L’8 agosto, con una trovata non proprio geniale, Matteo Salvini, dal Papeete Beach, scatena la crisi di governo. Da lì in avanti, in meno di un mese, se n’è formato un altro, impensabile sino — appunto — a un mese fa. Di seguito, un ritratto semiserio di tutti i protagonisti.
- Gli ancora vivi. Anna Maria Bernini. Mariastella Gelmini. Ma soprattutto, ancora e sciauguratamente, Silvio Berlusconi. Ex Cavaliere, ex presidente del Milan, ex Presidente del Consiglio, ex tutto, il buon (vecchio) Silvio Berlusconi, in pieno agosto, prima sfilava a colloquio con Mattarella e poi si ricongiungeva ai suoi amati giornalisti. In quel tripudio di baldi giovini, incensurati, onesti, e dal cuore puro, il “dominus indiscusso” di “una imponente evasione fiscale” (per citare le parole d’una sentenza del lontano 2012), qualche giorno fa, auspicava un governo giustizialista. Tant’è che le due sopracitate accompagnatrici, nel pieno delle loro funzioni di badanti, l’hanno subito corretto: “garantista, non giustizialista”. Uno spettacolo — tanto raro altrove quanto tipicamente italico — degno del peggior Sanremo. Non resta da sperare che, alle prossime elezioni, lo votino solo i nipoti di Mubarak.
- Giorgia, la rivoluzionaria. Di Giovanna D’Arco si sono occupati tanto Meliés quanto Cohen, tanto Rossellini quanto De André. Anche nella nostra Italia, nota terra di ardimentosi rivoluzionari, c’è una donna che chiama le persone in piazza, pronta a combattere per i propri — chiamiamoli così — ideali. Probabilmente, visti i floridi tempi della nostra Italia, alla Meloni saranno dedicati, alternativamente, un nuovissimo film di Frank Matano, un’inaspettata hit di Benji e Fede, nonché l’ultimo sforzo letterario d’un esausto Bruno Vespa.
- Le vecchie volpi. Prodi benedice il governo prima che Zingaretti ne veda la possibilità; Giorgetti stringe la mano a Conte prima che Salvini inizi a delirare. E magari, chissà: il primo Presidente della Repubblica, il secondo Ministro del Turismo. Così, per impedire di fornire mojito troppo ubriacanti. Mica scemi i due pischelletti…
- Calenda, il luminare. Il 4 marzo 2018, il Partito Democratico le prende di santa ragione dai grillini. Umiliato da uno straziante 32-18, l’allora segretario Renzi fece l’offeso, e, presi i popcorn in mano, si godette l’obbrobrioso ma a quel punto inevitabile accordo 5 Stelle – Lega. È in questo scenario da favola che l’astutissimo Carlo Calenda decise di tesserarsi al PD. Molti mesi dopo, nell’agosto 2019, un mummificato PD viene gesuiticamente fatto rialzare da Salvini, che di fatto spedisce la ciurma dem al governo. Così, l’arguto Carlo, offesissimo dell’avvenuto accordo coi barbari grillini, esce sbattendo la porta. Ma la parte migliore deve ancora venire: Zingaretti, a cui ci dedicheremo tra poco, reagisce con un “Carlo ripensaci, abbiamo bisogno di te”. ‘Nnamo bene allora…
- #maratonaMentana. Non aggiungo altro, se non una preghierina per il povero Celata.
- Renzi, un vero filantropo. Sono passati pochissimi giorni dalla crisi di Salvini (no, non è un refuso). Il geniaccio da Rignano sull’Arno, ch’è ormai amatissimo da tutti gli italiani — a tal punto da temerne il voto —, si dichiara pronto a passare sopra a tutte le offese rivoltagli dai grillini, perché “vengono prima gli italiani”. Insomma, visto il consenso elettorale dell’altro Matteo in irrefrenabile discesa, ha pensato bene di rubargli lo slogan. Un nome, una garanzia.
