Ai primi di settembre, il nostro redattore era seduto insieme ad altri cittadini. Alla Versiliana, davanti a lui, c’erano il fondatore del Fatto Quotidiano, Antonio Padellaro, e un noto giornalista del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli. Terminato l’interessante dialogo, Federico ha potuto parlare con Antonio Padellaro, con il quale ha registrato l’intervista che qui sotto abbiamo la fortuna di farvi leggere.
Quale è stato il percorso che l’ha portato a essere ciò per cui la conosciamo, cioè fondatore e già Presidente del Fatto Quotidiano?
Io lavoro nei giornali dal ’68: vengo dall’altro secolo e dopo 50 anni le esperienze che ho avuto posso dire che mi hanno segnato molto. Facendo un po’ d’ordine, io ho avuto la fortuna di lavorare per l’agenzia ANSA, poi quasi 20 anni al Corriere della Sera, poi 10 anni come vicedirettore de L’espresso, poi all‘Unità prima come condirettore e poi come direttore. Queste esperienze diverse, con dei direttori di grande qualità (basti pensare che sono stato assunto da Giovanni Spadolini, Piero Ottone, Ugo Stille, o che ho lavorato con Claudio Rinaldi, Furio Colombo, e poi tutta la brigata del Fatto, in primis con Marco Travaglio). Sono quindi stato in buona compagnia e con grandi giornali e questo evidentemente mi ha arricchito. Parlando dell’avvicinamento al mondo giornalistico, ho iniziato molto giovane. Dopo la Laurea in Legge, durante l’estate fui mandato da mio padre a lavorare all’ANSA. Lì ci fu un momento in cui avevo deciso di gettare la spugna poiché c’era stato un episodio penoso: in Senato suona un telefono, chiedono un giornalista dell’ANSA – lì, al momento, ero l’unico -, al che io mi propongo. Di contro, chi aveva risposto al telefono mi rispose: “hanno detto che vogliono qualcuno, non nessuno”. E lì pensai che sarebbe finito tutto, che avrei gettato la spugna. Invece, come il tempo ha mostrato, non è andata così.
Entriamo nello specifico della politica: sentiamo tante persone differenti parlare di populismo. Io personalmente la trovo una parola molto abusata. Può farci un chiarimento su cosa realmente significhi, al giorno d’oggi, essere populista?Effettivamente è complicato rispondere a questa domanda perché ci si deve rifare a una stampa che vive di etichette. Comunque, non mi sottraggo: populismo può essere certamente un’ingiuria, perché identifica demagogia, qualunquismo, rifiuto delle regole in nome di una rivolta dal basso. Ma vorrei sottolineare che la parola “popolo” è una parola importante, seria, nobile. Il simbolo della Roma imperiale era SPQR, Senatvs PopvlvsQve Romanvs, cioè “Il Senato e il Popolo Romano”. Il termine populismo, quindi, può anche essere indicante un richiamo alla legittimazione del potere che risiede nel popolo, e può essere un valore, da preservare. Il significato che si lega al termine è quindi, a oggi, generalmente negativo, ma è bene sapere che non è affatto detto che debba essere così. Inoltre, il termine oggi viene sovente utilizzato per criticare le due forze politiche che vanno per la maggiore, cioè la Lega e il MoVimento 5 Stelle, ma io credo che a questi si debba trovare una alternativa con i fatti, che sia migliore di quello che le due forze propugnano, e non accusandole con epiteti o termini ingiuriosi.
Molti episodi, non ultimo quello riguardante il Ministro Savona, hanno evidenziato il ruolo dei mercati nella scelta della formazione di un governo: fino a che punto, secondo lei, queste logiche hanno invaso la nostra società?
Anzitutto credo sia opportuno chiarire che se si parla di mercati non si sta parlando della Spectre o di qualche altra folle associazione mossa da interessi oscuri, quanto piuttosto del fatto che, vivendo in un’economia di mercato, la grande finanza (che poi rappresenta anche milioni di consumatori, non solo i Paperon de’ Paperoni) cerca di massimizzare i propri profitti, magari speculando. I famosi mercati sono forze che agiscono sulla base di interessi banali e nient’affatto oscuri, mentre sono stati mitizzati come coloro che vogliono cospirare contro il nuovo governo. E’ quindi ovvio che se io Fondo d’Investimento ho l’impressione che l’Italia stia per uscire dall’euro, non investa su un Paese che sta per fare un’operazione rischiosissima.
Lei nell’intervento che ho avuto la fortuna di seguire alla Versiliana, alla Festa del Fatto, ha pregato i politici di sospendere per un po’ di tempo la “campagna elettorale costante” in cui sono immersi. Ci spiega il perché?
La risposta è rapidissima. Questa campagna elettorale permanente non ha alcun senso perché davvero non si capisce bene perché gettare benzina sul fuoco come fa Salvini o fare un’opposizione pregiudiziale che ritiene che tutto ciò che faccia il governo sia errato, e inoltre infastidisce tutti quei cittadini che vorrebbero seguire con tranquillità un civile dibattito pubblico.
Come ultima domanda, vorrei chiederle come sia possibile riavvicinare i giovani alla politica e se, a suo avviso, attività come il nostro blog, del tutto giocata sull’entusiasmo giovanile, possano essere utili in tal senso.
Riavvicinare i giovani non è facile anche perché un ragazzo di 20 anni non si convince con le belle parole o con la retorica, ma solo con l’esempio. Se i giovani vedranno nell’autorità fonte di disordine, disarmonia e anarchia, è chiaro che riceveranno un’impressione pessima e che saranno portati ad andare per la nostra strada. La politica deve avvicinarsi a loro, recuperando la bellezza della cosa pubblica, poiché se la politica stessa viene ritenuta come gli affari personali di questo o quel politico, i giovani scapperanno a gambe levate, e avranno ragione di farlo. E naturalmente, avendo la possibilità di esprimere questo concetto su un blog di giovani, non posso che ritenerlo un supporto al tentativo, tanto nobile quanto urgente, di riavvicinare i giovani alla politica e alla cultura.
Federico