Cos’è lo sport, una metafora della vita o una parte importante della vita stessa? In questo nuovo articolo, Daniele Nicastro ci parla dello sport e degli atleti che hanno ispirato due suoi libri (Campioni del nuoto e Campioni dell’automobilismo) e che continuano ad ispirare i futuri atleti. Buona lettura!
Qualche settimana fa ho incontrato un gruppo di bambini in biblioteca.
Avevano dai cinque ai dieci anni, non di più. Mi sentivo una specie di dinosauro che parlava ai cuccioli appena usciti dalle uova, pieni di curiosità, ma paralizzati dalla novità del luogo e della situazione. Ero il primo scrittore che incontravano. Una volta rotto il ghiaccio, ho chiesto loro: – Quanti di voi fanno sport?
Si sono alzate tutte le mani, qualcuno è balzato sulla sedia. Ne ero certo. Allora sono passato alla domanda successiva: – Che sport praticate?
Altro affollamento di risposte: – Nuoto! Tennis e sci! Ginnastica! Danza! Calcio!
Una ragazzina con i capelli raccolti in una coda e gli occhi azzurri, intelligenti, si è fatta avanti e ha detto: – Triathlon, cinque volte alla settimana!
Sapeva il fatto suo, si vedeva. Allora ho spiegato che ero lì per raccontare le storie dei grandi campioni sportivi che, essendo nati nel nuovo millennio, non avevano avuto modo di conoscere. – Vediamo se è vero? – ho detto. – Avete mai sentito parlare di Ayrton Senna? Tazio Nuvolari? Ian Thorpe? Carlo Pedersoli?
Facevo una pausa dopo ogni nome, ma loro scuotevano la testa, sgranavano gli occhi. Uno di loro aveva sentito nominare Tazio dal nonno (ah, che forza i nonni!), per il resto niente. – Esperimento riuscito! Be’, non vi preoccupate: ci penso io a raccontarvi i loro record. Perché, sapete, dietro ogni successo c’è una storia.
Una storia che parla di avversità. Di difficoltà superate quotidianamente per rincorrere un sogno che si è fatto da piccoli. Ostacoli che hanno a che vedere con gli insuccessi, le delusioni, gli infortuni, gli errori nella preparazione, i risultati che non arrivano, il fatto che si comincia a non credere più in se stessi.
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Cristian Zorzi, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Torino 2006
C’è chi dice che lo sport sia una metafora della vita. Ma in realtà le difficoltà dello sport, unite alla gioia, alla competizione, alla vittoria sono componenti della nostra vita a tutti gli effetti. Se ne potrebbero riempire di manuali, con decaloghi, consigli e regole auree, però io sono uno scrittore, non uno psicologo sportivo, e preferisco inserire le massime in una storia. Le storie sono il miglior modo di capire qualcosa, da millenni. Sono simulatori di volo, ci permettono di affrontare le difficoltà senza conseguenze, di maturare consapevolezze e coraggio; il coraggio che deriva dalla scoperta che qualcun altro ha vissuto esperienze simili, ha combattuto, non ha mollato, e alla fine ce l’ha fatta: ha vinto. Ha afferrato i propri sogni.
Nei miei due libri (Campioni del nuoto, Campioni dell’automobilismo) racconto la passione per lo sport, tale da spingere Ian Thorpe, che era allergico al cloro, a nuotare con la testa fuori dall’acqua. Niki Lauda, invece, chiese alle banche un grosso prestito e pagò pur di correre in Formula 1 e dimostrare quanto valeva.
Racconto l’importanza di impegnarsi, perché il duro lavoro paga in tutto e sempre. Non importa quanto talento si possiede, per raggiungere un grande risultato bisogna allenarsi, arrivare presto in pista, in palestra, in piscina, mettercela tutta sempre. Chi si lascia coccolare dalle doti naturali, presto o tardi, avrà un brutto risveglio.
Lo dicono i campioni veri, non io:
Lavoro su un determinato movimento costantemente, finché a un tratto smette di sembrarmi così rischioso. Il movimento rimane pericoloso e sembra pericoloso ai miei avversari, ma non a me. Il lavoro duro l’ha reso semplice. Questo è il mio segreto. Questo è perché vinco.
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Nadia Comaneci, la prima ginnasta al mondo che, alle Olimpiadi di Montreal 1976, a soli quattordici anni ottenne il 10 perfetto. E non una volta sola, bensì sette
In molti hanno talento, ma l’abilità richiede un lavoro duro… Molta gente crede che il mio modo di giocare sia stato un dono di Dio, mentre in realtà è soprattutto il frutto di ore di lavoro in palestra.
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Michael Jordan, stella del basket internazionale
Ma la cosa più interessante da raccontare ai bambini è il valore della sconfitta. Mi ha sorpreso scoprire quanto siano reattivi sull’argomento. Ovvio, preferiscono vincere, ma non faticano a comprendere che da una sconfitta si può imparare molto, che non mette in discussione i risultati conseguiti fino a quel momento, che può semplicemente essere il risultato di una cattiva preparazione, che non ci si può avvilire se abbiamo dato il massimo delle nostre possibilità, e allora non resta che rimboccarsi le maniche e ricominciare ad allenarsi. Puntare al prossimo obiettivo.
Non ne avevo più di così, ci ho provato fino alla fine. Fa male, ma so di avere dato il massimo. Riprendersi da una sconfitta si può, è una cosa che mi è capitata tante volte, lo sport è fatto di questo.
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Federica Pellegrini, oro olimpico nei 200 mt stile libero a Pechino 2008
E che dire dell’età? Ci sono campioni che hanno vinto contro avversari giovanissimi. E la famiglia? Quanto conta nella crescita di uno sportivo? Insomma, nella nostra società non esiste un altro contesto così vasto e trasversale per facilitare l’apprendimento della resilienza (il “mi piego ma non mi spezzo”), quanto quello sportivo. I campioni di ieri e di oggi possono diventare fonte di ispirazione e insegnamento per i piccoli alle prime esperienze sportive e, per estensione, a tanti altri contesti: il mondo del lavoro, della scuola, e perché no? anche la vita di tutti i giorni.
Per me è stato così. La consapevolezza acquisita con lo sport (il mio adorato tennis) mi ha senz’altro aiutato nel cammino per diventare scrittore, un cammino fatto di porte in faccia, critiche, successi e delusioni, in cui la caparbietà e il duro lavoro contano almeno quanto il talento. È così che lavoro, giorno dopo giorno.
Ve la ricordate la bambina del triathlon? Mi ha ascoltato per tutto il tempo, spesso in silenzio, attenta più di ogni altro nella stanza. Ogni volta che spiegavo le qualità per diventare campioni le appariva una scintilla, nello sguardo e, quando ho raccontato che Michael Phelps guardava le Olimpiadi in TV e sognava di salire sul podio, la scintilla ha preso fuoco, la testa è scattata su e giù. Era anche il suo sogno.
E io spero che lo agguanti, come io ho fatto con il mio.
Daniele Nicastro