Il Sole, fotografato da Alessia, è una parte fondamentale della vita nostra e di tutto il pianeta, di cui scandisce i ritmi. Ma, come ci racconta Francesca, il Sole ha privato l’uomo della sicurezza di essere lui il centro dell’universo.
Meno male, c’è il Sole. Non so voi, ma io sono una di quelle persone che si sente subito meglio a vedere il Sole spargersi con la sua luce nel cielo, anche in pieno inverno. Sì, c’è chi preferisce la pioggia, ma si tratta di una netta minoranza. C’è qualcosa di biologico in questo: senza il sole la vita sulla terra non si sarebbe sviluppata, e la maggior parte degli esseri viventi ha i loro ritmi calibrati su una vita diurna. E da questo dato biologico il Sole è diventato simbolo di vita per eccellenza. Per inciso, anche dal punto di vista scientifico, il Sole rimane la condizione dell’esistenza della specie umana: il momento in cui si spegnerà sarà anche il momento in cui la vita sul nostro pianeta cesserà di essere possibile (certo, visti gli attuali ritmi del consumo del pianeta, non è escluso potremo anche esserci estinti prima).
In fin dei conti, ci sarà un motivo se c’è stata un’accanita disputa dottrinale, con tanto di tortura ed eventuali condanne al rogo riguardo alla posizione del Sole nell’universo. A distanza di quattrocento anni possiamo liquidare il tutto con un cenno di mano, come una torbida vicenda di oscurantismo e ignoranza, ma forse invece varrebbe la pena di chiedersi perché ci si è accaniti tanto su una questione che, diciamo la verità, non ha alcuna influenza pratica sulla vita né mia né di voi lettori. Forse perché, in effetti, ha più influenza di quanto siamo disposti a dichiarare. Fino al 1600 circa chiunque si svegliasse la mattina era al centro dell’universo, lo era perché credeva di esserlo, e vedeva l’astro causa della sua vita che gli ruotava intorno, come a confermare la sua importanza centrale. Centrale, letteralmente.
Poi un gruppo abbastanza eterogeneo e non del tutto concordante di astronomi ha spostato radicalmente l’asse dell’universo, e ci ha spiegato che, lungi dall’essere il centro di tutto, ruotiamo insieme ad altri corpi attorno a un Sole gigantesco. E non è una scoperta rassicurante. Non è piacevole scoprirsi marginali, scoprirsi orbitanti. Significa dover ridisegnare da capo tutte le idee preesistenti sul posto dell’uomo nell’universo e accettare che potrebbe essere molto meno importante di quanto credessimo. Certo, più in avanti si scoprirà che l’universo potrebbe essere infinito, e di sicuro non si limita al nostro sistema solare, e lì sarà il colpo di grazia – anche se ci era già arrivato Giordano Bruno, che non a caso morì sul rogo.
A questo Sole che amiamo tanto si legano quindi anche delle delusioni. Quella dell’illusione svelata della non-centralità, per prima. In secondo luogo, quella dell’illusione ancora da discutere del tempo circolare del sole opposto a quello lineare della vita umana. Lasciando da parte le opinioni e fedi private su quello che accade dopo, proviamo a considerare soltanto l’orizzonte della nostra vita: rispetto al sorgere e tramontare del Sole, possiede un cruciale svantaggio. Ossia, non ritorna indietro.
Una delle più belle e poetiche espressioni di questo pensiero che si ritrova ovunque in letteratura e nelle arti appartiene al poeta latino Catullo, in un carme dedicato all’amata Lesbia. La poesia si apre con un’esaltazione dell’amore:
Viviamo, mia Lesbia, e amiamo, e i rimproveri dei vecchi troppo austeri tutti insieme non stimiamoli un soldo.
A questo segue una riflessione sulla fugacità del tempo:
Il Sole può tramontare e tornare, ma noi quando cade la breve luce della vita, dobbiamo dormire una sola interminabile notte
Va bene, qui c’entrava la convinzione greco-romana, profondamente materialista, per cui il tempo felice era quello della vita e dopo la morte ci fosse o il nulla o degli inferi parecchio grigi. Tuttavia il sentimento di precarietà del tempo si può condividere a prescindere. Forse è come ribellione a questo sentimento che è nato il mito della vita 24/24 h; la luminosità che non si estingue neanche dopo il calare del sole, il movimento che non cessa mai. Ora, prima di scatenare fraintendimenti che lo so, sono in agguato, non intendo dire che la vita andrebbe limitata alle ore diurne come nell’era preistorica, né vituperare l’invenzione dell’elettricità né denigrare a prescindere qualsiasi forma di vita notturna né pronunciare altri estremismi vari. Forse però dietro il tentativo sistematico ed estenuante di trasformare la notte in una copia precisa del giorno, spesso depredandola sia della sua quiete sia della sua inquietudine, c’è essere il desiderio di controllare i cicli vitali e in qualche modo di riuscire a cambiarli.
Ed è qui che ci si rende conto che parte dell’importanza del sole sta nella sua alternanza con il cielo stellato. Un mondo con soltanto luminosità non è biologicamente sostenibile, soprattutto se si tratta di luce artificiale. Nel romanzo 1984 tra le tante ottime idee di Orwell c’era questa enigmatica frase: “là dove non c’è tenebra”. Nei primi capitoli compare in un sogno del protagonista, gliela indica un possibile compagno di rivoluzione e simboleggia un luogo libero dall’oppressione dittatoriale del suo Partito. L’espressione ricompare poi nella parte finale del libro, quando si scopre qual è davvero il luogo “dove non c’è tenebra”: sono le prigioni del ministero, in cui le luci non si spengono mai, e alla tortura fisica si somma la tortura di perdere la cognizione del tempo.
Insomma, attorno a questa indispensabile stella ci sono dispute antiche e nuove, superate o in corso di svolgimento. Forse perché al Sole è legata la bellezza della vita così come la coscienza della sua fragilità.
Per fortuna, bellezza e fragilità non si escludono affatto.
Perché, come diceva un poeta:
“Ognuno sta solo sul cuor della terra/ trafitto da un raggio di sole./ Ed è subito sera”.
Francesca