Francesca Gambarini è una giovane giornalista del Corriere Economia. In questa intervista, firmata da Benedetta, ci racconta della strada che l’ha portata al mondo del giornalismo e della sua passione per il teatro. Buona lettura!
Classe 1982, ti sei prima laureata in lettere e hai poi fatto un master in giornalismo. Ma quale percorso ti ha portato ad avvicinarti al mondo del giornalismo?
Da sempre ho avuto maggior feeling con la parola scritta rispetto ad altri mezzi di comunicazione e mi è sempre piaciuto molto raccontare. Forse la dimensione del racconto è ciò che più mi ha portato a pensare a questo tipo di carriera. Inoltre, ci sono sempre stati molti giornali in casa mia: fin da quando ho cominciato a leggere ho sempre letto giornali, e la presenza fisica dei giornali mi ha certamente resa curiosa rispetto a quel mondo.
Il lavoro del giornalista — soprattutto in realtà importanti come quella del gruppo RCS — può risultare molto pesante. Quali sono state le più grandi difficoltà che hai riscontrato?
Sfortunatamente sono entrata nel mondo del lavoro in un momento in cui si stava chiudendo un’epoca fortunata (in cui “giravano” molti soldi, si vendevano molti giornali e c’erano molti ricavi pubblicitari) e si stava invece aprendo un’epoca in cui tutto stava cambiando, soprattutto a causa del digitale. L’avvento del digitale e il calo delle entrate pubblicitarie hanno creato una situazione esplosiva, per cui molte aziende editoriali si sono trovate in crisi. Quindi ho vissuto anche quelle che si chiamano crisi aziendali, con la chiusura di testate e con periodi di cassa integrazione. La mia fortuna è stata quella di appartenere a un grande gruppo, dove ovviamente le possibilità sono maggiori e le persone in esubero sono state reimpiegate. Sicuramente il momento più difficile è stato quando hanno chiuso il giornale in cui lavoravo, il settimanale della RCS “A” — un settimanale storico che aveva raccolto l’eredità della rivista Anna, prima chiamata Annabella, e che aveva fatto la storia delle abitudini delle donne italiane. Io, che avevo trent’anni, mi sono trovata in cassa integrazione. Ho vissuto un periodo piuttosto complicato, che per fortuna si è risolto con l’approdo al sito del Corriere.it. Da lì la situazione è andata migliorando.
Prima di scrivere di attualità ed economia, scrivevi di teatro (collaborando anche con la rivista Stratagemmi). Continui a coltivare l’interesse per il mondo teatrale?La rivista Stratagemmi, che ho contribuito in parte a fondare, è stata fondamentale perché mi ha dato la possibilità di esplorare dei settori che non sempre sono facili da affrontare quando si opera in un grande gruppo — lì gli spazi per la cultura sono sempre molto ristretti.
L’interesse per il teatro lo continuo a coltivare principalmente leggendo e andando il più possibile a teatro, anche se ciò non sempre è compatibile con gli orari del giornale, visto che spesso si finisce molto tardi alla sera o molto presto al mattino. Se, un giorno, potessi tornare a scrivere di teatro sarei molto contenta; magari proprio sul Corriere, che ha una grande tradizione di critici teatrali che hanno fatto la storia della critica teatrale italiana.
Continuando a parlare di teatro, quali sono gli spettacoli che ultimamente ti hanno colpita di più?
Lo spettacolo in assoluto migliore che ho visto in questo periodo è The repetition. Histoire(s) du théâtre (I), ideato e diretto da Milo Rau, andato in scena l’anno scorso al Piccolo. È uno spettacolo molto particolare, in cui c’è la totale abolizione della quarta parete. Mi hanno colpito molto anche il Macbettu di Alessandro Serra e Ritratto di donna araba che guarda il mare di Davide Carnevali.
Quale pensi che sia la funzione del giornalismo nella società odierna? E quella del teatro? Pensi che queste le funzioni di queste due realtà abbiano dei punti di contatto?
Assolutamente sì, c’è un rapporto molto stretto tra le loro funzioni. Se pensiamo alle origini del teatro, che tornano all’antica Grecia, il teatro era pensato per le città e i cittadini e aveva la funzione di far riflettere la cittadinanza su quella che stava accadendo. Era un’occasione di riflessione pubblica su temi importanti che scuotevano la società. In questo senso, l’agorà del teatro, per me, ha un significato che si può ricollegare a quello che dovrebbe essere il giornalismo. Si dice che il giornalismo sia il quarto potere: secondo me è un’espressione forte che appartiene a un mondo diverso. Il giornalismo dovrebbe aiutare ad affrontare la complessità del mondo così come il teatro aiutava gli antichi greci a comprendere la profondità di quello che stava accadendo. Non bisogna sfuggire alla complessità del nostro mestiere né a quella del teatro. Sono molto contenta che i giovani abbiamo ripreso ad andare a teatro, perché vuol dire che c’è una ricerca di complessità in un mondo in cui, invece, la superficialità dei social network e del digitale rappresenta un rischio per la libertà di ciascuno di voi e il teatro è prima di tutto libertà. Appunto, i punti di contatto sono tanti. Sicuramente Paolo Grassi è il più moderno traghettatore del pensiero del teatro greco nella modernità. Tutti i suoi scritti parlano di questo.
Bottega di idee è un blog che si occupa, tra le tante cose, di arte, letteratura e attualità. Cosa ne pensi delle iniziative culturali dei ragazzi? Quali consigli daresti a un aspirante giovane giornalista?
Il mio consiglio è approfondire sempre. Bisogna cercare, come dicevo prima, di non essere spaventati dalla complessità del mondo e delle cose che accadono, perché è l’unica chiave per capire e per poterlo raccontare. Questo vuol dire tante cose. Intanto, un giovane giornalista deve padroneggiare una o più lingue straniere e leggere il più possibile giornali, qualsiasi tipo di giornale, non solo quelli italiani. Inoltre la qualità vince sempre sulla quantità. La qualità è l’unica cosa che differenzia il giornalista dalla piazza pubblica, che oggi sono i social network, e da altre forme di più facile fruizione.
Penso che i ragazzi abbiano il dovere di fare cultura e il dovere di sperimentare nuovi modi di fare cultura. L’Italia è un paese che ha costruito la sua immagine nel mondo con la cultura, e ai giovani spetta portare avanti questa immagine. Non vi dovete spaventare davanti alle difficoltà di fare cultura, anche se non è facile, anche se sembra frustrante. Il mio invito è quello di andare avanti e di cercare il più possibile di allargare i propri orizzonti. L’idea è varcare i confini in maniera consapevole e con l’obiettivo di capire, capire, capire.
Benedetta