Ripensare la modernità

Il contemporaneo tra spazio e tempo
Dunque, scrivere di spazio e tempo come coordinate del nostro presente. Leggo svogliatamente su Wikipedia che per Kant “La nostra ragione funziona in modo da inquadrare il primissimo dato sensibile che riceve, e poi tutti i successivi, nello spazio e nel tempo“. Mi alzo dalla scrivania e cerco su Internet metodi per concentrarmi meglio e finire l’articolo il prima possibile. Sento un orologio invisibile ticchettare nella testa ricordandomi che la mia mancanza di idee mi sta facendo perdere tempo.
Su una cosa sono certa: per noi ansiosi cronici la gestione di spazi e tempi può diventare parecchio stressante. Fortunatamente, la modernità ci offre soluzioni ovunque: migliaia di articoli sullo stile di “Impara a gestire il tuo tempo/il tuo spazio in modo produttivo” oppure “10 modi per smettere di procrastinare” o, ancora peggio, “Come sfruttare al meglio gli spazi del proprio armadio” (per stipare l’ennesimo acquisto, s’intende). Post motivazionali sui social che invitano a non sprecare la propria giornata sui social. Manuali che insegnano la difficile arte della produttività anche a chi è maestro di procrastinazione ed indecisione. Consigli identici più o meno ovunque, dispensati con invariabile ottimismo e con l’implicita promessa di trovare la formula per liberarsi di ogni possibile spreco. Finora io non l’ho ancora trovata. Ma forse mi serve solo più tempo.
Ok, lo ammetto, non sembra una questione particolarmente importante. Però rientra nella serie di promesse che la modernità ci offre ogni giorno, lusinghe di comodità e di controllo, la piacevole sensazione che tutto sia a nostra disposizione purché lo si prenda nel modo giusto. Ho detto modernità? Forse volevo dire capitalismo. Il quale ci insegna che anche il tempo e lo spazio, in fondo, possono rientrare nella schiera infinita dei nostri beni: ci appartengono, spetta a noi regolarli, dunque è colpa nostra se non funzionano a dovere.
Ed è quindi sempre più comune immaginarli come oggetti da possedere e gestire di conseguenza, non come contesto da abitare.
E qui mi ritorna in mente l’affermazione iniziale. Spazio e tempo sono davvero le coordinate del nostro esistere, ciò da cui non possiamo in alcun modo prescindere. Sono loro a dare forma a noi. Però per qualche motivo ci siamo convinti di poter dare noi forma a loro, per di più a nostro piacimento. Nel migliore dei casi, non funziona; nel peggiore, dà luogo a visioni distorte del mondo. E se tutto questo può sembrare terribilmente astratto, allora si rifletta sul fatto che spazio e tempo per noi esseri mortali sono innanzitutto dei limiti fisici. Definiscono le nostre possibilità come le nostre fragilità e debolezze — eppure le debolezze vengono dimenticate, quasi come se non menzionandole spariscano. Solo che… non spariscono mai davvero. Rimangono, influenzano la nostra vita, ci ricordano la nostra finitezza, ci ricordano che “ho due ore di tempo” è una pura costruzione umana per motivi di utilità e che lo spazio è più mutevole di quanto ci aspettiamo.
Provare a rifletterci, su questo, può essere un modo di scardinare alcuni meccanismi in cui ci si intrappola senza volerlo.
Ripensare le proprie giornate, i propri luoghi, per provare a modificare le coordinate con cui si vede la realtà.
Francesca

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