Le sorelle Brontë*
Le nuvole incombevano grigie sopra la brughiera. Nell’aria si sentiva ancora l’odore della pioggia, che incessante aveva impregnato il suolo d’acqua nei giorni passati. La fredda brezza sferzava il volto di Anne, pungendole le guance ormai arrossate. Coprendosi la bocca con una mano e scossa dai colpi di tosse, avanzava senza meta per la brughiera. Si guardava attorno, gli occhi che senza tregua cercavano la figura della sorella. La chiamò una, due, tre volte. Le sue parole si persero nel vento. “Emily”, mormorò un’ultima volta, la voce rotta dal pianto.
“Emily…” Quel nome le impastava ancora la bocca quando si svegliò. Le guance erano ancora umide, gli occhi le bruciavano quasi non avesse dormito e la testa le doleva. Si mise a sedere sul letto. Sciogliendosi la lunga treccia, si scostò le lenzuola dalle gambe. Si alzò e s’incammino verso la toeletta. Si spazzolò i capelli, lo sguardo perso nel vuoto. Un gesto meccanico, che ripeteva da quando era bambina e che continuava a ripetere anche ora, quasi senza accorgersene. Si vestì. Si acconciò in uno chignon la chioma. Senza nemmeno guardarsi nello specchio, spaventata all’idea di confrontarsi con la sua figura, uscì dalla stanza.
Sua sorella Charlotte doveva essere alzata già da un po’. Forse non era nemmeno andata a letto, come accadeva spesso ultimamente. La trovava sveglia nello studio, la penna che scorreva su un foglio illuminato da una tremolante candela, unica luce nella notte. Scriveva continuamente. Oppure leggeva. Romanzi, vecchie lettere, vecchie poesie. A volte, di nascosto, leggeva i racconti che avevano scritto da bambini. Non voleva che gli altri la vedessero così, china su fogli vergati da grafie troppo sottili, con gli occhi gonfi di lacrime. Ma Anne l’aveva vista, e aveva provato pietà.
Era un lutto strano, quello, ben diverso da quello di qualche mese prima. La scomparsa di Branwell era stata per lei un colpevole sollievo. Emily invece aveva accusato molto più duramente il colpo. Per lei Branwell era tutto, un punto di riferimento e un bambino di cui prendersi cura. Lo aveva assistito con zelo quando tutti gli altri erano troppo stomacati dal suo comportamento per provare pietà. Lei era stata lì, china al suo capezzale, le mani intente ad asciugargli la fronte con un panno, la bocca piena di parole dolci. “Non ti preoccupare, Brannie, ci penso io”, mormorava. Svolgeva le sue mansioni in casa, poi tornava da lui. Intrattabile e nervosa con gli altri, in compagnia di Branwell diventava la creatura più amorevole del creato.
Anne si sentiva quanto mai sola al pensiero che non avrebbe più rivisto quella creatura angelica camminare per i corridoi di casa, perennemente affaccendata nonostante il fiato corto e i continui colpi di tosse.
“E se tutto rimanesse e lui fosse annichilito, l’universo si trasformerebbe in un totale estraneo: non sembrerei più parte di esso.” Anne recitò per la millesima volta quelle parole amaramente vere. La perdita di Branwell aveva ucciso Emily molto più rapidamente di quanto la sua malattia non avrebbe mai potuto fare. Il lutto l’aveva consumata nella mente e nel corpo, riducendola al mero fantasma di ciò che era stata fino ad allora. Si alzava, esattamente come continuava a fare Anne, e lavorava, come Anne non riusciva nemmeno a pensare di fare. Emily aveva continuato a svolgere tutti i lavori di casa senza lamentarsi, senza chiedere aiuto a nessuno. Appena finito, usciva a passeggiare in compagnia dei suoi cani, incurante del vento e della pioggia. Scossa dalla tosse, le labbra esangui macchiate da perle vermiglie, si rifiutava di ammettere di essere ammalata. “Non ho bisogno del medico”, ripeteva quando Charlotte la guardava con aria severa. “Sto bene.”
“Anne, sei tu?” La voce di Charlotte ruppe l’illusione. Il volto di Emily si perse di nuovo tra le pareti, la sua voce sfumò in un lieve brusio.
“Hai bisogno di qualcosa?” Anne entrò timidamente nello studio.
Charlotte sedeva impettiva sulla sedia e guardava il fuoco scoppiettare nel camino. Gli occhiali le erano scivolati fino alla punta del naso, uno ciocca di capelli le era sfuggita dalla crocchia. “No, non mi serve nulla. Ero solo stupita di saperti già alzata.”
“Non è troppo presto, mi pare.”
“Devo aver perso la cognizione del tempo”, ammise Charlotte. Sul grembo aveva dei fogli, che sfogliava sofferente.
“Cosa leggi?”
Un sospiro. “Nulla d’importante.” Prese un foglio e lo fece scivolare tra le fiamme.
