Ventisei anni fa moriva Giovanni Falcone. Oggi, Bottega di idee lo ricorda. Nome per nome, in ordine, in questo articolo di memoria, abbiamo citato: Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Giuseppe Costanza, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Paolo Borsellino. E li vogliamo ringraziare tutti, uno per uno, perché con il loro lavoro, con la loro professionalità, ci hanno protetti, ci hanno resi liberi. E vogliamo ringraziare anche gli altri due personaggi citati: Giuseppe Di Matteo, il povero piccolo bambino che ancor oggi tutti ricordiamo con tenerezza, sciolto nell’acido; e chi, nell’acido, quel bambino, l’ha sciolto: Giovanni Brusca. E vogliamo ringraziare anche lui non certo per quell’incolpevole cadavere di cui ora non rimane più nulla, per aver commesso barbarie di ogni genere, o per aver spietatamente assassinato il miglior magistrato d’Italia. No: vogliamo ringraziare Giovanni Brusca per averci ricordato, quel lontano 23 maggio ’92, che la mafia c’è. E che va combattuta. Sempre, per sempre, e senza fine. Esattamente come il ricordo di Giovanni: da mantenere sempre, per sempre, e senza fine. Grazie, buona lettura.
Un libro aperto, quasi a metà, è in volo. Perlustra l’aria circostante, rimane sospeso per qualche istante, infine atterra. Questa caduta genera un insieme di suoni. Un insieme di suoni che ridesta gli animi, che risveglia gli addormentati. All’atterraggio, il libro non si chiude subito. Una buona parte di esso, per qualche secondo, giace lì, in aria, incerto sul da farsi. Poi, con un movimento dalla sinuosa eleganza, il fronte del libro e quelle pagine rimaste ancora parzialmente aperte, si poggiano, dolcemente, l’una sull’altra. E dopo il rumore secco del libro che atterra, se ne produce un altro, più soffuso. Il libro è ormai chiuso. Parentesi terminata.
Siamo sulla A29. A Capaci è un caldo sabato pomeriggio. Sono le 17.56. Giovanni parla con Francesca. E’ la prima volta, dopo tanto tempo, che si è voluto concedere il lusso di guidare. Nel sedile posteriore, Giuseppe. Giuseppe lavora ormai da anni per Giovanni. Il suo è un mestiere difficile, stressante, totalizzante, alienante. Ma eccezionalmente importante. Giuseppe è un agente della scorta, esattamente come Vito. Come Rocco. Come Antonio. Di mestiere, proteggono persone come Giovanni, come Francesca. O come Paolo, che spirerà meno di due mesi dopo. E se Antonio, Rocco, Vito e Giuseppe, di mestiere salvano vite; Giovanni e Paolo, di mestiere, salvano l’Italia. Peraltro, non sempre ma molto spesso, a insaputa degli italiani. Nel frattempo, sono giunte le 17.57. Un altro Giovanni, dall’alto di una collina, scruta nervosamente la A29. Anche questo Giovanni ha una storia intrecciata con un Giuseppe. Questo, nella fattispecie, è un bambino. Ma non un bambino qualsiasi. Giuseppe è il figlio di un pentito. E, quando da “figlio di mafioso” Giuseppe diventa “figlio di pentito”, il suo destino è segnato. Di lui non resterà niente. Mai, più, niente. Giuseppe oggi è un ricordo. Un ricordo sciolto giovane. Un ricordo sciolto nell’acido. Sciolto nell’acido da Giovanni, quello della collina. Ma, nel bel mezzo della narrazione, il tempo scorre. Sopraggiungono le fatidiche 17.58. I due Giovanni stanno per incrociarsi per l’ultima volta. Anche questa volta, soprattutto questa, si incontreranno a distanza.
