Lettera alla poesia

Cara poesia,
avevo sette anni.
Un biglietto espulso dal parchimetro e una matita estratta dal taschino.
Poco spazio, la punta quasi giunta al termine, necessitante di un nuovo passaggio dal temperamatite.

Penso qualche istante. 
Mi viene un’idea.
Non mi convince del tutto.
Sospiro. Ci sono. Le parole al posto giusto, o forse no. La libertà di cambiare punteggiatura, verbi, strutture. Mantenere la forma e deformare il contenuto, oppure rivoluzionare la forma per vedere sotto nuova luce un contenuto già esplorato.

Le parole si susseguivano, una dopo l’altra, e lo spazio diveniva sempre meno. Avevo bisogno di più spazio. Quelle parole urlavano. Gridavano di dolore perché non potevano essere lette, perché nessuno sarebbe stato interessato, perché nessuno le avrebbe mai amate, nonostante la sconfinata importanza che avevano per me.

Guardo e riguardo quel foglio. Quelle parole mi piacciono, mi soddisfano, mi definiscono. Girano nel modo giusto, creano musiche e ritmi inusuali, poco esplorati, ai limiti della follia. Probabilmente non piacerà a nessuno, penso. Ma no, non è importante. La poesia è di tutti e non è di nessuno, mi dico. Mi ripeto che la poesia mi ha salvato la vita. A partire da quel biglietto del parchimetro.

Cara poesia, è da quel giorno che mi salvi la vita. Da quando mi hai insegnato che non è importante chi o quanti apprezzino. Da quando ho scoperto la tua funzione terapeutica. Da quando so di poterti scrivere una, dieci, cento volte, e che tu mi accoglierai sempre a braccia aperte. Da quel giorno ti sono grato.
Cara poesia, poche cose mi hanno salvato la vita. Tu, il Teatro, la Filosofia. Il podio. La grande triade della mia vita, che è nata e che morirà con l’Arte. Ti sono grato anche solo per il fatto di avermi donato questa passione, perché in tanti come me (e tanti meglio di me) ti hanno cantato, tessendo le tue lodi. Il tuo dono è prezioso, e si diffonde colpendo pochi cuori.
Cara poesia, io ci ho provato. Ci provo. E ci proverò sempre. A diffondere il tuo messaggio, a portarlo anche in un’epoca becera e inquietantemente ignorante come la nostra. Non sarà facile e probabilmente il mio tentativo, come quello di tanti altri, cadrà nel nulla.
Ma, d’ora in avanti, entrambi sapremo che siamo stati dalla parte giusta. A preferire la qualità alla quantità; le poche (ma buone) parole ai tanti (e sempre eccessivi) sproloqui; e a scegliere, ora e per sempre, l’ispirazione del singolo istante alla pervicace insistenza dello scrivere per obbligo, o consuetudine.

Cara poesia,
ti ringrazio.
Questo è il tuo mese, questo è il mio sogno.

Viviamolo insieme.

Federico

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