Lettera alla mancanza: la risposta della mancanza

Dopo l’avvio della nostra nuova rubrica, come promesso, la mancanza “risponde” a Sophie, con richiami filosofici, riferimenti attuali, e tutto il romanticismo che solo quelle lettere vergate a mano – come quella dell’immagine – possono evocare.

Cara Sophie,
nel risponderti non posso far altro che ricordarmi di quella volta che il mio amico Dolore mi raccontò una favoletta, che ora mi accingo a ripeterti.
C’era una volta una barca, colma di persone che tra loro non si conoscevano. Questa barca era guidata dal solo vento, e seguiva la direzione che questi le faceva intraprendere. All’interno di questa barca, il cui viaggio, naturalmente, era di durata sconosciuta, le persone ebbero modo di conoscersi, di parlarsi, di fare conoscenza. Stabilite le convenzionali, e a mio avviso noiose, ripartizioni tra simpatie e antipatie, si crearono delle prime coppie di persone: migliori amici, rivali, fidanzati…
“Io – mi disse il Dolore – attendevo solo la tua – della mancanza, n.d.r. – azione”, e io, infatti, agii. Mi divertii, ieri come allora, a scomporre – e non, come dici tu, “scombussolare” – i rapporti dalle loro fondamenta. Provai a segnalare agli innamorati l’esistenza di altro oltre all’oggetto del loro amore; ai migliori amici i difetti dell’altro; ai rivali, invece, segnalai l’esistenza di pregi nel soggetto del loro odio. Così facendo, compio con molta gioia ciò che tu disprezzi: faccio nascere dubbi, gelosie e pazzie, poiché ritengo che essi siano estremamente utili.
Comunque, tornando alla favoletta: una volta giunta la mia azione, come promesso, il mio amico Dolore agì con solerzia, riuscendo a scavalcare le barriere della Felicità e riuscendo finalmente nel suo intento. Ciò che però tu, cara Sophie, ignori del tutto è l’intenzione: tu lamenti la mia azione, parli del vuoto che io scavo, dei rimorsi di cui riempio le persone, della via errata su cui porto chi cede a me, dei pensieri che faccio mutare in ossessioni. E tu, anche comprensibilmente, ti arrabbi, mi odi, mi accusi di far affondare e impedire di risalire chi mi segue. E asserisci, con sprezzante rabbia ma anche con odiosa sicurezza, che riuscirai a rialzarti e a resistere alle intemperie del mio uragano. Quel che ti sfugge, e scusa se mi ripeto, è però l’intenzione. Tutto ciò che tu dici, in effetti, è vero. Ma, nella favoletta come in questa mia risposta, quel che rende onorevole il nostro – nella favoletta quello del dolore, qui quella della mancanza, n.d.r. – operato è l’intenzione: io non intendo uccidere, chiudere, spezzare, bensì ferire, scomporre, ricucire.
La favoletta ha tre conclusioni differenti: in seguito all’azione mia e del Dolore, i rivali rimasero tali, i migliori amici divennero semplici conoscenti, e gli innamorati si sposarono nell’isola dove la barca, sospinta dal vento, si fermò.

Quello che questo semplice racconto deve farti intendere è che lì il Dolore come qui io, non abbiamo alcuna intenzione di far mutare il tuo presente, ma di declinarlo. Se gli innamorati riescono a resistere alle intemperie del mio uragano è certo che riescano a convivere e che, per usare un’espressione tanto commerciale quanto esplicativa, siano “fatti l’uno per l’altro”; se i migliori amici, in seguito al mio operato, rimangono tali è scontato che lo possano essere per sempre; se i rivali, anche dopo gli scombussolamenti da me provocati, continuano a rivaleggiare tra loro è ovvio che non abbiano niente in comune.

E poi, spiegami, cara Sophie: ti lamenti con me di scombussolare il tuo presente quando la Felicità o l’Amore possono completamente offuscare il tuo sguardo, facendoti illudere di un benessere in realtà solo passeggero?
Senza l’operato della Felicità o dell’Amore la tua vita sarebbe forse infelice, ma senza il mio e quello del Dolore sarebbe priva di certezze.
Cosa preferisci?

Spero tu mi risponda al più presto,

la – tua – Mancanza.

Bottega di idee

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