Dietro quel libro, se osservate l’immagine, vi sono frasi. Anzi, parole. Anzi, lettere. Anzi, lettere stranianti. Respingenti. Sconvolte da un innaturale zoom. L’insieme, se lo guardate attentamente, è repellente. Repellente ma invitante. Più osserviamo quelle lettere nascoste dietro il libro, più ci paiono difformi, più ne siamo attratti. E, se siamo particolarmente acuti, ci chiediamo se quelle lettere dietro il libro siano le stesse che stagnano dentro il libro. Ma più ce lo chiediamo, meno siamo in grado di risponderci. Non lo sapremo mai. Ma, questo è certo, fra quelle parole e quel libro, una relazione c’è. Ed è una relazione repellente ma attrattiva, esattamente come l’effetto proiettato alle spalle del libro. Repellente, ma attrattiva.
Giovanni, dall’alto, vede Giovanni. O, meglio: ne vede l’automobile.
Giovanni, alla guida, sorride. Giovanni, in collina, no.
Giovanni, parlando con Francesca, è felice. Giovanni, controllando il suo telecomando, è ansioso.
Giovanni, finalmente libero, sta per tornare nella sua amata Sicilia. Giovanni, futuro carcerato, sta per impedire a Giovanni di tornare a casa.
E così è. Le 17.58 sono ancora in corso.
Siamo andati oltre il problema. Dicendo che quell’effetto sia repellente, ma attrattivo, siamo andati oltre ai tre concetti: oltre il libro, oltre le lettere, oltre l’effetto. Semplicemente, abbiamo superato l’ostacolo di vedere, in un tutto, solo una parte. Solo il libro, solo le lettere, solo l’effetto.
Abbiamo visto tutto.
Ci siamo liberati del singolo istante. Che il libro abbia iniziato il suo volo, sia sospeso in aria, o che sia caduto, non ha più importanza. Ciò che ha importanza è che ora, dopo un suono secco e uno dolce, quel libro giaccia finalmente a terra. E noi lo ricorderemo sempre così.
Come un libro elegante, che ha spiccato il volo.
Un’esplosione. Null’altro. L’incontro fra i due Giovanni si consuma tutto in quel gigantesco frastuono. Cinquecento chili di tritolo. Non ci sono parole, descrizioni, metafore. Non esiste un modo alternativo per descrivere quanto avvenne quel giorno. Cinquecento chili di tritolo stritolarono Giovanni e Francesca, uccisero Rocco, Vito e Antonio. Solo Giuseppe sopravvisse. Quella sera, l’altro Giovanni, faceva festa. Il magistrato più fastidioso, l’inseguitore più caparbio, il detective più intelligente, era stato, una volta per tutte, eliminato. Ma ora, ventisei anni dopo, a far festa, da chissà dove, è Giovanni. Giovanni il magistrato, Giovanni il marito, Giovanni il padre di tutti gli italiani che mai dimostrarono di meritarlo. Perché ora, ne siamo sicuri, Giovanni sarà a far festa. Starà festeggiando la sua, ritrovata, libertà.
Quasi nessuno, quel libro, lo ha capito. Tutti, o quasi, si sono fermati all’effetto difforme delle lettere. Nessuno, o quasi, ha colto l’importanza di quell’effetto straniante a cui le sue parole portavano. Ma noi non abbiamo dubbi: per noi quello è un libro elegante, nuovo, importante. Un libro che più e più volte rileggeremo. Un libro che ha un inizio. E quell’inizio è ciò che sembra essere la sua stessa fine. Quel libro nasce alle 17.58 di sabato 23 maggio 1992. Quel libro nasce con quell’esplosione. Ma, soprattutto, se ogni giorno, ogni mese, ogni anno, ci ricorderemo di quel libro, e di quell’esplosione, saremo certi di una, sola, cosa.
Saremo certi che quel libro non avrà mai fine.
Perché ora, ne siamo certi, Giovanni sarà a far festa. Starà festeggiando la sua, ritrovata, libertà.
La libertà di un libro che non avrà mai fine.
Bottega di idee