L’equilibrio, un muoversi senza cadere
Alexander Calder è un artista contemporaneo che ha realizzato delle sculture di arte cinetica chiamate “mobili”, strutture sospese dove fili di metallo collegano lamine sottili dipinte di varie colori: si muovono piano, all’unisono, e nel loro moto risiede il loro fascino. Quando penso all’equilibrio mi vengono in mente questi mobiles, e mi ricordo che l’equilibrio non significa mai rimanere immobili, ma è sempre un barcamenarsi, uno spostarci, un cercare.
In questa epoca che vive di dicotomie, c’è qualcosa nell’idea stessa dell’equilibrio che spinge a dubitarne, a non fidarsi, ad andare a cercare altrove. C’è la sensazione persistente e fastidiosa che non sia altro che una parola per mascherare la mediocrità e nascondere il grigiore, una scusa comoda per non schierarsi, persino un sinonimo di noncuranza. Perché, in fin dei conti, se sono equilibrato, sembra che non sia da nessuna parte, né nel bianco né nel nero, e allora è come se non mi schierassi mai. Ecco, le persone equilibrate alle volte finiscono per sembrare questo, quelle figure silenziose che se ne stanno a margine delle conversazioni, non intervengono se non per pacificare gli animi, non hanno una loro opinione, oppure quei personaggi ideali baciati dalla calma più serafica che si muovono per il mondo leggeri come una nuvola, lontani dalla nostra pesantezza terrena, dalla nostra greve concretezza. Tutte immagini, lo ammetto, abbastanza antipatiche – e tutte curiosamente false.
Non so, di preciso, cosa sia l’equilibrio, però ho qualche idea su cosa non sia. Non è la cosiddetta mediocrità, come non è l’ipocrisia di chi approva un giorno qualcosa e il giorno dopo qualcos’altro. Il problema è che ci hanno insegnato che gli opposti si elidono, e abbiamo assimilato, anche senza volerlo, il principio di non-contraddizione. Cioè, se qualcosa è A, non può essere B, deve essere A soltanto. Però con i sentimenti tutto questo non funziona. In questa rubrica ho cercato di mostrare proprio che emozioni all’apparenza contrarie riescono ad armonizzarsi, a completarsi e in ultima analisi a convivere. L’ansia non esclude per forza la leggerezza, come l’infelicità non è per forza nemica della felicità – e da questa compresenza nasce quell’unico genere di completezza a cui possiamo aspirare.
Certo, in questo miscuglio, non sempre il risultato è perfezione – ma siamo esseri umani, e la perfezione non ci appartiene. E l’equilibrio stesso, è lungi da essere rappresentazione dell’armonia universale o panacea a qualsiasi nostro problema. E’ solo un modo per perdere il meno possibile di tutto ciò che sentiamo e viviamo.
Un poeta diceva: “Mi contraddico? E va bene, mi contraddico. Sono spazioso. Accolgo moltitudini”. La vita umana è essenzialmente movimento e in questo flusso continuo di eventi, persone, sentimenti, pretendere coerenza forse è troppo – anche l’equilibrio, paradossalmente, è una prova di dinamismo, di muoversi senza cadere.
Serve esercizio, certo, ed è tutt’altro che spontaneo. Tutt’altro che semplice.
L’immagine è quella che conosciamo tutti, di un uomo che cammina su una corda, al di sopra di un abisso, e ad ogni passo potrebbe cadere, e nondimeno continua a camminare.
Serve esercizio, certo, ed è tutt’altro che spontaneo. Tutt’altro che semplice.
L’immagine è quella che conosciamo tutti, di un uomo che cammina su una corda, al di sopra di un abisso, e ad ogni passo potrebbe cadere, e nondimeno continua a camminare.

Francesca