Speciale temi di vita/2: di punto in parola

Per chi non l’avesse letta, sappiate che leggere ciò che segue senza fargli precedere questa lettura rasenta l’impossibile. Perciò leggete, leggete lo “Speciali temi di vita/1” e leggete questo. Leggete, notate, espandete. Perché qui, oggi, su Bottega di idee, c’è un passaggio. Una tematica civile messa in poesia. Un passaggio fondamentale, una transizione netta e ben definita. Una transizione, un passaggio. Di punto in parola.

Un anno di cure, gli avevano detto. Un anno di cure, aveva accettato. E così, sospinto dal dolce soffio della sua anima, si fece trainare da quel treno che ormai sembrava perduto. Il treno della vita. La sua dimensione era quasi ascetica, desolante. Era solo, con i suoi cari, a inseguire un sogno infranto. Voleva vivere, prima. Non poteva. Voleva morire, dopo. Non poteva. Lo stato, la legge, la burocrazia, chiamatela come volete. Di un uomo si dice che sia libero  quando ha la possibilità di scegliere. Ebbene, lui non poteva. La facoltà basica, fondante, che connota l’uomo in quanto a libertà, prima; umanità, poi; vita, infine, gli era stata negata. Non potendo vivere, non poteva morire. E viceversa. Così, mentre il mondo esterno – dai medici ai parenti – lo sottoponeva a cure, più o meno sperimentali, anche lui provò a darsi pace, a ricercare in se stesso ciò che nella vita non trovava più. Si dedicò alle religioni. Da fermo, sdraiato, paralizzato, terribilmente dipendente da quei cavi che lo collegavano alla macchina che lo teneva in vita, indagò se stesso e gli altri, il caos e l’ordine, la teologia e i dogmi. Al settimo mese di cure, il 23 novembre 1999, disse, disperato, alla madre: “Ho perso tutto, ma almeno ho trovato Dio”. Due mesi dopo, verso la terza decade di Gennaio del millennio appena nato, lo andò a trovare l’ex fidanzata, quella che lo lasciò come qui testimoniato con un messaggio non proprio felice: “Non potevo rischiare di perdere la mia vita per te.” Ciò che Tiziano probabilmente non aveva notato di primo acchito era il tempo usato dalla sua ragazza: imperfetto, con concezione passata. “Non potevo“, aveva scritto. E, 9 mesi dopo, si capì perché “non poteva“. Era diventata madre. Pochi giorni prima dell’incidente subito da Tiziano, la sua ragazza l’aveva tradito. O forse lo tradiva da molto tempo. Poi è rimasta incinta, e l’incidente è stato solo l’escamotage, la scusa, per cui lasciarlo. Ma la ragazza lo andò a trovare, dicevamo. Si inginocchiò a fianco del letto, e sfiorò quel corpo paralizzato, fermo, per sempre. Si sentiva colpevole. Ora era madre, una donna a tutti gli effetti. Ma l’aveva tradito. In quel momento, quando Tiziano aprì di poco le labbra per parlare, quel Dio che aveva scoperto durante la malattia, intervenne. Dalle sua labbra uscì una voce angelica, dorata, viva. Ma fu solo un’illusione, purtroppo. Fu solo un attimo. Riuscì a pronunciare un “ti amo” con voce piena, giovane, come quella di un tempo, di un passato ormai remoto, lontano, perso. E poi quella stessa voce si spense. Le sue labbra sembravano contrarsi, le sue dite iniziarono a fremere. Ebbe uno scossone, tremò tutto, sebbene da mesi fosse paralizzato. Durò un attimo, qualche secondo, poi si spense, di nuovo. Il corpo tornò fermo, la sua voce flebile, e la mano dell’ormai madre – la sua ex ragazza – allentò per un secondo la presa. Dio, ciò che prese, se lo rimangiò: gli aveva donato la vita per qualche istante, gli portò via la vista per sempre. Di colpo, con cause tuttora ignote ai medici, Tiziano perse la vista. Ceco, paralizzato, aggrappato a una macchina che lo teneva in vita, Tiziano smise di cercare il senso a quella vita, e semplicemente rinunciò a vivere. Non ne poteva più, voleva morire. L’anno di cure promessogli dalla moglie, dopo tre mesi, passò. Nulla era mutato, così Tiziano decise di farla finita. In Italia non poteva? Se ne sarebbe andato. A quel punto chiamò il suo amico Carlo e gli chiese di portarlo “da qualche parte”. Sì, disse proprio così: “Portami da qualche parte, basta che tutto questo finisca”. Carlo gli rispose che non gli rimaneva che la Thailandia: era famoso per essere un paese in cui la pratica della cosicchiamata eutanasia fosse legale e consentita anche agli stranieri. E così fu. Sommando i suoi ultimi averi a una colletta tra amici e parenti, riuscì a pagare il viaggio in Thailandia, dove venne seguito dall’amico – Carlo – e dalla madre. Il 27 aprile del 2000, un anno e quattro giorno il primo giorno di “detenzione ospedaliera”, come gli piaceva chiamarla, Carlo chiese a Tiziano, con le lacrime agli occhi, se volesse davvero morire. “Sì, non ce la faccio più”, disse con voce calma, anche se flebile. Così, Tiziano morì. Ma il caso non si fermò qui. Il caso di Tiziano destò grande clamore in Italia, e finalmente si arrivò ad una legge. Certo, 20 anni dopo, ma ci si arrivò. Il 27 Gennaio 2020 venne approvato il famoso “ddl Libertà”, che dava la possibilità a tutti di poter scegliere, fino all’ultimo giorno, se vivere o morire. Come tutti. Perché “libertà è partecipazione”, disse Gaber. Ma se la partecipazione – in questo caso alla vita – non c’è, allora l’umano, in quel caso, non può definirsi libero. E se non siamo liberi, non ci resta che annegare.

Annegare nel mare profondo, nel mare dentro che ognuno di noi ha, annegare nella libertà negata da una vita inspiegabile. Annegare nel mare profondo, per poi poter respirare. Forse in un’altra forma, da un’altro pianeta, o forse ancora dal Paradiso, dal mare o dalle stelle, ma di sicuro, da qualche parte, Tiziano starà respirando.

Annegare nel mare profondo per poi poter respirare. Perché il respiro non è solo qui e ora. Il respiro è anche adesso. E, adesso, Tiziano starà respirando.

Bottega di idee

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