggio e lealtà, come è proprio della vostra età.” 

Parole forti, parole che spaventarono troppo i camorristi. Parole che li spaventarono a morte. È il suo anniversario, ed è il ’94. Sono le 7.30. Cinque proiettili lo uccidono sul colpo.

Citiamo qui Gomorra, capolavoro di Roberto Saviano: “Chi è don Peppino?” “Sono io”… L’ultima risposta. 5 colpi che rimbombarono nelle navate, 2 pallottole lo colpirono al volto, le altre bucarono la testa, il collo e una mano. Avevano mirato alla faccia, i colpi l’avevano morso da vicino. 1 pallottola gli aveva falciato il mazzo di chiavi agganciato ai pantaloni. Don Peppino si stava preparando a celebrare la messa. Aveva 36 anni…”

E questa è la storia del prete che impaurì la mafia. Una storia toccante, una scuola da raccontare, una storia da non dimenticare.

In nome della Verità.

Bottega di idee

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