“Molti nemici, molto onore!” – Benito Mussolini
“Da quei corpi sanguinanti e inerti sorgeva un monito: pace, pace.” – Aligi Sassu
“Arrendersi o perire!” – Sandro Pertini
E’ il 25 aprile 1945. Sandro Pertini proclama lo sciopero generale. Il Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia indica a tutte le forze partigiani presenti nel Nord Italia di attaccare ogni presidio fascista e tedesco; e, in aggiunta, stabilì la condanna a morte di tutti i gerarchi fascisti, compreso Benito Mussolini.
L'”arrendersi o perire” pertiniano assurse a vero e proprio inno, diventando una sorta di parola d’ordine che si diffuse tra tutti i partigiani, che entro il 1° maggio liberarono tutto il Settentrione.
Ma, per quanto la data di oggi vorrebbe farci pensare il contrario, non è di questo che vorrei parlarvi. Se le due frasi di sopra, quella mussoliniana recentemente citata da un politico decisamente troppo in linea con alcune convinzioni tipiche del Duce, da noi descritto da Michele, e quella ben nota del futuro Presidente della Repubblica, vi erano certamente già note; ben meno dev’esserla quella di Aligi Sassu, pittore e scultore italiano, che ha raffigurato in varie opere la Resistenza. L’opera immagine dell’articolo, nuovo lavoro di Lara, ricalca invece un’opera di Renato Guttuso, che, con un uso molto espressivo del colore, nella sua opera (che vi lasciamo qui sotto) vuole raffigurare tutta la tensione e il dramma della guerra civile, piegando l’opera a un ben preciso fine comunicativo, di impegno sociale e politico – non a caso, Guttuso era iscritto al Partito Comunista.
Il quadro di Guttuso, come altri suoi (si ricordi per esempio Fucilazione in campagna), lancia un messaggio ben preciso: è un omaggio, per usare le sue parole, a “tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere e supplizio per le loro idee”. Un messaggio di lotta, forte e preciso, singolare e universale: intriso nell’opera c’è l’ardore di Goya, autore che ovviamente non potevamo non citare – quale opera meglio della sua Fucilazione rende la violenza e la crudeltà della guerra? -; la denuncia universale alla violenza che Picasso opera con Guernica; ma c’è anche, per altro verso, la protesta partigiana, l'”arrendersi o perire” che mosse quasi 80000 combattenti (dati presi dalle stime del Corpo Volontari della Libertà diffuse nel ’72, nda), e quell’antifascismo che, è bene non dimenticarlo mai, è costitutivo della nostra Repubblica.
Ed è di questo che volevo scrivere, su questo che vorrei insistere, ed è quanto segue che credo non debba venire mai dimenticato: potranno esservi (e purtroppo, certamente ce ne saranno) altre violenze. Probabilmente altri genocidi. Milioni di morti ancora ci attendono e insanguineranno l’incolpevole Terra. Ma vi sono alcuni tratti, alcune caratteristiche, alcuni fondamenti dell’essere umano che sempre resisteranno: il coraggio, l’amore, l’aiuto reciproco. Che Aristotele abbia torto o ragione, che l’uomo sia animale sociale o meno, dacché l’uomo viva, ha necessitato di aggregarsi in comunità. E, così facendo, si è obbligato a parlare con il prossimo, ad averne cura come se stesso (per citare un saggio uomo che ha ispirato molti), a fare professione di aiuto reciproco, muovendo l’uno verso l’altro. L’aiuto reciproco che è ospitalità del prossimo, che è pensiero di un mondo abitato da tutti e posseduto da nessuno, in cui tutti si è egualmente ospiti, fratelli di una stessa stirpe, a tratti abominevole e a tratti paradisiaca: la stirpe umana. Stirpe umana che accomuna Hitler a Mandela, Stalin a Gesù, Mussolini a Gandhi.
Aiuto reciproco, amore, coraggio. Esplorato il primo, per gli altri due non resta che aggiungere che essi siano prolungamenti dell’animo umano: non esiste uomo che non ami, né uomo che non abbia, interno a sé, quel pathos, quella forza, che gli impedisca di sottomettersi di propria sponte alla schiavitù, alla discriminazione, all’odio. In questo, ne siamo certi, Aristotele aveva torto: non esiste uomo che sia schiavo per natura.
E non esiste forma migliore dell’arte, per resistere. Prendere forza e coraggio, caricare l’arma (che sia pennello, matita o scalpello) e sparare: vibranti pennellate, sinuose forme, violenti colori.
Fare arte per protestare, ieri come oggi: da Guttuso a Banksy – tanto per fare un nome più moderno. Fare arte per sopravvivere, avendo il coraggio di denunciare le ingiustizie e i mali dell’uomo e non solo. Fare arte per resistere, a ogni sopruso e a ogni iniquità.
Questo voleva essere l’incitamento alla base del nostro articolo, il credo che volevo condividere, il convincimento su cui far poggiare un messaggio di speranza e di rinascita, collettiva e umana. Che parta dall’arte e che finisca nell’arte.
E che faccia correre, in tutti i nostri corpi, un lungo e intenso brivido: il coraggio, la forza, la voglia, di resistere. Che parta dalla guerra e che finisca nella pace.
Perché, per concludere circolarmente questo articolo, “da quei corpi sanguinanti e inerti sorgeva un monito: pace, pace”!
Federico