- Zingaretti come Saramago: il trionfo della cecità. Una sola cosa tutti, tranne Salvini e la Meloni, volevano evitare: le elezioni. Chiedersi il perché (M5S con consensi dimezzati, PD poco sopra il 20%, maggioranza assoluta non impossibile per la destra unita) sarebbe stato superfluo, eppure Zingaretti ha preferito, per molto tempo, puntare alle elezioni. E da lì, com’era ovvio, ha preso una serie di batoste da paura: Renzi gli ha mangiato in faccia, facendogli pesare i parlamentari ancora (purtroppo) tutti suoi; Di Maio ha stravinto la questione programmatica (20/26 delle linee programmatiche erano nelle “imprescindibili” dimaiane) e, grazie a Franceschini, anche su quella dei vice premier. Per evitare altri guai, s’è tirato fuori dal Governo prima che nascesse. E non troppi, come vari sondaggi testimoniano, piangeranno per questo.
- Luigi, il bambino sulla spiaggia. Premessa: era e resterà Ministro di peso; ha raddoppiato le “condizioni imprescindibili” ottenendole tutte; chiuso la trattativa in meno di un mese, sapendo fare un passo di lato quando richiesto; e, soprattutto, rifiutato l’offerta di premiership targata Lega. Ciò non toglie, però, una marea di errori. Prima, l’evidente contrarietà all’accordo, verso il quale è stato di fatto convertito; poi l’impuntatura sulla vice presidenza (risolta, checché Giggino ne dica, da Franceschini); infine quel “o i 20 punti o voto” che ha davvero rischiato di mandare tutto all’aria. Senza le bastonate di un Grillo ritornato parlante, chissà come saremmo…
- Salvini, quando l’alcool dà alla testa. Alle Europee 2019, la Lega praticamente raddoppia le proprie preferenze rispetto all’anno prima, volando sino al 34%. La vittoria fa covare a Salvini sogni di gloria, tant’è che inizierà una campagna elettorale nonstop sulle spiagge di tutta Italia, che culmina l’8 agosto con una dichiarazione di Salvini, deciso a capitalizzare il consenso. Il 9 presenta mozione di sfiducia verso Conte, che, zitto zitto, inizia a scrivere. Il giorno del suo discorso, “l’Avvocato del Popolo” distrugge Salvini, umiliandolo sul piano umano, istituzionale e culturale — tant’è che un attimo dopo, il russofilo, disperato, ritirerà (inutilmente) la mozione. Così, in un mese, Salvini ha perso il 15% di consenso personale; la Lega, come partito, il 6%, passando dal 37 al 31%; il PD ma soprattutto i 5 Stelle (per alcuni sondaggi, addirittura al 24%) sono tornati a essere combattivi: centrodestra unito 47%, centrosinistra (Movimento, che dalla sinistra è nato e a sinistra è tornato) 46,5%. Il Capitano ha chiuso in bellezza, dichiarando che “l’accordo PD-M5S c’era già da tempo”. Tant’è che i grillini (su questo, imperdonabili), qualche giorno prima, avevano detto sì a quella porcata incostituzionale chiamata Decreto Sicurezza Bis. Per la prossima estate, al padano Matteo, consigliamo ombra, riposo e qualche sana lettura — tipo Come durare almeno 1000 giorni, opera dal titolo ambiguo cofirmata da Renzi e Berlusconi.
- Mattarella e Conte, eleganza e scaltrezza. In tutto ciò, come la nostra immagine suggerisce, a dare le carte e dettare i tempi, è stato un — ancora una volta — eccellente Sergio Mattarella, che infatti è nettamente il leader politico più amato dagli italiani. L’altro vero vincitore è, invece, Giuseppe Conte. Oggetto di riconoscimenti internazionali, vero collante fra Governo-1 e Governo-2, autore di un discorso memorabile con cui ha triturato Salvini, è oggi un leader sempre più autonomo che s’è imposto tanto al povero Zingaretti (non proprio una mission impossible) quanto al riottoso e bambinesco Di Maio, aumentando la propria popolarità e mettendo il suo faccione su questo esecutivo, giurando una vera svolta per il Paese. Giù il cappello per entrambi.
P. S. ci sentiamo il prossimo mese. Speriamo, quantomeno, con lo stesso governo.
Federico