Lacrime d’amore

Oggi è il 17 maggio. Oggi è la Giornata Mondiale contro l’Omofobia. Oggi, qui, Mariana Rosa griffa un articolo di rabbia e commozione. La rabbia della Terra, che prende parola e si scaglia in una forte invettiva contro gli uomini, colpevoli di aver fatto sfigurare l’amore, cioè “l’unica cosa che vi tiene in vita”. Ma anche la rabbia di commozione di Jeanine, protagonista, insieme a Diji, delle due storie inventate dalla nostra scrittrice. Due storie che andranno intrecciandosi, trovando la loro unione nelle lacrime. Lacrime di rabbia, lacrime di commozione. Insomma, lacrime d’amore.

Il mio nome è Terra. Sono per voi padre difensore e nobile madre, sorella astuta e gentile fratello, sposa innamorata e fedele sposo; sono per voi rifugio dalla mia stessa ira, fonte di nutrimento e di ristoro dai miei movimenti perpetui. Ma voi, voi cosa avete fatto?

On. Deux. Trois. Jeanine ha il respiro affannato, cerca invano di controllarlo ma fallisce ogni volta. È in uno stato di ansia tale che non riesce a fare altro se non fissare la porta chiusa davanti a sé; è quella l’unica barriera che separa lei e i suoi genitori, che ignari dei turbamenti della figlia se ne stanno sul divano a guardale qualche programma casuale. Jeanine mette una mano sulla maniglia, piano, con cautela, come se la forza dei sentimenti negativi la potesse rompere.
In un attimo di coraggio, Jeanine apre la porta, entra nel salotto e dopo aver spento la televisione si siede di fronte ai suoi genitori, che la guardano incuriositi e leggermente preoccupati. «C’è una cosa che devo dirvi» annuncia Jeanine. I suoi genitori cercano istintivamente le mani l’uno dell’altra e la loro preoccupazione sale alla vista dell’affanno e del viso contorto dall’espressione della figlia.
On. Deux. Trois. «Mamma, papà, sono lesbica». Una frase secca, senza giri di parole né sotterfugi né contesto. I genitori di Jeanine si rivolgono uno sguardo e sentono che la preoccupazione li ha già abbandonati. Sua mamma le fa cenno con la mano e Jeanine subito si fionda in mezzo a loro, sul divano, per essere immediatamente abbracciata da entrambi. «Lo sai che ti vogliano bene, sì, Jeanine?» sussurra piano lei, accarezzando i capelli alla figlia. «Niente di ciò che sei ci impedirà di volerti bene» aggiunge suo papà, stampandole un bacio in fronte. Jeanine è felice. Piange.

Hiji. Dua. Tilu. Diji, quando si siede a tavola con il padre, suda freddo. Sa, già nel momento in cui si siede, che quello di stasera sarà una spettacolo particolarmente penoso perché sa benissimo che un abitante di un villaggio non molto distante è stato messo a morte per presunta omosessualità. Il padre di Diji è un uomo dalle spalle larghe, dai taglienti lineamenti del viso, sempre scuro; è di poche parole, ma quelle che dice sanno sortire l’effetto sperato. Diji pensa che suo padre sia la perfetta rappresentazione del suo paese. Quando il ragazzo si siede a tavola, Diji cerca di spostare la sedia un poco più lontano da quella del padre, ma è pienamente consapevole che non saranno degli stratagemmi di questo genere a fargli superare la serata.
«Hai sentito cos’è successo nel villaggio ad est?» chiede il padre, cominciando a mangiare. Diji scuote il capo e piano comincia anche lui il suo pasto. «Beh, ne hanno impiccato uno» risponde seccamente l’uomo, nessun rispetto, nessun filtro. Diji cerca di mostrarsi accigliato, ma non troppo da far intuire una seppur remota connessione fra lui e l’impiccato. «Come mai?» chiede al padre, stringendosi con la mano sinistra il ginocchio, sotto il tavolo. «Se la faceva con altri uomini». Ancora una volta, una risposta secca, senza filtri né pietà. Diji pericolosamente si perde nei suoi pensieri e finalmente nella sua testa affiora il volto del ragazzo in questione: i lineamenti dolci, ancora acerbi sono in netto contrasto con il pallore cadaverico della sua pelle, interrotto soltanto dai segni violacei sul collo. Sembra che quest’ombra sorrida a Diji che voglia ricordargli il primo timido bacio che si sono scambiati quella sera che erano andati nel deserto a guardare le stelle. La voce brusca del padre riporta Diji alla realtà; il ragazzo decide di ignorare per quanto possibile il seguito e si mette a mangiare portando piccoli bocconi alla bocca, con estrema regolarità precisamente calcolata. Il silenzio cale sul tavolo.
«Quei maiali» così comincia l’invettiva il padre Diji «quei depravati sono una vergogna. Vanno in giro a dar fastidio ai ragazzini e offendono il divino. Sono contento che vengano uccisi: almeno la società sarà più pura. Ecco, magari io non gli darei una morte così veloce. No, decisamente no, è troppo buono, non è nemmeno una punizione». L’uomo studia il figlio che mangia senza espressione. «Che dici, figliolo, sei d’accordo con me?».
Diji non mangia più, il nodo in gola glielo impedisce. Sente, irradiato in tutto il corpo, un bruciore sempre crescente. Poi, come se fosse venuto in suo soccorso, un latrato del loro cane: Diji senza troppe spiegazioni si alza a tavola ed esce di casa per vedere come stia l’animale. Cammina per un po’, in silenzio. Poi si ferma, non ce la fa più ad andare avanti e si piega in due su se stesso, stringendosi il torso come se temesse un’esplosione. La sua fronte tocca il terreno, sporco e umido dalle recenti piogge. Le sue mani all’improvviso, in uno scatto di rabbia, colpiscono il suolo e un po’ di terra gli finisce sul viso, nella mani. Terra mista presto alle lacrime. Piange.

Ho tollerato per tanti secoli i vostri misfatti senza possibilità di riscatto, ho taciuto quando per vostra comodità mi avete ridotta a schiava e deturpata. Mi avete privato dell’essere padre e madre in ogni vostra guerra, quando vi uccidevate a vicenda, straziandomi il cuore, dell’essere fratello e sorella ogni momento in cui avete ignorato le mie sofferenze, dell’essere sposa e sposo quando avete preferito il vostro benessere al mio; mi avete privato, insomma, del mio essere Terra. Ma ho perdurato tutto ciò in nome dell’amore. Come osate sfigurarlo in questo modo? Quale potere credete di avere per fermare la grande forza in nome della quale la Terra stessa esiste?
Ametevi l’un l’altro, anche senza capire, anche se non siete simili: l’amore è l’unica cosa che mi frena quando devo essere calmata, la sola cosa che vi tiene in vita.

Mariana Rosa

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...