Garca Jhosemam, pseudonimo per un ragazzo fin troppo coraggioso, firma qui di seguito una toccante testimonianza sull’alcolismo, con uno scritto che tiene insieme la generalità e la specificità di questo disagio di cui si parla sempre troppo poco.
“Dolcissima è la vita in assenza di senno.”
(Aiace, Sofocle)
Sete, sete, sete…
È una parola abbastanza eloquente, diretta, si potrebbe quasi dire d’impatto.
Ho iniziato ad avere sete quando molti avevano — per così dire — voglia di respirare aria nuova, fumarsi la prima sigaretta e sentirsi “fighi”; mi duole ammettere che io non avevo motivazioni molto diverse: ero un dodicenne qualunque. Avevo molti problemi con la mia famiglia e con il mondo; volevo fare “il grande” con gli amici, e, di lì a poco, tutto portò a entrare in classe la mattina immerso nella birra e insolitamente allegro.
Ma il corpo e la mente crescevano, l’animo maturava, mentre autolesionismo, violenza e attacchi isterici diventavano quotidiani, soffocati dalla normalità opprimente, costituita da persone noiosamente ragionevoli — e l’aspra coscienza assumeva toni dittatoriali e d’odio verso il mondo. Quegli stessi problemi, prima affogati nel menefreghismo, divenivano reali; i pensieri catastrofici martellavano la testa — quanto brucia il silenzio, pur non sopportando il frastuono.
I pensieri urlavano e si spegnevano a un tempo, come fossi una radio che non prende; la testa oscilla senza muoversi e tutta la normalità si faceva magnificamente strana.
Ho cominciato a bere perché ero stupido e incosciente; ho iniziato a esagerare solo quando il mondo mi ha creato un disagio reale — un disagio, a detta dello psicologo, “normale”, ma sapere che è questa la norma è ciò che di meno rassicurante abbia mai compreso — e oggi esagero col bere proprio per tornare a quella stupida incoscienza.
Cosa c’è di sbagliato in un attimo di stupidità? Voglio la follia, voglio un attimo dove freni inibitori, giudizi e convenzione sociale non possano toccarti, demolirti o farti sentire inadeguato. Voglio provare felicità, o bere un suo surrogato, vuoto dalle preoccupazioni che s’accumulano ogni giorno di più, e che mi lasciano la notte per scorrerle con calma. Non mi rassicura che gli altri stiano peggio di me né che la compagnia di amici si finga felice come faccio io.
La bottiglia non porta a una destinazione chiara — non c’è niente di nitido: è tutto aria, vento e mare, tutto si muove — e la descrizione di ciò che si prova bevendo non può che essere una vaga metafora.
Goccia dopo goccia, un sorso dopo l’altro, evadi dai fili di quella marionettista che è la mente e ogni passo pare di danza; il tuo corpo, in quel momento, balla una coreografia che non conosci neanche tu, ma sai essere bellissima e libera da qualsiasi canone. Si vorrebbe stare così per sempre — e in questo desiderio, credo, si è del tutto giustificati. Il mondo, fuori dal palco della tua euforia, è immenso, ma quell’enorme pubblico è davvero spietato. Ciò che si mette in scena non ha un genere definito: a volte una commedia; meno facilmente un poema epico, dove tu sei l’eroe tormentato, dalla voce e dalle gesta importanti: a ogni punto esclamativo alla fine di una battuta, la platea sussulta — piovono applausi.
E, di colpo, il silenzio, il buio; e, infine, la presa di coscienza. Sei a malapena una comparsa, la maschera con il sorriso da facciata — una lacrima scivola sotto pelle, ed ecco il sapore di rum sulle labbra.
Ma la sete permane, sempre più resiliente all’ebbrezza; il mio raziocinio sempre più forte; la quantità di veleno che mi occorre per ucciderlo aumenta sempre di più. Sono solo in una casa troppo grande per viverci ma troppo piccola per non farmi sentire rinchiuso; e il senso di malessere, condizionato dal fatto stesso che esisto, cresce nel silenzio e si nutre di timori, strisciando dentro le pareti di casa. Negativo non è ciò che sembra grigio e tetro, ma il vedere intorno a te colori, allegria, tutte le persone intorno a te felici e in compagnia — sei certo che tu potresti solo peggiorare le loro vite e, nonostante tutto, se mai li vedessi infelici, perchè non aiutarli?
Puoi essere allegro per un attimo, vedere il loro umore alzarsi, insieme alla convinzione di essere con una brava persona — tu! —, e, nonostante ciò, essere infelice per tutti, tornare a casa, sentirsi male, sentire il male per gli altri, per come stanno e poi, di nuovo, sentire sete. Bere è una cosa comune; è esagerare ciò che rende l’atto quasi sacrilego, autolesionista e malato — il mondo non sa, non ammetterà mai di esserne responsabile, con tutte quelle domande.
“Non puoi essere più normale?” “Qual è veramente la tua sessualità?” “È il caso di comprare un intera bottiglia?” “Non dovresti volere un lavoro vero?” “Perché non ti stai divertendo?” “Come stai?” “Non hai bevuto troppo?”
Rispondere con odiosa serenità alle domande, darsi dolorosamente le vere risposte, sorridere nervosamente a tavola, vedere le persone per le quali avresti dato tutto svanire nell’indifferenza — questo è il male. Le mani si muovono da sole, la testa è china, e, di colpo, la catarsi: di fronte a te si presenta la donna più bella e attraente del mondo, esperta e manipolatrice, seducente in ogni sua forma, dallo suo sguardo languido. Lei non vuole sapere come ti senti: sa come farti sentire meglio. Ti accarezza con la sua pelle liscia, chiara e vitrea; il cuore di ghiaccio, l’anima di whisky. Sei completamente impotente, non puoi fare altro che abbandonarti a lei mentre questa cambia la musica; il muro ti sembra più morbido quando lo prendi a pugni; le tue urla di rabbia mutano in risate; i tuoi passi più leggeri nonostante un corpo non meno pesante; i pensieri cambiano forma, e diventano dipinti impressionisti, belli e magici; le persone si fanno più attraenti e interessanti e il tuo cuore, per un paio d’ore almeno, prende coraggio e scaccia tutti i problemi, che fuggono ballando insieme a me. Come me, che danzo senza toccare terra e senza paura di cadere, ora che non sento più il dolore. Se al principio ero coscienza, ora sono solo corpo; e ora vago, e vagherò per sempre, finché non sarò solo spirito.
Garca Jhosemam