Venezia allagata, Venezia indifesa, Venezia sommersa: ecco come titolavano i giornali in quei giorni terribili in cui una delle città più belle e più amate del mondo affogava letteralmente sotto i nostri occhi. L’inondazione della notte tra il 12 ed il 13 novembre 2019, tra le più violente e devastanti che siano mai state viste nella storia della “Serenissima”, è arrivata a toccare punte di addirittura 187 cm: valori a dir poco preoccupanti, che ricordano solo quelli dell’Acqua Granda del ’66. La situazione è drammatica: il mare della laguna ha inondato case, uffici, hall degli alberghi, ristoranti. Ha completamente sommerso piazza San Marco, uno dei simboli più famosi della città. E poi ha fatto irruzione nella Basilica, sfondando i vetri delle finestre, corrodendo la pietra delle colonne e intaccandone pericolosamente la stabilità, muovendo i tasselli di quei meravigliosi mosaici che ne rivestono i pavimenti. Gli effetti del disastro sono devastanti: due vittime, gondole e vaporetti rovesciati e scaraventati sui margini dei canali, danni per centinaia di milioni di euro. Quello di Venezia non si tratta però di un dramma isolato, ma anzi costituisce lo specchio di quello che sta accadendo in quei giorni in tutta la penisola italiana, dove numerosissime sono le regioni in stato di allerta: durante quella stessa settimana che vede Venezia incespicare davanti alla potenza distruttrice del suo mare infatti, le strade di Matera diventano fiumi per le piogge torrenziali, Firenze è minacciata costantemente dalla piena dell’Arno, che scorre sempre più impetuoso a pochi metri da Ponte Vecchio, a Roma accade lo stesso per il Tevere. A Genova il “maltempo” porta, oltre alla solita pioggia che batte incessante tra i calli del centro storico, una tromba marina che arriva a sfiorare il Porto Antico. In Alto Adige invece la neve cade silenziosamente per ore, provocando blackout e isolando decine di valli, che rimangono prive di possibilità di comunicazione con l’esterno. Tutto questo, tutta questa devastazione, secondo i telegiornali è di nuovo “emergenza maltempo”. Ma non si tratta di maltempo. Non si tratta di una normale eccezione alla regola, perché siamo ormai giunti al punto in cui l’eccezione diventa essa stessa la regola: le estati torride, i mesi di pioggia, gli stati di allerta per fenomeni atmosferici inconsueti o temperature record mai viste prima non sono più eventi straordinari ed isolati, se ne sente parlare quasi tutti i giorni. Siccità, alluvioni, desertificazioni, incendi: eventi estremi che fino a pochi mesi fa apparivano agli occhi degli italiani come qualcosa di lontano, visto forse di sfuggita in un servizio al TG sulle devastazioni ambientali in Africa o in Brasile, ora diventano fatti quotidiani anche nel nostro paese. Nascondersi dietro l’illusione di un temporaneo stato di “maltempo”, come se si presupponesse che esso sia destinato a placarsi e migliorare gradualmente, è inutile e ipocrita: analizzando con serietà e lucidità il panorama, che alcuni hanno definito apocalittico, capiamo che questi non sono altro che i sintomi visibili e tangibili di un pianeta malato, di una natura che sta morendo sotto i colpi incessanti del clima che impazzisce, scatena uragani, appicca incendi nelle nostre foreste, allaga le nostre città. La dinamica è semplice: i livelli di gas serra nella nostra atmosfera toccano picchi sempre più spaventosamente elevati, innalzati da una crescita economica ed industriale a dir poco insostenibile basata sull’utilizzo di combustibili fossili e sull’emissione indiscriminata di CO2, cosicché quel delicato equilibrio su cui si fondano tutti gli ecosistemi venga barbaramente spezzato, provocando il cambiamento climatico. È dunque immediatamente comprensibile come il “Climate Change” non possa in alcun modo essere paragonato ad una qualsiasi altra mutazione atmosferico-climatica verificatasi nella storia del nostro pianeta, perché non è mai accaduto che un cambiamento di proporzioni epocali come questo sia stato innescato da cause innaturali, com’è certamente innaturale l’inquinamento generato dalla follia del nostro mondo. E gli effetti di tale cambiamento non si limitano certo ad un graduale ed innocuo aumento generale della temperatura atmosferica, ma si rispecchiano anzi, come la ricerca scientifica mondiale sottolinea già da anni, in una lunga serie di eventi catastrofici concatenati tra loro in una sorta di “effetto domino”, eventi che oggi ci troviamo sotto gli occhi nell’allagamento di Venezia, negli incendi che stanno devastando la foresta amazzonica, nelle desertificazioni di molte regioni africane e nello scioglimento dei nostri ghiacciai.
Non chiamatelo maltempo, perché questo non è maltempo ma il grido disperato della casa che stiamo distruggendo, è una richiesta di aiuto.
Non chiamatelo maltempo, perché la responsabilità dei disastri ambientali odierni non può essere ricercata nella mutevole casualità degli eventi atmosferici, ma nel nostro agire senza scrupoli.
Non chiamatelo maltempo, perché sarebbe come chiudere gli occhi di fronte alla chiara ed evidente necessità di cambiare rotta, di fermare una volta per tutte quel folle “progresso” ecologicamente insostenibile ed inaccettabile che ci sta facendo affogare, di scegliere di assumerci le nostre responsabilità davanti alla Terra che stiamo distruggendo, al futuro sereno e sicuro di cui stiamo privando chi verrà dopo di noi.
Non chiamatelo maltempo, perché maltempo non è.
Maria Rapella