Dopo quasi due mesi di assenza, bentornati all’unica rubrica che oggi ha talmente tanti contenuti da non aver bisogno di introduzioni.
- Un giorno, e caso volle che quel giorno fosse il 21 di Dicembre dell’anno 2016, un giornale, e per la precisione quel giornale era l’unico ancora degno di tale nome, e cioè Il Fatto Quotidiano, titoli “Tre uomini imbarazzano il Pd: Poletti, Sala e il padre di Renzi”. Ora, precisando che sul boaro scaccia-giovani e sul destromane più a destra di Parisi non avevamo dubbi, va specificato che su Tiziano – il padre di Matteo, ndr – scrive Marco Lillo, a pagina 11. Il quale Marco Lillo, il giorno seguente, scrive una notizia già nota e non invece segreta, e cioè che Tullio Del Sette, comandante dell’Arma, fosse indagato per “favoreggiamento e rivelazione di segreti ai vertici Consip”. Alla notizia, clamorosa e di noto interesse pubblico, viene naturalmente la prima pagina del Fatto: “La soffiata, gli appalti e papà Renzi. Indagato il comandato dell’Arma”. Ora, non ripetendo la storia già riportata da noi il 23 dicembre – molto prima dei giornaloni -, ricordiamo solo che nel Consip affaire sono indagati, a vario titolo: Tullio Del Sette, comandante dell’Arma; Tiziano Renzi, padre di Matteo; Filippo Vannoni, presidente di Publiacqua; Luca Lotti, braccio destro di Renzi e attuale Ministro dello Sport; Carlo Russo, amico di Renzi senior; Emanuele Saltalamacchia, generale dell’Arma; Giampaolo Scafarto, il capitano del Noe. Chiaramente, quindi, si tratta di un affare assai complicato e assai legato ai massimi poteri statali, e questo va detto. Vanno però anche detti alcuni fatti troppo spesso occultati perché evidentemente capaci di mettere in crisi un intero governo. Come quelli che seguono.
- Anzitutto, due buoni motivi per far ritirare Renzi a vita privata: o si è scelto collaboratori malfidati, che non l’hanno informato sui gravissimi fatti, o dei gravissimi fatti sapeva, e concorre anche lui alla partecipazione di essi. Delle due l’una. E cioè Renzi a casa, non segretario del Pd senza avversari.
- In secondo luogo: l’unico non indagato, il teste chiave, e cioè Luigi Marroni, ex ad di Consip, è stato fatto dimettere dato che non ha ritrattato le sue affermazioni. Vannoni, invece, presidente di Publiacqua, ha ritrattato le sue parole, rendendole molte meno pesanti nei confronti dei poteri forti, e, casualmente, è rimasto in carica.
- Prima però di passare al vero contenuto dell’articolo, indicato dall’immagine, obbligatorio è parlare di quanto accaduto qualche giorno fa: Marco Lillo, il giornalista che più di tutti ha parlato di Consip, non indagato, è stato perquisito per un’ipotesi di reato di rivelazione del segreto d’ufficio (che sarebbe avvenuta con la pubblicazione del suo libro Di padre in figlio), così come l’art director del libro, Fabio Corsi. Ma veniamo alla parte divertente del tutto: da chi sarà stata suggerita la perquisizione? Ma da Alfredo Romeo, ovviamente… cioè: colui che è stato arrestato per corruzione e indagato per associazione a delinquere e concorso esterno in associazione camorristica chiede alle guardie di punire il giornale (anche due sedi del Fatto sono state perquisite), oltre al giornalista, che ha pubblicato le carte che ne confermano la colpevolezza. E le guardie, al posto che mettersi a ridere, ubbidiscono. Così, i telefoni di Tiziano Renzi e Luca Lotti (due a caso), indagati, non vengono sequestrati; ma quelli dei noti criminali Marco Lillo e Fabio Corsi sì. Infine, il capolavoro: se Lillo ha avuto tutte queste informazioni, e solo Lillo le ha avute, è ovvio che vi sia una talpa in Procura che passa le informazioni a Lillo. E, secondo la geniale ricostruzione della Procura stessa, il principale sospettato è Henry John Woodcock. Ossia: il titolare dell’inchiesta Consip avrebbe passato le informazioni – compromettendo il buon esito dell’inchiesta stessa – a Marco Lillo, il quale, sapendo di avere ottenuto informazioni segrete e non divulgabili, ci avrebbe addirittura scritto un libro. Geniale. In questo trionfo dell’assurdo, gli unici vincitori sono gli indagati, i colpevoli e i potenti. E lo chiamiamo ancora il “Bel Paese”.
