La strage della famiglia Romanov
La notte tra il 16 e il 17 luglio 1918, la famiglia Romanov venne giustiziata dai rivoluzionari. Attraverso gli occhi di Maria, una delle giovani figlie dello zar Nicola II, qui ritratta da Aurora, Benedetta ci racconta la strage che ha segnato definitivamente la caduta della Russia zarista.
Consiglio musicale: Once upon a December, Emile Pandolfi
Perché, Dio? Perché hai permesso questa strage?
Riesco a pensare solo a questo mentre corro verso la porta sul retro, l’immagine di nostra madre colpita alla testa da un proiettile ancora davanti agli occhi.
Un proiettile mi colpisce alla gamba. Mi accascio a terra.
Perché non sono già morta? Perché non sono stata così fortunata?
Cinque? O forse dieci? I minuti necessari a compiere un simile massacro sono pochi, eppure scorrono con implacabile lentezza per chi, come me, giace per terra in balia dell’ira altrui. E siccome so che il corpetto nel quale ho cucito con tanta pazienza i gioielli mi proteggerà da ogni colpo, mi resta solo da sperare che mirino alla testa.
È strano. Non mi aspettavo che succedesse stanotte. Chi, pensando di andare a morire, si alzerebbe mai dal letto? Non me lo aspettavo, ma non ne sono sorpresa. Già da giorni sentivo il rumore dell’artiglieria e il marciare delle truppe. Un suono cadenzato, a tratti cacofonico e sempre, sempre più vicino. I rivoluzionari si devono essere spaventati. Chissà per quanti giorni hanno organizzato, a nostra insaputa, questo abominio. I loro cuori non hanno provato pietà?
Noi Romanov abbiamo governato la Russia per tre secoli. Scelti da Dio, abbiamo fatto quanto potevamo per servire questo paese. E se anche abbiamo sbagliato e fatto del male, perché riservarci un trattamento così crudele? Ci hanno chiusi in uno scantinato, illuminato a malapena da una lampadina che pende dal soffitto, appesa a un filo. Hanno permesso solo a nostra madre e a nostro fratello, ancora debole, di sedersi, lasciando tutti noi in piedi. Abbiamo aspettato con pazienza, convinti che a breve ci avrebbero portato in un luogo “sicuro”. Non sapevamo se essere spaventati o meno all’idea di lasciare Ekaritenburg.
Ci hanno letto la condanna a morte.
Abbiamo chiesto spiegazioni.
Hanno fatto fuoco.
I primi a morire sono stati nostro padre, nostra madre e due domestici. Poi, gli assassini hanno rivolto tutte le armi contro Aleksej. Dieci uomini contro un ragazzino. L’hanno poi trafitto più e più volte. Chiedeva pietà, ma loro lo ignoravano. L’hanno messo a tacere con un colpo in testa.
“Voglio morire.” Nostro fratello l’aveva ripetuto infinite volte durante le sue emorragie. Una preghiera terribile. Il Signore a volte risponde in modi strani alle nostre preghiere.
Rannicchiata a terra, vedo le mie sorelle Olga, Tatiana e Anastasia abbracciarsi tra di loro e gridare “Aiuto, aiuto! Qualcuno ci aiuti, abbiate pietà di noi!” Due uomini, scavalcato il corpo privo di vita di Aleksej, si avvicinano loro. Chiudo gli occhi. Non ho la forza di guardare questo scempio.
Vorrei chiedere loro scusa. Dire loro che le amo e che mi dispiace di essermi innamorata di Ivan. Mi dispiace davvero, e vorrei avervelo detto quando ne avevo ancora tempo. Ma come potevo sapere che di tempo non me ne era rimasto? Vedere la propria vita spezzarsi ad appena diciannove anni sembra una tale ingiustizia. Quello che mi chiedo è: se anche la rivoluzione richiede tutto questo sangue, perché farlo in modo così crudele?Ho gli occhi ancora chiusi. Faccio appena in tempo a sentire Anastasia piangere debolmente, che qualcuno inizia a colpirmi al petto con una baionetta. I diamanti continuano a proteggermi.
Un mese. Un mese fa era il mio compleanno. Mi sembra passata un’eternità.
C’era un caldo soffocante, ma non ci era concesso di aprire le finestre. Festeggiavamo così, fingendo che tutto fosse normale. Quel giorno per noi i vetri non erano coperti d’intonaco e non c’era una recinzione a delimitare il giardino. Era una giornata come tante altre. Nessun fantasma di nessun titolo nobiliare, nessuna preoccupazione per la rivoluzione. Era il mio compleanno. Non sapevo sarebbe stato l’ultimo…
Ivan entrò nel salotto. Già da qualche tempo parlavamo, e ciò aveva infastidito non poco Olga e nostra madre. “Non civettare con quel ragazzo”, mi sussurravano. “Sei forse impazzita? Non sorridergli così!” Io non le avevo ascoltate, e avevo continuato ad ascoltarlo quando mi raccontava della sua famiglia e della sua infanzia. Anche lui si era affezionato a me, e proprio per questo mi aveva portato di nascosto una torta. Voleva che il mio compleanno fosse un bel giorno. Sfuggimmo agli sguardi severi della mia famiglia e ci rifugiammo nello studiolo.
Dio, vorrei rivivere quel giorno almeno una volta.
Un bacio. È tutto quello che è successo tra noi prima che quell’uomo detestabile entrasse nella stanza e lo arrestasse. Pochi attimi, il tempo di un respiro. Non so cosa gli sia successo. Forse tra poco lo rivedrò. Aveva detto di non aver mai visto occhi belli quanto i miei. Lo penserà ancora?
Ho il volto rigato dalla lacrime e faccio fatica a respirare, un po’ per i colpi un po’ per le grida.
L’uomo smette di colpirmi. Vedo che imbraccia l’arma e prende la mira.
Dio, ti prego.
Mi chiedo cosa vedrà la gente nella mia morte: la fine della dinastia o l’uccisione di una ragazza? Il mio sangue è il sangue degli zar. Ma avrei voluto essere solo una ragazza come tutte le altre. Volevo avere una famiglia. Volevo tanti, tantissimi bambini, e vederli crescere, diventare uomini e donne e padri e madri a loro volta.
Tra poco riabbraccerò la mia famiglia. Non ci sarà più tutto questo sangue. Saremo di nuovo insieme. Tutto andrà bene.
“Dio, ti prego…”
Sento lo scoppio del fucile.
Benedetta