Viaggiare non è solo spostarsi: è muovere verso una maggiore consapevolezza, conoscendosi sempre di più e sempre meglio. Così, dopo le testimonianze raccolte da ogni angolo del mondo, Valeria, dalla “nostra” Milano, ci racconta di La maschera e l’altro, mostra appena conclusa dell’artista siciliano Armando Tinnirello.
A Milano, percorrendo una via del centro in zona Buenos Aires, sfugge quasi all’occhio una sala espositiva di dimensioni contenute sulla cui insegna è riportata la scritta Manifiesto blanco; il primo testo teorico alla base del movimento spazialista di Lucio Fontana, in cui si vuole delineare una concezione tutta nuova dell’arte contemporanea, viene omaggiato così da un’associazione no profit di appassionati d’arte che ne fa il suo nome.

Dalle vetrine del locale si può fruire direttamente della vista di poche opere che, pur essendo di forte impatto, necessitano di una maggiore attenzione per iniziare a essere inquadrate e comprese pienamente.
La mostra, come si scopre all’ingresso del locale, è un ciclo di opere denominato La maschera e l’Altro, dell’artista siciliano Armando Tinnirello, il quale riesce a rendere la sua terra d’origine una presenza viva all’interno degli scatti fotografici che occupano per un tempo limitato la galleria in occasione della rassegna Photofestival.
La fotografia e la maschera sono rispettivamente il mezzo espressivo e il soggetto al centro dell’esposizione. La maschera sembrerebbe rappresentare l’artefatto umano/razionale, in contrapposizione (seppur complementare) con l’espressione potente e rigogliosa della natura; e se l’artificio copre in parte quest’ultima, di essa lascia trapelare l’essenza più selvaggia, fonte di vita umana su questa terra.

Si tratta di maschere che non hanno una connotazione etnico-culturale specifica, in quanto da una parte rimandano all’arte africana e allo sciamanesimo, ma anche al suggestivo carnevale veneziano e alle maschere teatrali della “commedia dell’arte” tipicamente italiana; dall’altra sono vere e proprie creazioni fantasiose dell’artista, che fanno da filtro a visi umani privati della propria espressività individuale per lasciare spazio all’essere umano in sé, nella sua universalità in rapporto con le varie espressioni della natura. Queste si ritrovano all’interno di scatti artistici e allo stesso tempo costituiscono opere a sé stanti. Le si trova appese a fianco alle fotografie, semplici nella loro carica di intensità, insieme a scettri sciamanici creati con materiali di riciclaggio e poi dipinti di colori sgargianti, che si ritrovano in alcune delle foto. Questi ultimi rappresentano l’intento di instaurare un dialogo fra la mentalità scientifico-tecnologica e quella primigenia, attraverso la figura dello sciamano in chiave moderna (mediatore anziché oppositore dell’artificio umano) che si fa ascoltatore attento e protettore rispettoso della natura nella sua meravigliosa complessità.

Il compito delicato dello sciamano riflette il processo introspettivo dell’essere umano che per arrivare ad essere in armonia con il proprio ambiente deve partire da se stesso, instaurando un rapporto equilibrato tra la propria dimensione razionale-pragmatica e quella più inconscia, profonda e difficilmente accessibile.
Questo processo potrebbe essere paragonato a un viaggio, nel senso più profondo del termine, non riduttivo: lo spaziare da un luogo all’altro lasciandosi sorprendere da orizzonti ampi e infiniti, addentrarsi in una nuova dimensione della realtà che getti una nuova luce sulle cose. Si può dire viaggio un percorso interiore che, una volta intrapreso, porta a una sempre maggiore consapevolezza, molto più che uno spostamento fisico che di per sé non porta lo stesso significato.
La conoscenza di sé, che sembra essere alla fine niente meno che il bisogno fondamentale dell’essere umano, non è scindibile dalla capacità di vivere in armonia con la natura, senza imporsi su di essa con brutalità e cieca convinzione di poter oggettivizzarla, sfruttarla, fino al suo deterioramento.
Un messaggio apparentemente banale su cui invece difficilmente l’uomo è portato a riflettere, in un’epoca in cui lo scopo più alto di una società sembra essere quello della crescita economica continua; questa viene valutata come unico mezzo possibile per raggiungere il tanto ambito benessere individuale e collettivo, in cui ovviamente non si contempla lontanamente un processo spirituale, sostenuto in questo caso dall’arte, che metta in discussione l’uomo nel suo modo di stare al mondo.
Valeria Delzotti