Benedetta oggi ci racconta di Hedy Lamarr, prima attrice a recitare una scena di nudo, per noi ritratta da Aurora. Hedy, oltre a essere stata una delle donne più belle del mondo, è stata anche una grande inventrice: ebbe l’intuizione che la portò a inventare, insieme al pianista George Antheil, il principio alla base del wi-fi.
Consiglio musicale: Masterpiece, Madonna
Sono stata tutta la sera in piedi accanto al pianoforte. Ho appoggiato gli avambracci allo strumento, sporgendomi lievemente verso Antheil, per osservare le sue dita accarezzare i tasti. A volte anche lui ha alzato lo sguardo, osservandomi in piena estasi, per poi chinare di nuovo il capo sulla tastiera.
George ha suonato una canzone dopo l’altra, senza darmi un attimo di tregua. A volte, quando sentivo il ritmo cambiare drasticamente, mi lasciavo sfuggire una risata a tratti esasperata. Poi, come se nulla fosse, mi adeguavo al nuovo ritmo e continuavo a cantare, in perfetta sintonia col mio folle pianista.
Dobbiamo essere sembrati un duo decisamente affiatato, visti dall’esterno. Magari alcuni degli uomini che, svogliati e forse anche annoiati dalla festa, fumavano o bevevano si sono chiesti quante ore abbiamo passato a provare per raggiungere questa intesa praticamente perfetta. Chissà cosa direbbero se sapessero che in realtà questo non solo era la prima volta che io e Antheil suonavamo assieme, ma anche che è la prima volta che ci incontravamo!
Mentirei se dicessi di non sapere come mai ci siamo ritrovati a suonare, stasera.
Lui, come tutti gli uomini, è rimasto colpito da me. Alcuni sostengono che io sia la donna più bella del mondo, capace di affascinare chiunque, sullo schermo e nella vita reale. Ne sarei anche lusingata, se non fosse per il fatto che per ammaliare un uomo basta restare immobile e atteggiarsi da oca.
Io, invece, non sono rimasta affascinata da George in quanto celebre pianista surrealista, quanto dall’informazione che era stato ispettore per il Ministero dei Rifornimenti e Approvvigionamenti. Sembrerò assolutamente cinica, e forse lo sono anche, ma ho subito pensato di aver trovato qualcuno a cui parlare della mia idea. E ogni volta che incrocio il suo sguardo incantato mi convinco che certo lui mi presterà ascolto.
Quando ero appena una ragazza, mi sposai con il “mercante di morte”, Mandl. Lui, quattordici anni più vecchio di me, colpito dalla mia bellezza e per nulla turbato dallo scandalo del filmn Exstase, nel quale mi ero mostrata completamente nuda, mi aveva corteggiata per mesi, fino a quando non avevo accettato –spinta da mia madre- la sua proposta di matrimonio.
Non fu un matrimonio felice, esattamente come tanti altri. Finita la luna di miele, mi ritrovai prigioniera in una gabbia dorata. Potevo uscire dal palazzo solo per fare acquisti e ogni qual volta mio marito riceveva ospiti dovevo mostrarmi loro, quasi fossi un trofeo e non una donna. Erano tutti affascinati dal mio volto, dal mio corpo. Molti probabilmente mi paragonavano con quanto di me avevano visto in Exstase, e lo facevano spudoratamente. Ma oltre alle occhiate inquisitorie non mi prestavano attenzione. Per loro era come se non esistessi. Bella com’ero, non potevo certo comprendere una parola di quello che dicevano loro, grandi politici e mercanti d’armi. Quindi parlavano, parlavano per ore intere, come colpiti dal fulminante, seppure inconsapevole, bisogno di rendermi partecipe di ogni loro pensiero.
È così che ho sentito parlare per la prima volta del progetto di comandare a distanza ordigni. Nonostante non avessi terminato gli studi di ingegneria, riuscivo a cogliere i concetti e, in parte, a elaborarli. Del resto ero costretta a passare tanto di quel tempo chiusa in quel salotto che il mio solo svago era pensare a come creare una frequenza variabile, intercettabile solo da chi trasmette e da chi riceve.
Ormai lontana dalla festa, continuo a canticchiare, ripensando alla nostra esibizione fatta di continui cambi di tempo e ritmo, che mi ricorda vagamente la frequenza variabile a cui ho pensato per interminabili pomeriggi prima di riuscire a scappare da mio marito.
“Di chi è quest’auto?”, chiedo; “Di Antheil”, mi dicono.
Sorrido.
Apro la borsetta e prendo il rossetto.
Appoggiando una mano sul cofano dell’auto, traccio il mio numero di telefono sul parabrezza.
Guardo il numero che ho tracciato.
Poi mi chino di nuovo e mi firmo:
Hedy.
Benedetta