Nella folla

Regine Olsen

Kierkegaard ha rimpianto per tutta la vita la fine del fidanzamento con Regine Olsen, nonostante sia avvenuta per suo espresso desiderio. In questo racconto, Benedetta dà voce a Regine (per noi ritratta da Aurora) nel giorno del loro ultimo incontro prima della sua partenza e della morte del filosofo.
Consiglio musicale: Winter is for Kierkegaard, Tyler Lyle

Scruto tra la folla. Analizzo ogni volto, ogni voce che riesco a distinguere da quel mormorio impastato che mi giunge alle orecchie, tutto nella speranza di vederlo un’ultima volta prima di partire.
Dio solo sa quanto a lungo starò via e quante cose cambieranno nel frattempo. Ma non ho scelta, devo raggiungere mio marito alle Antille.
Non so perché io mi ostini ad aspettare di vedere Søren. Da anni oramai lo incrocio per le strade e in tutto questo tempo non ci siamo mai rivolti nemmeno un saluto. E se all’inizio questa freddezza mi era sembrata il naturale esito di una storia esaurita, col passare del tempo ho cominciato a domandarmi come potessimo esserci ridotti a due estranei.
Ho scoperto che mi ha scritto una lettera, qualche anno fa. Mio marito non aveva voluto dare risposta a quelle parole, tanto che per mesi non ho saputo della loro stessa esistenza. A volte penso quasi che forse sarebbe stato meglio per il mio equilibrio non leggerla affatto, quella lettera, e continuare a biasimarlo per la sua crudeltà nei miei confronti.
Kierkegaard mi ha spezzato il cuore. Non saprei come definire diversamente quello che ho passato. Dalla felicità, dalla spensieratezza della mia gioventù mi sono ritrovata immersa nello sconforto più totale. La fine del nostro fidanzamento non avrebbe dovuto, in realtà, sorprendermi. Søren è sempre stato convinto che ci si debba negare il piacere, e quale gioia sarebbe stata più grande di quella del nostro matrimonio?
Ricordo ancora il giorno della gita in carrozza… Ero entusiasta, tanto che a malapena riuscivo a stare seduta. Sorridevo alla vista di ogni albero, ridevo per le forme buffe che trovavo nelle nuvole. Søren mi guardava con interesse. A volte mi pareva quasi di scorgere della dolcezza nel suo sguardo, e addirittura ho creduto di aver visto le sue labbra arricciarsi in un sorriso. Ma non siamo mai arrivati a destinazione. Proprio quando, impaziente, gli chiesi quanto mancasse, lui si girò e disse al cocchiere che così poteva bastare e di portarci indietro. Provai a ribellarmi. Addirittura dissi al cocchiere di non ascoltarlo e di non azzardarsi a tornare indietro. Søren mi disse che ero ancora così giovane e ingenua, e che lo stava facendo solo per il mio bene. Non gli rivolsi la parola per tutto il viaggio e rifiutai il suo aiuto per scendere dalla carrozza. Senza nemmeno salutarlo, entrai in casa e mi precipitai nella mia stanza.
Ero furibonda: mi sembrava di aver subito una grande ingiustizia. Eppure i miei sentimenti per lui non erano mutati minimamente. Non mutarono quando mi scrisse quelle lettere distaccate e crudeli, non mutarono nemmeno quando mi venne a dire che non mi voleva più sposare. Ero troppo innamorata per lasciarmi scoraggiare da questi suoi atteggiamenti. Chiesi a mio padre di convincerlo a cambiare idea, ma era come parlare con un muro. Kierkegaard non rispondeva, non si curava nemmeno di darci una spiegazione. Diedi per scontato che non m’amava più, che forse non mi aveva mai amata. Era più facile credere di essersi ingannata per tutto quel tempo piuttosto che accettare che semplicemente stava rifuggendo la felicità che avrei potuto dargli.

Ho provato a odiarlo.
Non ci sono riuscita.

Per questo continuo a cercarlo tra la folla. Perché dopo tutti questi anni passati ad osservarci da lontano, vorrei poterlo salutare un’ultima volta. Quanto darei per avere di nuovo un’ora con lui, per sentirlo mormorare “mia Regine”… Lo so, non sono più la sua Regine. Sono cresciuta, ho superato il dolore della nostra separazione, mi sono sposata con Schelgel e tutto questo mi ha resa diversa, anche ai suoi occhi. Ma se anche non lo amo più come la ragazza che ero una volta, continuo lo stesso a provare per lui un amore tenero, che non tutti possono dire di aver mai provato, e lo stesso prova lui per me. E questo amore trascende il male che ci siamo causati a vicenda.

Continuo a scrutare la piazza, che è un groviglio di gonne, cappotti, soprabiti, cappelli. È tutto talmente vorticoso che mi domando se potrò mai riconoscere la sua figura persa tra la folla.

Ho ancora così tanto da dirgli, e così poco tempo per farlo.
Avrei potuto scrivergli una lettera, è vero. Ma la carta è troppo leggera per sostenere il peso del mio cuore.
No, devo parlargli, devo vedere le emozioni turbargli il volto. Poi potrò allontanarmi da Copenaghen e non tornarvi per anni, forse non tornarvi affatto.

Mi alzo in punta di piedi. Nel farlo, i dubbi mi attanagliano. Se anche dovessi vederlo, lui mi parlerebbe? O mi negherebbe ancora una volta il piacere, impedendomi di sentire la sua voce? Il ricordo della gita in carrozza è così vivido nella mia memoria, non posso ignorarlo. Eppure scruto la folla, ardendo di speranza… Ecco, lo vedo. È qualche metro più avanti a me, e prosegue col capo abbassato, assorto nei suoi pensieri. Mi getto in mezzo alla folla, senza curarmi degli sguardi perplessi dei passanti a cui taglio la strada. Devo raggiungerlo.

Søren, Søren, ascoltami, Søren!

Gli tiro la manica del cappotto. Lui gira il capo con aria stanca. Quando i nostri sguardi s’incrociano, si pietrifica.

Dio ti benedica, balbetto. Mi sento avvampare. Perché non mi risponde? Perché mi guarda così, senza dire nulla? Possa andarti tutto bene!, aggiungo, spezzando il silenzio imbarazzato.
Fa un cenno col capo, e con la mano solleva appena il cappello, come per salutarmi.
Possibile che non mi saluti nemmeno?
Grido mentre lui si allontana, perdendosi di nuovo tra la folla.
Possibile che tu mi debba negare pure questo?

Benedetta

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