Quella che segue non è un‘intervista come quelle a cui vi abbiamo abituato. Innanzitutto, a rispondere è più di una persona: il nostro redattore ha infatti dialogato con un collettivo di artisti (Irene Brambilla, Arianna Romeri, Stefano Muffatti e Nicola Mazzoleni) che ha appena tenuto una mostra – dal nome Persone dentro, fuori e altrove – e che ha discusso con Federico della propria esperienza personale, della – comune e diversa – visione dell’arte, nonché dispensato consigli e opinioni utili a futuri artisti. Buona lettura!
Qual è stato il vostro percorso individuale, arrivando a sviluppare un proprio tratto di riferimento? Quali sono le tecniche che vi caratterizzano?
IRENE BRAMBILLA (da qui, I.): Io ho fatto il Liceo Artistico dopo il quale ho avuto una sorta di crisi perché mi ha dato molta tecnica ma non ha fatto sviluppare un mio linguaggio; alcuni anni dopo, una volta scoperto il mondo delle illustrazioni, ho ricominciato a dipingere, e, grazie a una scuola di illustrazione di Milano, ho trovato uno stile che mi rappresentasse. Come tecniche principalmente uso acrilico e inchiostro su tela, su legno e su foglio.
ARIANNA ROMERI (da qui, A.): Idem. Durante il periodo dell’artistico (eravamo compagne) amavo soprattutto la scultura, che però a casa non riuscivo a portare avanti; quindi mi sono dedicata in diversi periodi a sperimentare tecniche differenti senza mai trovare una linea comune a tutti i miei quadri, finché, dedicandoci più tempo si è sviluppata naturalmente. Mossa dalla passione per il ritratto e il naturalismo sono riuscita a unirne le forme e farne un segno di riconoscimento. Mi sono specializzata nell’uso dell’acrilico, inizialmente per comodità di stesura poi come scelta.
NICOLA MAZZOLENI (da qui, N.): Sono un figurativo, mi sono formato con workshop nazionali ed esteri inizialmente per imparare la tecnica a grafite su carta e successivamente per il carboncino su carta e l’olio su tela.
STEFANO MUFFATTI (da qui, S.): Io sono un autodidatta, sono partito a disegnare paesaggi e, una volta scoperto l’astrattismo, mi sono ritrovato in questo tipo di pittura perché mi permette di esprimermi in un modo viscerale ed espressivo. Le mie opere sono legate all’analisi dei sentimenti, e tutte le mie opere nascono da uno sfogo, e rappresentano un vero e proprio bisogno espressivo.
Visto il vostro evolvere singolo, mi piacerebbe capire come (e perché) vi siate incontrati.
A.: Rispondo io per tutti. Io e Irene ci conoscevamo già, come detto; gli altri ragazzi li abbiamo conosciuti a Scarpatetti Arte, per caso. Ci siamo piaciuti subito e dal’anno scorso, nel 2018, abbiamo preso la decisione di incontrarci, un giorno a settimana, per parlare di arte e dipingere insieme. Trovandoci molto bene, e tenendo alcune piccole mostre (sia singolarmente sia collettivamente), abbiamo deciso di lanciarci nel nostro progetto più importante, che è stata la mostra tenuta a Palazzo Pretorio. Il già citato nome della mostra – Persone dentro, fuori e altrove – rappresenta il fil rouge che unisce i nostri quattro stili: l’essere umano e la sua rappresentazione, da differenti punti di vista. Dentro, con Stefano e la sua rappresentazione del sentimento puro; fuori, con Nicola e il suo figurativo; e altrove, con riferimento allo stile mio e di Irene, che porta della figure afferenti a un mondo onirico e surreale.
Dalla mia particolare visione della mostra mi è parso di vedere – come tratto comune – una ricerca dentro il quadro, che va molto oltre l’idea di una rappresentazione già definita in partenza. Confermate questa mia impressione? E, in riferimento alle due “estremità” (l’inizio e la fine) di un’opera, come iniziate e quando capite che è un’opera è conclusa?
I.: Nel mio caso è una questione di energia: sento dentro di me che quel quadro è a posto così, che mi soddisfa così com’è. Parimenti per il suo significato: mi capita sovente di iniziare una rappresentazione semplicemente perché il soggetto è di mio gradimento, e, a posteriori, trovarne la motivazione più profonda.
A.: Per me funziona diversamente. Se inizio un quadro e se so che funzionerà, è perché ce l’ho già in testa: per esempio, non faccio schizzi. Normalmente, quando ho un’idea in testa, elucubro moltissimo fino a renderla chiara del tutto; una volta fatto, poche ore dopo l’idea è su tela, finita senza troppe esitazioni. Non sempre, purtroppo, è così: capita anche che io vada a tentativi, ma in quei casi è molto difficile che l’opera mi soddisfi fino in fondo. Similmente a Irene, invece, mi capita di cogliere il reale significato di quanto appena rappresentato solo una volta allontanatami dalla tela.

S.: Una mia opera nasce innanzitutto da un processo emotivo che esprimo attraverso i colori e soprattutto i tratti e i graffi. Spesso, inoltre, un’opera nasce dal fallimento o dall’insieme di altri lavori più piccoli che io chiamo “matrici”. Accade infatti che per alcuni giorni mi esprima – a volte confusamente – soprattutto su fogli di carta. A seguito di questo processo creativo nascono opere pittoriche di dimensioni maggiori che come ti ho detto hanno questa componente emotiva. In fase di esecuzione nasce poi la parte concettuale che porta a volere esprimere aspetti relativi ai sentimenti e alle relazioni tra le persone. Più semplicemente, invece, per quanto concerne la fine: quando un’opera mi soddisfa a livello emotivo, mentale ed estetico, quella stessa opera può dirsi finita.

