Samuele Carsana, in arte Scrazy, è un giovane rapper sondriese. Presente al nostro evento del mese scorso, in questa intervista di Federico ci racconta la sua visione della poesia e della musica, fornendoci anche un’ampia panoramica sulla sua personalità e sul suo percorso musicale.
I nostri lettori più attenti hanno già letto il tuo nome: hai partecipato, infatti, al nostro evento “Un po’esia un po’ no”, e lì ci hai detto la tua sul legame musica-poesia e ci hai fatto sentire una tua canzone, Stream of Consciousness. Come sei arrivato a essere un rapper? Qual è stato il percorso che ti ha accompagnato in questi anni?
Tutto è iniziato in modo molto personale: stavo in stanza e ascoltavo tantissime canzoni, in particolare canzoni rap, genere che mi ha catturato sin da subito. Soprattutto ascoltando canzoni di questo genere, sono riuscito a scoprire me stesso attraverso la musica, e questo è stato ciò che poi, circolarmente, mi ha portato a scrivere testi con un intento comunicativo differente, prettamente di natura riflessiva, in grado di creare nuove linee di dialogo con le persone con cui avevo poi modo di interagire nella realtà di ogni giorno. Dalla cameretta di casa mia, registrando canzoni con il registratore del telefono e facendole sentire solo a pochi e accurati amici, sono passato a scrivere testi che, a mio modo di vedere, sono molto più profondi e interessanti. Inoltre, un po’ con il mio canale Youtube, un po’ con il passaparola, e un po’ grazie a eventi pubblici come il vostro, sto pian piano riuscendo a farmi conoscere e, cosa ben più importante, a condividere le mie emozioni con altri mediante la musica. Grazie a questa condivisione ho potuto conoscere varie persone anche più “tecniche” e “del mestiere” rispetto a me, tra le quali vorrei nominare Annalisa Spera, giovane ragazza talentuosissima sia nella produzione delle basi sia nelle registrazioni di video.
Per continuare sulla scia della domanda precedente, quali sono stati i tuoi riferimenti musicali che ti hanno accompagnato in questo percorso?
Da bambino e nei primi anni da adolescente non mi curavo molto di musica, e all’ascolto di canzoni preferivo dedicarmi ad altre tipologie di attività. Crescendo, però, ho sviluppato molto interesse per il rap, come già ho detto, e qui in particolare autori come Emis Killa o Ensi (soprattutto per quanto riguarda la tecnica del freestyle) hanno fatto scoccare la scintilla. Di lì in avanti, ho sviluppato un mio stile personale confrontando vari artisti e vari testi fra di loro (scoprendo per esempio delle pietre miliari del rap americano come Illmatic di Nas, di cui consiglio l’ascolto) riuscendo a dare qualcosa alle persone che mi sono vicine, e facendomi condurre anche dal loro entusiasmo per cercare di produrre testi sempre più di qualità.
Come abbiamo detto, eri presente al nostro evento, dove siamo stati ospitati dal CollettivoQualcosa, gestito da Matteo Giordano (già intervistato da noi) di cui la tua intervista è prosecuzione naturale. Che impressioni ti ha lasciato l’evento?
Quando mi è arrivata la tua proposta per partecipare ho pensato che fosse una grande opportunità per esprimere la musica per quella che è la sua costruzione poetica in un evento che verteva su questo argomento, e per poter fare conoscere il mio modo di provare a costruire poesia in musica. Peraltro il mio modo di portare i miei contenuti ha forti intrecci con la costruzione poetica: Stream of Consciousness, per esempio, è un testo scritto con la tecnica del flusso di coscienza, in un solo pomeriggio, mentre Annalisa produceva la base. Più a stretto giro sull’evento, l’ho trovato interessante proprio per questa sua caratteristica di dare voce alle parole che derivano da uno stato di riflessione interiore, perché la poesia (rispetto a una conversazione normale) nasce da una propria sensazione, da un momento di ispirazione, e così vale per le canzoni: la poesia eleva qualsiasi argomento di cui tratti a un livello più immersivo; mentre la musica – e ogni suo genere – si può scindere in una musica più “poetica”, dove prevale il contenuto e la forma rispetto all’intento commerciale, e una più “commerciale”, dove si punta maggiormente sulla vendita del proprio brand e sulla diffusione delle canzoni. Proprio per questo, confrontare poesie tue (si riferisce al redattore, nda) e di Alice con il mio testo (certamente più “poetico” che “commerciale”, per quanto non ponga le due cose in ordine gerarchico) è stato davvero interessante e ha consentito un confronto vivo e proficuo.
Dopo questo approfondimento sul genere musicale a cui appartieni, mi piacerebbe che fornissi a me e ai nostri lettori una panoramica più specifica su come tu viva il rap, nonché sui tuoi impegni presenti e sui tuoi auspici futuri.
