Anna di Clèves, quarta moglie di Enrico VIII
Anna di Clèves, qui ritratta da Aurora, è stata la quarta e forse la più fortunata tra le mogli di Enrico VIII. Benedetta ci fa avvicinare a questa figura malinconica che, nonostante il divorzio, rimase una delle donne più importanti d’Inghilterra, ottenendo un titolo alquanto particolare.
Consiglio musicale: Anne of Clèves, Rick Wakeman
Sono sdraiata nel mio letto, i capelli sciolti sul cuscino.
Già da un mese vivo in questa enorme casa e ancora non mi sono abituata alla solitudine. Aspetto sempre che mio marito entri nella stanza, si metta sotto alle coperte, mi dia un casto bacio e mi dica “buonanotte, tesoro.” Passo la sera ad aspettare invano, e in questa attesa le palpebre mi cadono pesanti, trascinandomi in un sonno freddo, privo di sogni. E quando mi sveglio al mattino, mi si stringe il cuore a sentire che le lenzuola accanto a me sono fredde, perché capisco che ancora una volta ho dormito sola, senza mio marito.
Mio marito… Non è più mio marito, né lo è mai stato, non veramente. Ho accettato la sua richiesta di annullare le nozze. Del resto, questo matrimonio non era iniziato bene. Anzi, era iniziato esattamente come tantissimi altri matrimoni. Al re d’Inghilterra serviva una regina e un’alleanza con un duca tedesco, e io sembravo una buona scelta, almeno a sentire le mie descrizioni e a vedere i miei ritratti. Quando però ci siamo conosciuti, il re non mi ha ritenuto di suo gradimento.
All’inizio non pensavo di non piacergli. Credevo anzi che lui fosse molto cortese nel non mettermi pressioni per consumare il matrimonio. “Anna, serviranno ben più dei baci della buonanotte per concepire un erede”, mi ripeteva la mia dama di compagnia giorno dopo giorno. Eppure non mi sono mai preoccupata eccessivamente. Enrico era un buon marito, perché mettersi in allarme? Ho iniziato davvero a comprendere la gravità della situazione solo quando, passando accanto alla biblioteca, lo sentii dire a Cromwell che di giorno in giorno gli piacevo sempre di meno.
Non ho mai avuto molto da offrire ad un uomo. Mi hanno sempre definita di buon carattere e ho un talento per il ricamo oltre che per le carte. Ma tutto ciò in cui le giovani inglesi vengono istruite mi è ignoto. Non so cantare, non so suonare alcuno strumento e in generale non sono colta. Spesso ho chiesto delle precedenti mogli di Enrico, ma ben di rado mi sono sentita rispondere. Caterina d’Aragona, Anna Bolena, Jane Seymour… Dovevano essere ben più colte e belle di me.
Ho passato intere sere a guardare il mio corpo, centimetro per centimetro, analizzando ogni difetto. Avevo sentito che Enrico si era lamentato dei miei seni e del mio ventre flaccidi. All’inizio mi sembrava che avesse torto. Non ero perfetta, ma mi sembrava di avere delle forme dignitose. Poi, man mano che osservavo il mio corpo, mi sembrava di essere davvero flaccida, molle, una donna già invecchiata. Lo stesso fu per il mio viso. Di minuto in minuto gli occhi si facevano più piccoli, il naso più grande, il mento più sgraziato. Sapendo che mio marito, l’uomo che ogni sera e ogni mattina mi salutava con un casto bacio, mi trovava repellente, avevo iniziato a trovarmi disgustosa anche io.
Le cameriere aprono la porta della mia stanza. Aspettano che io mi lavi il viso, poi iniziano ad intrecciarmi i capelli e a tirare i nastri del mio corsetto.
Non sono arrabbiata per la mia sorte.
Sono malinconica, alle volte. Malinconica perché mi manca il Düsseldorf, la terra dove sono cresciuta, e anche la corte inglese, alla quale mi ero affezionata.
Ho restituito l’anello di nozze. L’ho fatto con un nodo alla gola. Ma sono certa che è stata la scelta giusta. Era il vuoto simbolo di una promessa vana, e spero che come tale Enrico l’abbia spezzato e gettato il più lontano possibile.
So che a breve si sposerà con una delle mie dame di compagnia, Catherine Howard. Molto bella, ma così giovane… Poco più che una bambina, oserei dire. Povera ragazza, chissà cosa ne sarà di lei. Enrico sa essere molto volubile, anche se sono convinta che sia un uomo buono, in fondo.
Vestita e pettinata, scendo le scale.
“Ho un invito a corte per voi, signora”, mi dice il maggiordomo porgendomi un biglietto.
Gli sorrido timidamente e prendo tra le dita la busta sulla quale sono vergate le parole: “All’amatissima sorella del re”.
Benedetta