Il viaggio delle Stelle

Dopo l’intervista a Eleonora, Andrea, altro ragazzo di BLIVE, ci racconta dell’esperienza del Viaggio delle Stelle appena concluso, avviatosi a Milano il 25 maggio e terminato a Cortina d’Ampezzo il 1° giugno.

È una di quelle storie che iniziano dalla fine, da quando tutto è già stato e hai il tempo di rivedere i momenti che ti strappano un sorriso mentre sei nel traffico, in metro e la città è tornata a viverti intorno. Siamo tornati ma non è passato nulla, è ancora tutto li e li rimarrà per sempre, impresso in uno spazio protetto della tua mente, non tra le altre cose della vita. Ci portiamo dietro i sorrisi, la fatica, la soddisfazione, l’emozione di quei momenti passati a guardare la nostra vetta avvicinarsi.

Siamo partiti da Milano inesperti, alcuni di noi non sapevano nemmeno andare in bicicletta, alcuni sapevano farlo ma era passato tanto, troppo tempo da quando avevano dovuto lasciare il sellino di una bici e si erano seduti a guardare il mondo dalla finestra della loro stanza in ospedale. Siamo partiti con le nostre paure, anche chi sembrava non dovesse averne, e le abbiamo vissute tutte, fino in fondo. Le abbiamo guardate in faccia e ci abbiamo riso insieme.

Abbiamo partecipato tutti, facendo la nostra parte perché fosse possibile arrivare a quella vetta che rappresenta l’audacia e la speranza di chi è partito con noi, anche solo con il pensiero e chi ci ha portati un po’ più vicini ai nostri amici sopra le nuvole. C’è stato chi ci ha aperto le case per ospitarci, dato un posto a tavola per sfamarci dopo quelle pedalate sotto la pioggia, la grandine ed infine il sole. Nessuno però ci ha mai chiuso una porta o negato un sorriso, come quella signora del bar sulla statale, uno di quelli dove sai che si mangia bene per i camion parcheggiati fuori e che ci voleva offrire da mangiare quando gli abbiamo raccontato di noi. Forse perché mettevamo allegria o forse perché quello che portavamo era talmente forte che lo hanno sentito tutti mentre passavamo.

Una sfida la nostra, di arrivare lassù, tra le montagne di Cortina. Una sfida nella quale ci siamo messi alla prova oltre ogni limite fisico o mentale che fosse, oltre la stanchezza che era tanta ma non pesava mai. Quando finivamo di lavorare, tardi la notte, dopo una giornata frenetica che ci aveva tolto le energie ma le trovavamo perché dovevamo raccontare la nostra storia, per fare sapere a tutti chi siamo e cosa stiamo facendo. Non si può dire che la sveglia facesse piacere però non eravamo mai troppo stanchi per iniziare la giornata, sapevamo che ci stavano aspettando gli altri per bere il caffè e questo bastava a darci energia per ripartire. Ogni mattina, ogni sera, ogni giorno quei volti che potevamo non avere mai visto eppure dopo qualche giorno erano diventi gli amici di una vita, quelli a cui puoi dire tutto. Amici speciali che ti danno forza con una sola parola e con i quali non smetti mai di ridere, amici che ti fanno emozionare con un brindisi e quando senti che non ti lasceranno mai indietro. È stato uno degli aspetti più belli, l’amicizia che ci ha uniti, ci siamo sentiti davvero parte di qualcosa. E di qualcosa eravamo parte, di quella grande scommessa che eravamo determinati a vincere, fin dall’inizio, da quando è stata ideata. Determinati a portare a termine ogni tappa perché lo stavamo facendo per tutti, senza poter dare la guarigione a nessuno ma potendo però regalare una speranza. Eravamo determinati perché la nostra vetta era la stessa e quindi le nostre strade per una settimana, anzi da quella settimana, si sono unite per arrivare in alto dove il mondo sembra piccolo e le stelle sono vicine quasi a toccarle.

Allontanandoci dalle autostrade e percorrendo le statali abbiamo scoperto quanto bello è il nostro Paese, abbiamo visto il verde dei prati, dei boschi e delle vigne, l’oro delle spighe che ondeggiavano nel vento e lo smeraldo dei laghi di montagna. Poi quando siamo arrivati alla vetta abbiamo visto quel cielo mozzafiato che sembrava il dipinto di un puntinista. Abbiamo però anche visto quei luoghi dove le cicatrici ricordano il passato sanguinoso della guerra che oggi dorme nelle trincee coperte di muschio. Abbiamo visto la diga del Vajont, una cicatrice ancora viva, che ricorda quella maledetta notte del 63 quando la montagna e franata e l’acqua si portata via tutto e tutti. In questi luoghi siamo andati con le nostre cicatrici e abbiamo continuato a pedalare portandoci dietro ciò che abbiamo imparato per superarle.

Adesso che siamo qui, da dove siamo partiti, il viaggio non è finito, ce lo portiamo con noi che siamo più forti per tutto quello che abbiamo imparato, per tutti sorrisi che ci sono stati regalati e che abbiamo regalato, consapevoli  di nuovi limiti e pronti a intraprendere una nuova sfida insieme agli amici che ci danno forza per ripartire.

Andrea Pravadelli

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