Arianna Azzellino, Docente del corso di Valutazione dell’Impatto Ambientale presso il Politecnico di Milano, è figura coinvolta in una protesta inerente un programma di edificazione del Campus Bassini. Nelle righe che seguono, la Dottoressa Azzellino porta uno sguardo maggiormente tecnico sulla tematica ambientale, facendoci confrontare con argomenti di cui spesso non sentiamo parlare.
Io ho avuto la possibilità di conoscerla grazie a Mariolina De Luca, che — soprattutto in riferimento alla vicenda del Campus Bassini, di cui parleremo diffusamente — mi ha fatto presente il suo ruolo in questa protesta di cui già lei aveva anticipato qualcosa. Prima, però, credo sia il caso di spiegare ai nostri lettori chi è Arianna Azzellino, cosa fa e quale percorso ha seguito.
Io sono Docente al Politecnico di Milano, mi occupo di valutazioni ambientali, tengo anche un corso che si chiama “Valutazione d’Impatto Ambientale” e ne ho un altro più generale sulla gestione ottimale del territorio. Questo mia competenza è stata la motivazione principale per la quale ho sentito di dover denunciare che quanto stava avvenendo sotto le finestre del mio ufficio, non fosse coerente sia con le cose che spiego ai miei studenti sia con ciò il Politecnico dichiara di voler perseguire in fatto di sostenibilità. Per quanto riguarda la mia formazione, questa è di stampo biologico ed ecologico, anche se poi ho conseguito un Dottorato di Ingegneria Ambientale proprio presso questo Politecnico, e dunque mi occupo di gestione dell’ambiente basata sulla conoscenza, utilizzo di strumenti di modellazione, di supporto alle decisioni in materia di pianificazione d’uso delle risorse ambientali. Questo percorso, che è iniziato come un percorso personale di ricerca, si è poi concretizzato nell’ambito della mia carriera accademica nella posizione di professore associato che attualmente occupo presso il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano.
Veniamo ora alla vicenda del parco, di cui in realtà già Mariolina aveva anticipato qualcosa. Com’è nata, come si è sviluppata e qual è lo stato attuale della situazione? E qual è, più precisamente, il suo ruolo in questa protesta?
Innanzitutto abbiamo osservato — io in prima persona ma poi molti altri colleghi — una non rispondenza alla normativa sull’accesso di informazioni in materia di ambiente dal momento che io e molti miei colleghi abbiamo saputo del cantiere solo pochi giorni prima della sua realizzazione, a causa di una comunicazione parziale all’interno dell’Ateneo. Noi docenti abbiamo cercato di segnalare internamente questa assenza di comunicazione e la nostra perplessità su un progetto così poco attento all’ambiente; ci siamo sorpresi di vedere come si volesse edificare su un suolo naturale (mai interessato da interventi edilizi) per poter ospitare il nuovo Dipartimento di Chimica, quando nella stessa Città Studi si sarebbe potuto riadattare qualcosa di già edificato. Abbiamo quindi fatto presente questo, richiedendo una Conferenza di Ateneo (la quale è ottenibile grazie a una massa critica pari almeno al 10% del corpo docente, numero che abbiamo ottenuto facilmente), con la conseguente possibilità di discutere il progetto in essere in seno al Senato Accademico. Tutto questo succedeva a metà novembre, quando i lavori propedeutici alla costruzioni sarebbero dovuti partire dai primi di novembre. Fatti questi passi previsti dal Regolamento, abbiamo notato una notevole chiusura sia da parte del Rettore sia da parte del Senato Accademico, per nulla disposti ad ammettere le loro carenze di comunicazione.
Da qui, la nostra protesta è uscita dall’Università; siamo così entrati in contatto con i cittadini, che non erano minimamente a conoscenza di ciò che stava per avvenire. Questa consultazione con i cittadini l’abbiamo portata avanti dopo aver espressamente chiesto al nostro Rettore se avesse informato il Consiglio di Zona, e aver ottenuto da lui rassicurazioni in merito, salvo poi constatare che quanto dichiarato non rispondesse al vero. Da qui, abbiamo inoltre cercato di sollecitare il Comune e di far rilevare la totale mancanza di coerenza di questo progetto, in un quartiere che peraltro si andrà gradualmente svuotandosi visto che il Besta, la Statale e l’Istituto dei Tumori sono in procinto di trasferirsi.
