Sullo scrivere

“Di’ la tua verità con calma e chiarezza, e ascolta gli altri, anche il noioso e l’ignorante, anch’essi hanno una loro storia da raccontare” — Max Ehrmann

Non mi sono mai trovata costretta davanti a una pagina bianca come sono ora. 

Senza nessuna indicazione, sola e orfana di riferimenti in uno spazio di vuoto e spavento, intriso di possibilità e, conseguentemente, di potere.

La libertà datami è una lama a doppio taglio: elemento chiave per un’espressività piena e portatrice di inesprimibile responsabilità. Quando non hai limiti, quando l’unica costrizione sono il numero di caratteri della tastiera, devi prendere a tuo carico la totalità di ciò che crei, di ciò che fuoriesce da te e te soltanto, senza la rassicurante possibilità di appello a limiti superiori ai tuoi.

Preso consapevolezza di questo, come decidere cosa raccontare? Come estrapolare dall’esperienza e dal possibile una storia, un’inizio-sviluppo-conclusione da strappare al vuoto?

Se la letteratura è un elemento fondamentale per la crescita del genere umano del singolo, uno strumento necessario per allargare le strette maglie dell’esperienza personale e confrontarsi con interpretazioni e narrazioni differenti del reale e del fantastico, il passaggio da lettrice a creatrice pone in me infiniti dubbi e timori. 

La vastità crea sconforto: la riverenziale soggezione di fronte a quelle cose talmente estese da non poter ben essere comprese, ma unicamente intuite o sognate. Il numero delle stelle, l’infinità dei tempi e degli universi, la varietà incalcolabile dei casi umani. Questo il peso della pagina bianca che oggi cerco di affrontare e di raggirare in qualche modo. La grande estensione del possibile diventa il mio personalissimo mantello per nascondermi davanti all’invenzione che mi trovo a dover compiere. Non saper scegliere diventa la scusa per non scegliere mai, per non affrontare l’ostacolo. 

La scrittura infatti si pone da binocolo su questa grandezza e il singolo scrittore con la sua penna mette di fronte al lettore uno squarcio della sua realtà che ha trovato significativo, curioso, interessante, lasciando fuori il resto.

 Prendere in mano una storia é così un atto di coraggio con una giusta dose di quella superbia che è convinzione nel valore della propria parola. Essa necessità la disponibilità alla vulnerabilità, alla critica di quell’atto creativo di cui si è unici genitori.  

Se ora il mio mantello ancora mi copre con la rassicurante scusa dell’inadeguatezza, é grazie a chi se l’è tolto che abbiamo scaffali da riempire e biblioteche da abitare.

Quindi coraggio, cari scrittori! A chi mi legge, e a me stessa, va questo augurio: non abbiate paura di raccontare, di tentare, affrontate il possibile con la curiosità di esplorare voi stessi, i motori primi del vostro stesso scrivere. Non vergognatevi di sbagliare, dell’essere banali o scontati, in un mondo in cui la grandezza a volte pare l’unico valore desiderabile. Siate “tragici e sinceri”, sempre e concedetevi coraggio e superbia, quando necessario.

A tutti voi auguro infinite pagine bianche.

Teresa

 

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