No, non lo voglio

Incontri e scontri con il disagio
Dis-agio
Dis-agio
Senti questa parola talmente tante volte — così tante da renderla un vero e proprio mantra della vita quotidiana — che quasi non ci presti più attenzione, e non ricordi la prima volta che tu e Disagio vi siete stretti la mano, intrecciando una relazione destinata a perpetuarsi nel tempo.
Disagio non ha un aspetto rassicurante: un volto nero e fumoso (come il tuo, ma più distorto dall’angoscia e dal malessere), lunghi artigli scuri e un corpo deforme e inconsistente, capace di insinuarsi sotto la tua pelle, nel tuo petto, nel tuo stomaco. È lì che regna come sovrano sopra il corpo e la mente, è lì che detta legge e ti paralizza con il suo scettro di paura.
Se ti concentri e chiudi gli occhi, puoi permettere al mostro di uscire, di scivolare fuori dalla tua cute e di sedersi di fronte a te; come due amici di vecchia data che si portano un po’ di rancore, ma che, tutto sommato, non possono fare a meno l’uno dell’altro. Riaprendo le palpebre, lo trovi di fronte a te e lo fissi negli occhi, dritto in quelle iridi verdi e gialle, identiche alle tue. Lui storce la bocca, ti segue nei movimenti, e iniziate a raccontare la vostra storia.
Ora ricordi benissimo quando si è presentato a te.
È successo quando avevi quattro anni: in braccio a una mamma accaldata e stanca, sommersa da valigie color verde sbiadito, aspettavi un treno in una qualche banchina di una sperduta stazione marittima, forse nel centro Italia.
Tua sorella aveva le mani leggermente sudate, e, dal passeggino, cercava di arraffare la tua gonnellina di cotone. Fissavi i binari con gli occhi socchiusi, troppo delicati, per reggere il riflesso che il sole creava su questi; troppo distratti da quella polverina sottile che si insinuava tra le tue ciglia e minacciava di non andarsene.
“Treno cancellato, Trenitalia si scusa per il disagio”
Associ Disagio all’odore pungente dell’aria marina, mescolata al frastuono che sollevano i grandi vagoni merci sfrecciando a tutta velocità nelle stazioni di passaggio.
Hai perso il primo treno,
Hai fatto, per la prima volta, esperienza del disagio.
Per la seconda volta, passa un po’ di tempo. Dopo anni selvatici all’insegna dell’amore per la Natura, per ogni creatura della Terra e per ogni sentimento sincero, qualcuno si avvicina a te (chi sia non importa, e poi ti sembra che lo siano tutti) e ti fa notare che sei troppo vivace, troppo selvaggia, troppo fantasiosa. Oppure troppo strana. È così che precipiti nel giudizio, quell’oblio nero e cancerogeno, convincendoti sempre più di essere diversa,  fuori posto, in un mondo che non ha bisogno di eccezioni, e che anzi le rigetta come fossero sgarri, errori di produzione.
Poi ti succede che hai 14 anni, sei alla tua prima festa fuori casa, una di quelle feste piene di gente che non conosci e con musica che non hai mai sentito prima d’ora.
Disagio ha dimenticato l’aroma salato che indossava nel tempo della tua infanzia, e anche l’odore delle mani dei bambini che giocano nel giardino e sulle reti elastiche; ora porta un’essenza nauseante che è un misto di fumo, di zucchero sciolto nei bicchieri, di sudore acre dei presenti nella sala — troppo piccola e soffocante per accogliere un’orda di neo-adolescenti.
Se dovessi associarlo a un suono, sarebbe sicuramente il fruscio delle gonne delle tue compagne, o il ticchettio delle scarpette sul pavimento lucido e appiccicoso.
Reggi in mano un bicchiere, più interessata a passare le dita sul rilievo del disegno impresso su questo che al contenuto che vi gorgoglia dentro, invitandoti a tutto meno che a essere portato alle labbra.
Ti sembra che tutto il mondo giri vorticosamente intorno a te, mentre tu — immobile —  sacrifichi la tua identità in favore della tua purezza; non rispondi alle sollecitazioni dei tuoi simili — che paiono non tanto diversi dai richiami degli animali che hai sempre osservato — e giochi a renderti invisibile e silenziosa. In questo momento riesci a essere più ombra del fantasma del Disagio, che ancora ti accompagna come unico e scrupoloso osservatore, come premuroso e fedele compagno.
Ciononostante, in qualche modo, riesci a sopravvivere.
Il malcontento che hai accumulato in queste occasioni ti spinge a cercare oltre un appagamento per i tuoi desideri: lo fai circondandoti di persone, come te, disposte a esporsi alla piccola zona luce che anche il rapporto umano possiede, a mostrarsi autentici e sinceri senza nascondere il loro fantasma personale, così simile al tuo, così follemente interessante e distorto.
Trovi conforto e soddisfazione nelle serate tra amici intorno a un tavolo di legno consumato e appiccicoso di birra, nelle escursioni in tenda senza troppe pretese, nel sapore del cibo condiviso, nel rosso delle labbra che lasciano le parole pronunciate con amore e fervente convinzione.
Succede anche che ti innamori, e per la prima volta Disagio si assottiglia, ti regala un po’ di tempo per concederti all’Altro priva di ombre, e successivamente integrata a esse; sei fortunata, e vieni amata e apprezzata anche per queste.
Spinta dal desiderio di vivere, ostacolata e talvolta addirittura incitata da Disagio, accumuli esperienze, collezionando memorie e aspirazioni per il futuro. A volte Disagio si fa più minaccioso, più presente e pressante, altre volte perfino te ne dimentichi.
Poi, a un certo punto della tua vita — e solitamente accade quando hai più o meno 20 anni — ti si presenta di fronte un quesito destinato ad assillarti e accompagnarti, proprio nel momento del tuo affacciarti sulla vita adulta.
Disagio ti guarda fisso, con un’espressione imperscrutabile; poi socchiude le labbra, e scandisce bene la sua domanda:
“E Ora?”
Selene Tognoli

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