Io ho sempre visto nel rap una possibilità di esprimermi sia a livello umano sia a livello artistico; con il tempo ho sempre più preso padronanza di mezzi e tecniche del genere specifico, e ho sempre cercato di portarle avanti con un intento fortemente artistico. In questo senso, il mio percorso rispecchia al meglio quest’intento: andando avanti e in modo del tutto spontaneo, mi sono avvicinato a veri e propri appassionati di musica, ho cercato di creare testi che riflettessero la mia spontaneità. Ed è proprio la spontaneità a essere motore propulsivo della mia programmazione futura: conoscere nuove persone, ascoltare sempre più pezzi di genere sempre più diversi, e procedere sempre mossi da una propria urgenza personale (e non da un’esigenza di guadagno) è ciò su cui punto per costruire il mio futuro, costituito da porte che so esserci ma che devo ancora aprire.
Cambiamo, per un attimo, direzione. In molti sostengono che sentire canzoni dai messaggi inequivocabilmente misogini, piene di parolacce e che elogiano droghe leggere e non leggere, sia fortemente diseducativo e rischi di traviare i tanti giovani che ascoltano. Qual è la tua opinione in tal senso?
Personalmente ritengo che si tenda a giudicare un fenomeno senza conoscere la circostanza e il contesto nel quale il fenomeno è calato. Il rapper è colui che esprime un proprio sfogo personale, attraverso un linguaggio volutamente provocatorio, che non deve necessariamente trovare legittimità da parte dell’ascoltatore ma promuovere in lui forme di pensiero critico che, in alcune circostanze, possono legittimare un confronto diretto (o via interazione digitale) con l’artista indirizzandolo verso quelle che saranno poi le sue inedite e magari differenti forme di comunicazione.
Rimaniamo su questo punto che personalmente trovo interessante. Non credi, visto che nella sua maggior percentuale, l’ascolto di un testo rap (o anche trap, per quanto i due generi siano tutt’altro che sovrapponibili) è prevalentemente superficiale, i giovani ragazzi che ascoltano, ignorando il contesto da cui certi messaggi sorgano, possano essere traviati da quelle parole?
In merito a questo vorrei evidenziare come l’artista, nel momento in cui fa musica, possa essere sì educatore con i testi ma non può adempiere solo a quello. L’arte spesso si esprime nelle sue forme più particolari e questo a volte implica un tipo di immersione, un ascolto di un determinato vissuto che può essere molto estremo ma, non per questo, fuorviante per chi lo ascolta. Infine, devo dire di essere abbastanza convinto nel riscontrare un’educazione piuttosto fragile e frammentata, basata su smartphone forniti troppo presto e ben rappresentata dai costanti litigi genitoriali il cui peso ricade sul figlio. In un contesto simile, cui si aggiungono razzismi e costanti fenomeni di violenza, voler trovare la causa di atti degenerati da parte di giovani ragazzi nelle canzoni che questi stessi ragazzi ascoltano, mi sembra davvero folle.
Ultimo tassello per completare questo puzzle è una riflessione sul rapporto persona-personaggio, che non certo da oggi scuote intere generazioni di artisti. Ti chiederei, dunque, di fornirci tre parole per descrivere Samuele e tre per descrivere Scrazy.
Per descrivere Samuele direi ascoltatore, spontaneo e leale. Per quanto riguarda Scrazy, che peraltro è personalità veramente simile a me, direi intraprendente, sicuro e bipolare, nel senso non ovviamente patologico ma letterale, e cioè il portare avanti molteplici personalità, nella speranza che, mostrando varie sfumature di colore, il quadro d’insieme risulti coerente e piacevole.
Per chiudere circolarmente l’intervista, con una domanda molte simile a quella fatta a Matteo Giordano, vorrei chiederti cosa ne pensassi del sogno che io, in quella domanda, avevo indicato come mio principale, e cioè “un mondo giovane, con interessi culturali vivaci e un rispetto per il prossimo figlio di un certo sistema valoriale che oggi mi pare perduto”.
Sarò sintetico: oggi credo che vi siano un’infinità di giovani davvero interessanti e pieni d’iniziativa. Inoltre, dalla diffusione di Internet in poi, la possibilità di conoscere tante realtà interessanti si è enormemente accresciuta. Non solo, quindi, condivido il tuo sogno, ma credo per renderlo concreto servano principalmente due ingredienti. Il primo è che gli artisti (se si parla di musica, ma in generale le figure di riferimento) si facciano portatori di questo messaggio, portando dalla loro tutte le persone che li seguono; il secondo è che siano i giovani stessi ad auto-organizzarsi e a diffondere un messaggio culturale. E, in questo senso, blog come il tuo ed eventi come il nostro vanno proprio in questa direzione.
Federico