- Dato che Renzi ha riscosso una discreta quantità di leccapiedi dando a ogni giornale l’anteprima giusta del suo nuovo libro – chiamato, con la consona originalità, Avanti -, ora noi ci sentiamo in dovere di pubblicare quattro brevi anticipazioni di Come rubare impunemente, capolavoro che siamo certi prima o poi tra le librerie più importanti d’Italia, soprattutto dalle parti di Arcore e di Rignano sull’Arno.
- Capitolo primo: Come conquistare il potere. “Conquistare il potere in Italia è facile. Servono tre soli elementi: amicizie, soldi e cinismo. Una volta arrivati alla presidenza di questo o quel Palazzo, bisogna avviare la propria carriera con tanti sorrisi e strette di mano. Dato che però i giornali hanno bisogno di una bella storiella, se prima ‘ci si fa’ – espressione assai toscana che dovrebbe dare qualche indizio sull’autore – un po’ di gavetta, conquistando una Firenze qualsiasi, è anche meglio. Recitata la parte del buon sindaco che tiene ai cittadini, si può puntare alla segreteria del proprio partito. Tagliato fuori questo o quel gufo, il potere è vicino. Con i soldi si arriva in politica, con le amicizie si inizia a comandare, ma è solo con il cinismo che si governa. Accoltellato alle spalle un Letta qualsiasi, eccolo, il potere. Sono Presidente del Consiglio. Faccio un elenco di persone, un po’ amici, un po’ incapaci, e un po’ tutti e due. Ed ecco qua le Boschi e le Madia, i Poletti e i Lotti, i Padoan e gli Alfano, che iniziano a firmare capolavori come la Buona Scuola; la riforma della P.A.; l’Italicum. Tutte riforme rivoluzionarie, quasi mai capite però dagli italiani e dai costituzionalisti. Ogni tanto mi fermo e penso: ‘che dura la vita da genio incompreso’. Chissà che prima o poi non arrivi #lavoltabuona che qualcuno mi capisca.”
- Capitolo secondo: Come essere più forti della legge. “Tante volte, in questo meraviglioso Paese, capita che le leggi – dalla tortura alla corruzione – non esistano. E se esistono, beh, basta non rispettarle.
Nessuno mi ha eletto? Non importa.
La Consulta mi ha bocciato tutte le riforme? Nemmeno.
Il papà della mia valletta era vicepresidente di una banca importante e la suddetta valletta ha primo voluto una riforma ad bancam, poi ha cercato di far comprare la banchetta di paparino a Unicredit, e infine è riuscita a creare una norma salva-padre? E qual è il problema?
In Italia, in questa Italia, ci sono solo tre cose del tutto superate: l’etica, la correttezza e la legge.” - Capitolo terzo: Amministrare un Paese a pane, balle e promesse. “I latini dicevano ‘Panem et circenses’. Io l’ho aggiornata a ‘pane, balle e promesse’: tra qualche ottantina di euro prima regalata e poi ripresa, amministrare l’Italia è facile. D’altronde, per amministrare l’Italia e mantenere il potere, serve una sola cosa: prendere in giro gli italiani. In fondo, se prometti di andartene in caso di sconfitta al referendum e, pochi mesi dopo aver perso il referendum sei di nuovo segretario del tuo partito, hai due possibilità: o ti odiano tutti, o torni al governo. Io, probabilmente, sarò l’unico a riuscire a fare entrambe le cose.”
- Epilogo: Demonizzare un pm, insultare un giornale, intimidire un giornalista: l’arte del rubare impunemente. “Rubare in Italia è più facile di governare: ma bello, in Italia, è rubare governando. E se anche qualcuno si accorgesse di questo vizietto, nessun problema. Se fastidiosi ma purtroppo illustri soggetti, nei più disparati campi della società, da Saviano a Travaglio, dalla Gabanelli a Woodcock, da Lillo a Davigo, protestano, infastidendomi con le loro voci di verità e onestà, o li si fa tacere, sparando calunnie sui loro conti, o li si fa perquisire, o li si isola. Oppure, gli si dà dei gufi. E, ovviamente, si continua a governare. Rubando.”
- Ringraziando le nostre segretissime fonti per queste importanti anticipazioni, vorrei chiudere questo decalogo con un appello: signor Matteo Renzi, casomai stesse scorrendo queste righe, non se la prenda troppo con noi. Siamo dei ragazzi, dall’autore dell’articolo al curatore del fotomontaggio, perciò se potesse evitare di denunciarci per diffamazione gliene saremmo molto grati. Anche perché quando si dicono delle verità non si diffama nessuno. Né i ladri, né i governanti: anche perché spesso, questi, sono sinonimi.
Bottega di idee