N.: Le mie opere cercano di rappresentare i sentimenti delle persone che ritraggo spesso lasciandomi influenzare delle impressioni che si creano durante il lavoro. In altre opere, soprattutto intendo farlo in quelle future, voglio rappresentare i moti dell’animo dell’umanità, sia quelli più alti sia quelli in cui l’umanità è scesa nei punti più bassi. Le mie opere iniziano da un’idea di base, si consolidano tramite un ritratto fotografico che è solo l’underpainting di quello che risulterà l’opera finale che ha inevitabilmente una vita propria.
In poche parole, ci date una vostra definizione di arte?
A.: Per me, arte significa espressione ed emotività.
I.: In solo due parole: comunicare l’invisibile.
S.: Io ne userò una sola: passione. Per me, l’arte è, rappresenta, e si definisce, come passione.
N.: L’arte, nella sua accezione più completa, dovrebbe essere semplicemente l’espressione di un sentimento.

Personalmente, nei miei interessi variamente legati al mondo dell’arte, sono molto legato al teatro, che ormai porto avanti da più di dieci anni, alla poesia e alla scrittura in generale. Tento quindi di essere il più poliedrico possibile. Questa apparente divagazione è funzionale alla domanda: tolta la pittura e la rappresentazione artistica in generale, quali sono le altre vostre passioni?
A.: Io amo moltissimo la natura, l’acqua e lo stare all’aria aperta, cosa che poi emerge nei miei quadri. Faccio apnea, faccio immersioni, e questo si legge molto nei miei quadri.
I.: Io sono un’appassionata di astrologia (tant’è che luna e stelle sono spessissimo presenti nei miei quadri), fiabe e film horror, da cui sono partite molte mie opere.
S.: La mia passione è dipingere assieme ai bambini, e in particolare lasciare carta bianca ai miei figli e far loro liberare ciò che hanno dentro.
N.: Frequento la natura quando possibile e in ogni modo possibile e adoro la vita all’aria aperta.
Posto che Leopardi non è certo il mio autore preferito (anche se trovo i versi che seguono semplicemente straordinari), una rappresentazione artistica, secondo voi, potrà mai essere così completa, piena e perfetta come le parole “dolce e chiara è la notte e senza vento”?
A.: Io non ho dubbi, assolutamente sì. Ciò che un pittore ha dentro, ciò che porta nel quadro, è unico e non sarebbe mai riducibile a parole.
I.: Eccettuate le disposizioni personali (c’è chi è più colpito dalla musica, chi dalla poesia, chi dalla pittura), mi sento di poter integrare la risposta dicendo che personalmente trovo la rappresentazione artistica anche più definitiva e completa rispetto alle altre.
(Mentre gli altri si dicono d’accordo – per questo non trovate le loro risposte -, Arianna completa ulteriormente la risposta l’ultima integrazione, ndr).
A.: Non so se riterrei la pittura superiore alle altri arti. Noi portiamo questa specifica arte perché siamo meglio disposta verso la pittura rispetto alle altre. Concludo rispondendo a stretto giro sul tuo quesito: tu asserivi che Leopardi creasse delle immagini con le parole, mentre noi diamo, sotto forma di immagine, consistenza a pensieri: credo si possa parlare di questi due processi come di due facce della stessa medaglia.
Ci avviciniamo alla conclusione dell’intervista. Parlando di noi, Bottega di idee nasce con l’intento di aggregare giovani attorno a uno scopo culturale – verso la stessa direzione muove il nostro concorso poetico appena lanciato, ndr -: come la vedete voi sulle iniziative giovanili in generale e cosa vi sentite di suggerire a ragazzi e ragazze legati alla vostra specifica arte?
(Per ragioni di brevità – ma anche di uniformità di opinioni – rispondono alla domanda solo Irene e Arianna, ndr).
I.: Partendo dall’ultima delle due domande, a mio modo di vedere la nostra arte deve essere fatta per se stessi: se sentite il bisogno di esprimervi dipingendo o disegnando, fatelo e basta. Per quanto concerne la prima, invece, trovo che nel contesto geografico in cui siamo (si parla della Valtellina, ndr), sia importantissimo unire le molte persone creative che ci sono sotto un unico “abbraccio culturale”: e dal momento che Bottega di idee fa questo, e lo fa con ragazzi giovanissimi, lo trovo davvero molto molto prezioso e credo che possa essere un’iniziativa lodevole e d’esempio per molte altre.
A.: Ripartendo da qui, credo che il tuo blog (che prima di incontrarti non conoscevo) sia molto coraggioso come intenti oltre che sicuramente impegnativo a livello di organizzazione. Dopo aver letto vari articoli, posso dire che si nota che muove da un bisogno di conoscenza – sembra una rivista culturale sul web. Mi piace che si tocchino vari argomenti e che ci siano dietro persone giovani e attente al mondo ma soprattutto interessate a valorizzare il lavoro dei coetanei. Tornando alla domanda sulla nostra arte, da lì ad arrivare a uno scopo commerciale, cioè al vivere grazie alla propria arte, è necessario scendere un pochino a compromessi, cioè il rappresentare ciò che il pubblico ti chiede, non muovendo solo e soltanto dall’esigenza propria.
Noi che, invece, uno scopo commerciale per fortuna non ce l’abbiamo, speriamo che con questa intervista possa esservi arrivato un ulteriore stimolo a credere nelle proprie possibilità e nel proprio stile personale. La cultura, nelle sue varie forme – per parafrasare il famoso motto di una squadra di calcio – non è importante: è l’unica cosa che conta.
Federico