Dopodiché sono scesi in campo gli studenti i cui rappresentanti aveva invitato un comunicato collettivo informativo sul progetto solo lo scorso 30 ottobre. E sono gli studenti a organizzarsi in un presidio che riuscirà a bloccare i lavori fino ai primi di dicembre, quando il Comune, proprio constatando che c’è una buona parte del quartiere che protesta, interviene con la convocazione di una Commissione Ambiente, in cui il Rettore, facendo la mossa di ascoltare le richieste dei quartieri di zona, promesse, per tutta risposta, di trasferire i 57 alberi interessanti dall’intervento integralmente; mentre in base a un piano precedente il Politecnico aveva deciso di provare a spostarne solo 22 che aveva già identificato e che poteva collocare in aree già di sua pertinenza. Questo succedeva il 6 dicembre scorso; il 2 gennaio appena passato, invece, grazie all’intervento di un notevole schieramento di forze dell’ordine, il presidio viene reso impotente ed entrano nel cantiere i mezzi che consentono agli operai di abbattere i 35 alberi che nemmeno un mese prima avevano promesso di spostare.

Questo è quanto avvenuto sin qui; mentre noi docenti abbiamo continuato a sottolineare spesso come ciò che stava avvenendo stridesse sotto diversi punti di vista con gli impegni assunti dall’Ateneo in materia di sostenibilità, particolarmente con una storia di edificazione su un’area verde (fatto tristemente non inusuale nel nostro Paese), tanto più simbolicamente rilevante per il fatto che a rendersene responsabile sia un’Università. Io — e non solo io — insegniamo a lezione l’importanza di avere zone verdi a livello urbano, e proprio questo elemento sembra non essere stato minimamente considerato né dall’Università né tantomeno dal Comune.
Dalla prima parte della sua risposta, si evince l’importanza della comunicazione, sia interna all’Università sia esterna, nel dialogo con i cittadini. Lei come spera che la comunicazione possa diventare, un domani? Perché probabilmente se i Docenti fossero stati informati in precedenza e i cittadini con loro, quei 35 alberi sarebbero ancora lì…
Esatto: e se non salvati, comunque avremmo potuto avere una compensazione adeguata in un’altra area, cosa che attualmente non è assolutamente garantita: il parco che si prevede di ricostruire dovrebbe sorgere in un’area che ospitava un reattore nucleare sperimentale che, per quanto smantellato da tempo, richiede ancora delle procedure di bonifica, e la bonifica di rimanenze da energia nucleare è in capo dal Ministero dello Sviluppo Economico; prevede procedure molto lunghe, anche perché non è ancora definito per l’Italia l’ente incaricato alla gestione delle scorie; quel parco, promesso in sostituzione a quello perso, rischia di vedersi realizzato tra una decina d’anni, se non di più. Ora che la notizia è diffusa, si minimizza dicendo che si pianteranno ben più di 35 alberi, senza peraltro mai considerare in nessun modo la perdita di suolo; ciò mi ha fatto capire, come docente, l’importanza di uscire dalle nostre aule per diffondere una cultura e una mentalità differente, avendo la quale (se ci fosse stata) ritengo che questa operazione non si sarebbe mai concretizzata. Gli stessi alberi non sono tutti uguali: un albero di recentissima piantumazione non potrà mai svolgere le funzioni ecologiche di un albero di cinquanta o sessant’anni. Di qui, insomma, si può cogliere la grande importanza di una corretta informazione, che spero divenga sempre più diffusa nel nostro domani.
Per dare ai nostri lettori un fil rouge su questi due Dialoghi Verdi, mi piacerebbe che raccontasse ai nostri lettori come ha conosciuto Mariolina e qual è stato il suo rapporto con i Verdi in generale, che hanno dato supporto a questa vostra protesta.
Sicuramente Mariolina è stata la consigliera che, quando mi sono presentata all’assemblea del Coniglio di Zona 3 per prima è venuta a chiedere le informazioni che io avevo avuto la possibilità di ottenere in Ateneo (una relazione tecnica ambientale associata al progetto), informazione che loro in Comune non avevano ricevuto. Nella relazione si parlava di dover abbattere oltre 140 alberi, mentre nella seconda versione comunicata dall’Ateneo gli alberi da abbattere sono diventati molti meno, ma solo perché il progetto è stato scisso in due fasi differenti.

In quell’occasione ho potuto spiegare a Mariolina come leggere le tabelle — la relazione non è certo facilmente leggibile e interpretabile — e lei mi ha sempre ascoltato con grande attenzione tutte queste informazioni che le stavo dando e devo dire che i Verdi hanno sempre sostenuto sempre sia la campagna mediatica per informare su quanto si stava verificando al Politecnico sia il presidio.