“Cosa stai facendo? È la grafia di Emily.”
“Lo so.”
“Charlotte, ti prego, no.” Le lacrime rigarono le guance di Anne.
“Devi capire che lo sto facendo per lei.”
“Perché la gente si dimentichi di lei?”
Charlotte, impassibile, gettò un altro foglio tra le fiamme. “Ha già creato fin troppo scandalo con Cime Tempestose, ma quella era una storia di fantasmi.” I bordi della pagine s’arricciarono, ormai scuri. “Se la gente venisse a sapere di questo, la storia la condannerebbe.”
“Tu stessa hai scritto storie ritenute volgari… Perché non accetti che anche Emily lo abbia fatto?”
Altre due pagine. “Questo è semplicemente troppo. La massacreranno.”
“Non puoi farlo!”
“Devo salvare il suo nome.”
“Il suo nome? Salva la sua arte piuttosto!”
Charlotte scosse il capo. “Non puoi capire, tu non l’hai letto.”
“Credi davvero che lei non me l’abbia fatto leggere?”
Un’ombra scorse sugli occhi grigi di Charlotte. “Cosa vuoi dire?”
“Lei si fidava di me. Mi faceva leggere tutto. Anche quello che sapeva che tu avresti disprezzato.” La voce dura, Anne provò uno strano senso di trionfo nel vedere lo sguardo spaesato e offeso della sorella.
“Non disprezzavo la sua arte, ma ci sono dei limiti!”, balbettò Charlotte, sgomenta.
“Limiti? L’arte non deve avere limiti! Dammi quei fogli, Charlotte.”
Lei ignorò l’ordine e, mesta, continuò a dare in pasto alle fiamme le pagine. Anne si gettò accanto al camino e, tendendo le mani, cercò invano di strappare i fogli alla furia del fuoco.
Un sussurro. “Non credere che sia stata una scelta facile.”
“E cosa dovrei credere?”, ringhiò Anne, il volto sconvolto da una smorfia d’odio. “L’hai sempre invidiata. E ora stai distruggendo quel poco che c’era del suo ultimo romanzo.”
“L’ho sempre stimata più di ogni altro.”
“Per questo cercavi di portarmela via?”, domandò, la voce rotta dal pianto. Improvvisamente, la solitudine provata durante quei lunghi pomeriggi quando le sue sorelle erano a Bruxelles tornò a bruciarle in petto.
“Io non ho mai cercato di allontanarla da te.”
“L’hai sempre fatto. Tu e Branwell ci avevate lasciate da parte per dedicarvi alle vostre storie, ma quando siamo cresciute e ti sei resa conto della sua bravura hai deciso che la volevi tutta per te. Me la volevi portare via!”
“Non è vero…”
Un rumore di passi. “Miss Brontë, sono tornato.” Nicholls entrò nella stanza, il soprabito umido e il cappello stretto tra le dita. Le scarpe erano piene di fango, come dimostravano le orme che si era lasciato dietro. “Oh, scusate, non volevo disturbare”, balbettò l’uomo non appena vide il volto di Anne sconvolto dalla rabbia e dalle lacrime. “Credo anche di aver sporcato i pavimenti.”
“Non importa. Grazie ancora per aver portato fuori i cani di Emily, Mr. Nicholls. Le si sarebbe spezzato il cuore a saperli chiusi in casa tutto il giorno.”
“È un piacere per me.”
“Vogliate scusarmi.” Anne, alzatasi in piedi, lasciò di corsa la stanza, il capo chino e rovente. Si mise il soprabito e uscì di casa, incurante della pioggia pungente. Andò a cercare conforto davanti alla fredda pietra sotto la quale riposava la sorella.
“L’ha bruciato”, pianse. “L’ha trovato e l’ha bruciato.” Si mise a sedere accanto alla lapide, il capo dolcemente abbandonato contro di essa, immaginando che fosse in realtà la spalla ossuta di Emily. Rivolse lo sguardo al cielo. “Emily, lo riscriverò. Concluderò la tua storia. La nostra storia. Come quando eravamo bambine.”
Benedetta
* n.d.r.: ci scusiamo pubblicamente con i nostri lettori, ma, diversamente da quanto annunciato nell’editoriale di inizio mese, non è stato possibile (per problemi dell’autrice) portare l’articolo su Woody Allen a chiusura della rubrica sugli “Uomini della storia” – che dunque è da considerarsi terminata. Ciononostante, ringraziamo moltissimo Lara, non solo autrice – come spesso accade – dell’immagine di copertina dell’articolo, ma anche in quanto autrice del ritratto di Woody Allen, che, essendo stato realizzato precedentemente alla stesura del testo, è stato regolarmente portato a termine. A questo proposito, scusandoci nuovamente con chi legge, aggiungiamo anche il ritratto di Woody Allen alla pagina contenenti i non pochi lavori di Lara.
Grazie e buona continuazione con i nostri articoli.