Invito all’Oriente

Bentornati alla rubrica più zen del sito, che oggi incrocerà varie tematiche – dalla psicoanalisi all’istruzione, dalla poesia alla musica – per poi riunire i fili e tesserli come il nostro, ormai consueto, “Invito all’Oriente”.

“Il linguaggio opera interamente nell’ambiguità, e la maggior parte del tempo non sapete assolutamente nulla di ciò che dite.”, sentenzia Jacques Lacan. In attesa di scoprire se il ‘logificatore’ – come qualcuno lo chiamò – del discorso freudiano abbia veramente ragione, potremmo segnarci tale citazione come riflessione utile a parlare del linguaggio. Del maestro linguaggio che ci guida e che ci fa perdere all’interno del mondo in cui veniamo gettati. Di quell’entità a tratti sovrannaturale che ci domina e che ci possiede, costringendoci a esprimerci con parole, di cui, secondo Lacan, non sappiamo assolutamente nulla. Per quanto agghiacciante, questa riflessione non può che condurci in un’altra direzione: se è vero che spesso non sappiamo nulla di ciò che diciamo, è conseguentemente vero che tutti i costrutti e i concetti che noi esponiamo gli altri, in realtà, non sono conosciuti nemmeno da noi stessi. Ciò significa che tutto ciò che pensiamo, riteniamo corretto, e mostriamo agli altri, in realtà dipende solo e soltanto dall’ambiguità di questa misteriosa dimensione. Proseguendo sulla filosofica – e utopica – convinzione di procedere secondo logica, è allora ovvio che tutte le convinzioni che ci vengono inculcate sin da piccoli (a cui, seppur con enormi lacune, prova a opporsi l’homeschooling), siano in realtà erronee sin dall’inizio, e che la testa ben piena degli scolari di tutto il mondo sia, appunto, solamente piena. Piena, ripetiamo, non ben costruita. Che, quindi, il nostro sistema di istruzione, basato sui concetti e non sulle idee, sulla ripetitività e non sulla creatività, sia efficace e utile, è tutt’altro che scontato. Anzi, questo stesso sistema è spesso erroneo. E per dimostrarlo ci basta la poesia: a due haiku di Matsuo Basho, come Nobiltà di colui che non deduce dai lampi la vanità delle cose” Prendiamo il sentiero paludoso per arrivare alle nuvole”cosa si può appuntare, se non la loro perfezione? A un meraviglioso, e tutto italiano, “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, cosa si può preferire? Alla potenza del breve, del piccolo, del minuto, cosa può corrispondere? Si potrà mai scrivere un articolo giuridico più bello del breve e semplice “L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro.”? Se, dunque, la sintesi è l’arte dello stupire, e la semplicità il più ardito concetto di complessità, come è possibile, ancor oggi, preferire un sistema di istruzione che preferisce uno studente che ha ben studiato rispetto a uno che ha ben rielaborato? Albert Einstein, non esattamente il primo venuto, lo disse chiaro e forte: “Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la vita a credersi stupido.” L’istruzione è oggi dunque erronea sin dalla nascita, poiché richiede a tutti la stessa prestazione, come spiega egregiamente questo video che Bottega di idee vi invita a vedere. Ma per evitare di trasformare il nostro appuntamento con l’Oriente in una polemica – fuori luogo e, francamente, anche troppo semplice da fare – contro il sistema d’istruzione in Occidente, riuniamo quei fili che vi sono stati presentati nell’introduzione di quest’articolo. E lo facciamo seguendo quell’argomento annunciato e non ancora, sin qui, esplorato: la musica. Questa meravigliosa dimensione che tutti unisce e che, sin dal giorno in cui questo mondo nacque, ci lega. Tutti gli esseri, umani e non, producono suoni, che a loro volta non possono che creare musica. Musica che si ha con la nascita di un bambino e il pianto che ne consegue, musica che si percepisce nelle notti primaverili, quando flebili gocce di pioggia vanno a impattare con le strade cittadine, creando quel ripetitivo e meraviglioso suono che altro non è che musica. Musica che viene prodotte  dalle campane tibetane che vi abbiamo già invitato ad ascoltare. Musica che da sempre riunisce e rappresenta popoli, che abbatte muri, che invita all’accoglienza. Musica che adesso, in quella parte del mondo dove il Sole nasce – sarà un caso che lì nasce e da noi, occidentali, muore? -, staranno ascoltando.

Perché lì, dove il Sole nasce, adesso ci sarà qualcuno a gambe incrociate, con gli occhi chiusi, a sentire suoni di campane tibetane che si uniscono a goccioline di rugiada.
Perché lì, dove il Sole nasce, adesso ci sarà qualcuno che starà pregando per la felicità di tutti, e non solo propria.
Perché lì, dove il Sole nasce, adesso ci sarà qualcuno che starà pensando a come sarebbe bello se ciascuno di noi pensasse più al noi che all’io.
Perché lì, dove il Sole nasce, da noi starà tramontando.

Bottega di idee

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