Lettera all’anoressia

Questo non è un articolo come tutti gli altri. Non ha categorie. Ha una data, il 15 marzo, cioè la Giornata Nazionale per la lotta ai disturbi alimentari, meglio conosciuta come Giornata del Fiocchetto Lilla. Quella che fino a oggi è stata “solo” la nostra curatrice digitale, oggi, con un atto di eroico coraggio, ha preso carta e penna e, con una lettera a cuore aperto, ci racconta il rapporto d’amore e d’odio con l’anoressia. È bene però che si sappia che quest’articolo non si pone limiti. È un articolo lungo, difficile, complesso. Esattamente come il rapporto tra tante pazienti e l’anoressia: lungo, difficile, complesso. Un articolo al contempo particolare e universale, leggibile e illeggibile, dolce e crudele. Un articolo dove gli opposti convivono, dove il male e il bene si sfiorano. Ma, anche, un articolo dove la vita vince sulla morte. Un articolo che, speriamo, possa cambiare il modo di informarsi, di vivere, e soprattutto di  sconfiggere, l’anoressia. Grazie, buona lettura.

Cara anoressia,
ti odio.

Ti odio, per tutto quello che mi hai tolto.
Ti odio, per tutta la Vita che mi hai strappato dalle mani.
Ti odio, per la gioia che hai trascinato con te negli abissi più profondi, dove non esiste luce, né speranza, che possa tenerti aggrappata alla Vita.
Ti odio, e non posso fare a meno di odiare me stessa nel farlo, che ti ha accolta come una salvezza, come una fiammella che, nel buio della notte, speravo potesse illuminare l’oscurità.
Ma l’oscurità che mi circonda è troppo pressante per essere combattuta da una scintilla instabile. È una chimera ardente, un sogno vano, è il credere che tutto sia un attimo, una “fase”, un’angoscia passeggera.

Cara anoressia, sei una droga dal gusto inebriante, che crea dipendenza e si infiltra negli stipiti delle finestre, come un soffio di vento dal sapore amaro che devasta tutto ciò che lo circonda.

Cara anoressia, ti odio per esserti innamorata di me.
Per avermi stretto tra le tue braccia quando tutto intorno a me era polvere e monotonia.
Nei cieli imbronciati delle mattinate d’inverno, tra asfalto e cemento malridotto, ti nascondi negli occhi vuoti di ragazze forse troppo fragili, forse troppo forti.

Cara anoressia, Ti odio. E odio un destino amaro che è stato scritto in un passato neanche troppo lontano, odio quell’ideale folle che mi hai fatto inseguire per anni, odio quella sensazione di oppressione derivante da una colpa originaria che si perde nella notte dei tempi.
Perché “noi” siamo marcate a fuoco da questa pena eterna da scontare. Da scontare negandoci tutto. Negare il cibo. Negare il corpo. Negare il sentire. Negare la Vita.
Sì, la Vita, quella con la lettera maiuscola, che dovrebbe riempirci il cuore, gli occhi, il sorriso di una vivacità incontrollabile; che dovrebbe farci ridere, piangere, correre sotto la pioggia e fare mille esperienze di cui non ci pentiremo mai.
Cara anoressia, ti odio. Ti odio per avermi portato via tutto questo.
Per aver sradicato dalla mia anima la voglia di vivere, di fare esperienze, di gioire, urlare, ridere fino a non poterne più, la possibilità di provare emozioni, di sentire.
E ti odio, per quel dolore lì, che non si può esprime a parole, che ti chiude lo stomaco e ti lacera il petto, che quando sei ammalata ti fa credere che sia solo questione di peso. Perdere qualche chilo, piacermi di più, imparare ad amarmi. Finché non ho perso il controllo. O meglio, finché non ho avuto sempre più fame di controllo. Sai, cara anoressia, io ho sempre creduto che tu fossi la mia possibilità di riscattarmi, di piacermi, di amarmi. Ma nessuno mi aveva avvertita di tutto ciò che avrei perso. Perché nessuno avrebbe potuto immaginare che avrei rinunciato alla vita.

Ricordi i primi tempi, Anoressia?