Visto che comunque lei non ha lo stesso punto di vista che può avere Mariolina, dato che non ha un ruolo politicamente definito, mi piacerebbe sentire il suo punto di vista (certamente più tecnico, rispetto a un esponente politico) sulla gigantesca movimentazione che nell’ultimo anno è andata diffondendosi a livello globale.
Personalmente, non sono solo favorevole ma anche molto ammirata da quanto è stato attivato da Greta e che ha avuto una risonanza molto importante un po’ dappertutto: è una voce assolutamente sensata, la voce di una ragazzina e non di uno scienziato, la voce del bambino che dice: “guardate che il re è nudo”. Sembra sempre che manchi il link finale tra chi protesta e i governanti, che possono (e devono) prendere decisioni destinate alla salvaguardia dell’ambiente. Che siano i ragazzi a prendere questo segnale mi pare molto legittimo; insomma, sono sempre stata tra quelli che non solo hanno biasimato le cose dette nell’ambito del movimento creato da Greta ma che anzi li ha sempre difesi, perché hanno una preoccupazione più che legittima e percepiscono qualcosa che di fatto è vero anche in questa storia: sembra sempre che questi problemi siano problemi di portata così grande, che non sia dovere del politico di turno doversene occupare. E non è così, perché sono le piccole azioni che poi sono in grado di rendere l’effetto a scala globale; da questo punto di vista, vedere i miei studenti così attivi e così operativi anche per me è stata una gratificazione. Siamo in un momento storico in cui bisogna difendere ogni fazzolettino di terra, anche perché questo consumo inarrestabile di suolo sta logorando il nostro pianeta, facendo da catalizzatore al grandissimo problema del riscaldamento globale.
Qualche giorno fa (l’intervista viene registrata il 7 gennaio, N.d.R.), il premier Conte ha dichiarato che l’Italia deve essere leader europea come investimenti green; pochi giorni prima, il ministro Fioramonti si era dimesso per pochi fondi stanziati nella manovra per la Scuola e per l’Università; in generale sappiamo quanto poco il nostro Paese investa nelle cosiddette “politiche sul futuro”. Come è possibile, dunque, usare al meglio i pochi fondi disponibili e come sperare di farli incrementare?
Ha detto bene lei (Federico, N.d.R.)… siamo da sempre un Paese che non vede molto più in là del proprio naso: le decisioni politiche che vengono prese, da politici di ogni colore e partito, vertono sempre su un orizzonte temporale molto breve e spesso soltanto elettorale. E — sembra ovvio dirlo ma credo sia importante sottolinearlo — non ce lo possiamo più permettere.
Io apprezzo l’invito di Conte, mi auguro che non sia uno dei tanti slogan, e spero che il ruolo dell’Università, dell’educazione e della cultura non venga come al solito ghettizzato. Nonostante da tempo siamo il fanalino di coda dell’Europa in quanto a investimenti, da universitaria sono orgogliosa di poter dire che non siamo affatto il fanalino di coda europeo anche in ambito di produzione scientifica e pubblicazione. Noi dovremmo sfruttare questo nostro capitale per cambiare questo stato di cose per cercare di pensare veramente al futuro e cambiare radicalmente il nostro modo di agire.
Come conclusione, mi limito a porle un ultimo interrogativo. Come sa, il nostro è un blog che come intento prioritario ha mettere in relazione sempre più stretta i giovani alla cultura, e anche dalle sue parole emerge un costante apprezzamento per chi si batte per degli ideali e per modificare realmente lo stato di cose. Mi viene da domandarle dunque quale sia un auspicio che lei ha (in generale, non solo sulla tematica ambientale), per concludere questo nostro dialogo.
L’auspicio è sempre lo stesso: cambiare il nostro modo di pensare, cambiare i paradigmi con i quali abbiamo sempre ragionato sulle risorse ambientali.
Io appartengo a quella categoria di persone che ritiene di avere il dovere dell’ottimismo e che non crede ci si debba mettere in uno stato di rassegnazione in attesa che tutto venga depauperato.
Questa è una giunta, a Milano, che si è dichiarata sensibile al problema dell’emergenza climatica, ed è una giunta che non può permettersi a lungo di dare le risposte come quelle che attualmente sta dando; dunque, per concludere con una frase che non sia riferibile solo alla tematica ambientale, il mio auspicio è che si capisca l’impellente necessità di cambiare direzione.
Federico