Ero alle medie, trovavo nella musica l’unica valvola di sfogo, l’unica liberazione: attraverso di essa urlavo tutto ciò che a parole non riuscivo a dire, tutta la tristezza lacerante che piano piano si instaurava dentro di me. Nessuno, ai tempi, si era accorto di nulla perché da fuori sembrava tutto normale, tutto perfetto. Già, tutto perfetto. Finché quella bimba tenera e impacciata si trasformò completamente. E fu lì che entrasti prepotentemente nella mia anima e nel mio cuore, senza lasciare spazio ad altro. Lì, in quel momento, tu hai vinto. Hai vinto quando una bambina magra bravissima a scuola, molto attiva e creativa, da un giorno all’altro, scelse il trionfo della Morte sulla Vita. Fu in quel giorno che capii.  Capii che, forse, ero di troppo a questo mondo. Mi convinsi: l’universo sarebbe stato meglio con un individuo in meno. Con un problema in meno. È stato allora il momento in cui tutto ha cominciato a precipitare in un vortice senza fine, in cui ho provato in tutti i modi a controllare le uniche due cose che potessi controllare: me stessa e il cibo. Giorno dopo giorno mi riconoscevo sempre meno, a stento sentivo familiare l’immagine nello specchio. Divorata dalla solitudine, dal dolore, dalla depressione che era diventata la mia unica compagna di vita, ho cominciato a cercare conforto nella precisione gelida del numero. La bilancia era diventata la mia droga. Avevo bisogno di vedere il numero sempre più piccolo, sempre più basso, sempre più inesistente, immateriale. Un obiettivo insensato e irraggiungibile, di cui però avevo disperatamente bisogno per fare in modo che la vita acquistasse un senso. Cara anoressia, non capisco come tu sia riuscita a convincermi del tuo macchinamento folle, e me lo chiedo ancora oggi, dopo tutto. Ti odio, perché a causa tua ho passato pomeriggi interi ad abbuffarmi di cibo fino a non riuscire a respirare, per poi vomitare tutto insieme al senso di colpa e al senso di totale inadeguatezza che mi pervade dalla testa ai piedi. 

Cara anoressia, ti odio. Ti odio perché hai instillato in me quest’innaturale bisogno di scontare un supplizio senza fine. Ti odio perché mi hai reso inutile.  Insensata. Hai reso la mia vita un susseguirsi di giorni senza senso e senza scopo. Ho dovuto trovarmi davanti alla morte per rendermi conto di quanto sia meravigliosa la Vita. Ti odio perché per colpa tua non sono più niente. Mi hai ridotto a polvere, senza vita e senza anima, senza passato e senza futuro. Ti odio perché sei incisa sulla mia pelle, nelle vene, nella mente.
Sei inafferrabile, volubile come un granello di sabbia che mi scivola tra le dita. E, indifferente,continui a correre. Come il vento, senza meta e senza senno.

E, cara anoressia, ti ringrazio per questo. Perché, dopotutto, forse, oggi non saprei quanto valore abbia ogni singolo respiro esalato, saturo di aria primaverile profumata di gigli e di rose, se non conoscessi anche l’odore asettico di un reparto d’ospedale.  Se non avessi rischiato di morire più e più volte. Se non avessi digiunato per così a lungo da sentirmi male a scuola rischiando di perdere la vita per i problemi al cuore causati da te. Se oggi sto imparando a tornare ad amare, a sentire, ad accettare la Vita come il miracolo di speranza che è, è anche perché sono andata così vicina a non poter vedere più il cielo azzurro che brilla nelle mattinate gelide di dicembre, o la neve che imbianca le strade e le case donando un’atmosfera ovattata a tutta la città.

Perché adesso, cara anoressia, voglio godermi ogni singolo soffio di vento che mi scompiglia i capelli e fa nasceva un accenno di sorriso sul mio viso. Cara anoressia, sono stanca. Stanchissima. Ma voglio correre. Correre e respirare l’aria profumata del mattino, piangere di gioia e ridere fino a non avere più fiato.
E mi libererò dalla tua stretta mortifera, dalla tua corsa cieca al suicidio.
E sarò Libera.
E sarò Amore.
E sarò, semplicemente, Gaia.

Perché, cara Anoressia,
ti odio.

Gaia

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