Filomena Gallo, Segretario Nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, è il nome, dopo Marco Cappato e Mina Welby, con il quale Federico conclude un trittico sulle tematiche dell’eutanasia e del fine vita. Grazie e buona lettura.
Tu sei segretaria, come appena detto, dell’Associazione Luca Coscioni. Quale è stato il percorso che ti ha condotta sin qui? Quali persone e quali tappe ritieni fondamentali e da menzionare in tal senso?
Mi sono avvicinata alla Coscioni nel 2004, quando Luca Coscioni con i Radicali propose un referendum sulla Legge 40. Ho conosciuto Luca, ricercatore universitario, sportivo e maratoneta, che portava nella politica urgenze che riguardavano la vita di tutti i cittadini: è stato un amore a prima vista perché mi sono subito sentita pienamente coinvolta. All’epoca l’associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica, era soggetto costituente del Partito Radicale; ho conosciuto Marco Pannella, conoscendo direttamente di che portata unica fosse; ho conosciuto Marco Cappato, all’epoca Segretario, e Rocco Berardo, il vice tesoriere. Ho conosciuto una realtà associativa diversa dalle altre, che attuava il direttamente il concetto dal corpo del malato al cuore della politica, le persone protagonisti delle richieste che si fanno alla politica; il coinvolgimento è stato totale e inevitabile; facevo l’avvocato, seguivo associazioni di pazienti con infertilità e ho pensato che avrei potuto fare di più, e proprio l’associazione Luca Coscioni mi ha portato, nel tempo, a un sempre maggior coinvolgimento. Così, ho cercato di mettere alla disposizione dell’associazione Luca Coscioni ciò che sapevo fare, attivando giurisdizioni, visto che sono un avvocato con una formazione specifica di biotecnologia in campo umano nella materia del diritto di famiglia e dei diritti fondamentali.
Come sai, la tua intervista è chiusura ideale di un percorso avviato con Marco Cappato e continuato con Mina Welby. Cosa hai imparato dalle loro figure e, se dovessi descriverle entrambe con tre parole ciascuno, quali useresti?
Il compito è molto difficile: per Mina, sceglierei passione, determinazione e amore — che è infinito e per tutto ciò che fa —, vorrebbe poter risolvere i problemi dell’umanità, ha attenzione per tutti ed è una donna dalla quale si impara ogni giorno. Marco è uomo determinato, di grande apertura, e ha molta lungimiranza. Sceglierei queste tre perché riesce a coinvolgere chi lo conosce su temi che non sono “solo” di attualità ma che sono proiettati anche sul futuro, individua problematiche che spesso la politica non affronta. Per molto tempo nella mia vita , sono stata molto lontano dalla politica perché mi sentivo inadeguata al metodo classico di fare politica; dopo aver conosciuto Pannella e Cappato ho capito che esiste un altro modo di fare politica, verso libertà e diritti, facendolo non nel modo classico — stare seduti in Parlamento — ma riuscendo ugualmente, se non di più, a produrre diritto, modificare norme., affermare diritti. Questo, all’epoca, mi sarebbe sembrato impossibile; dopo quell’incontro del 2004, ho potuto partecipare a un processo di cambiamento del nostro Paese senza avere il potere del legislatore ma, con le persone protagoniste di ogni azione, arrivare a modificare buone norme, partecipando a un processo normativo diretto e indiretto. Questo l’ho imparato dai Radicali; con Cappato si realizza, con una visione di società — e di politica — molto orientata sul futuro con una fotografia del presente e facendo tesoro della nostra storia.
Di recente, Marco è stato assolto perché “il fatto non sussiste” nel processo Antoniani; siamo ancora in attesa, invece, per quanto concerne il caso Trentini. Come reputi l’evoluzione giurisprudenziale dagli albori del caso Welby ai giorni nostri? E cosa ritieni lecito auspicare per il futuro?
Come sai, coordino le difese di Mina, Marco e Gustavo Fraticelli (per quanto non ancora imputato), che nel 2015 si erano detti disponibili ad aiutare ad accedere a tutte le scelte di fine vita, quindi facendo disobbedienza civile. In questi anni, l’Associazione Luca Coscioni ha avuto un merito, e cioè di far parlare di momenti di vita che normalmente vengono vissuti nell’ambito della propria formazione personale, con la richiesta al Presidente della Repubblica. Da quel momento, vi sono state decisioni che hanno determinato giurisprudenza positiva che avrebbe dovuto orientare anche il Parlamento.
Tutti coloro che hanno parlato del fine vita hanno sempre parlato dell’amore per la vita; l’opinione dei cittadini è sempre diventata più incline a tutelare tutti, e non hanno firmato le nostre proposte solo cittadini che sceglierebbero quelle possibilità per se stessi, ma che ritenevano di non voler imporre la propria volontà ad altri. Sono scelte diverse, con termini che forse possono anche spaventare, ma che sono tutte riconducibili alla libertà di scelta di una persona. Credo sia arrivato il momento che il nostro legislatore eserciti la sua possibilità di scrivere norme partendo dalla sentenza della Corte Costituzionale.
Qualche tempo fa — ricorderai, immagino — ho avuto la fortuna e l’onore di poter presenziare all’annuncio di CitBot alla stampa. Quale può essere il ruolo giocato da questo strumento nel nostro presente e nel nostro futuro?
Fino a poco tempo fa sentir parlare di Intelligenza Artificiale suscitava molto timore, oppure qualcosa che potesse sostituire piano piano noi. Questo mezzo, invece, è l’esempio di come la tecnologia possa aiutarci a riempire i vuoti e le lacune dell’informazione. CitBot ci aiuta, in un momento di vuoto informativo, ad avere rispsote che non ci sostituiscono affatto — sia chiaro — al medico o al legislatore, ma che ci consente di informare i cittadini per dare loro sempre maggiore consapevolezza.
Dopo l’assoluzione di Cappato, lei ha dichiarato — e come non essere totalmente d’accordo — che c’è urgenza di una legge, urgenza suffragata dalla proposta di legge di iniziativa popolare siglata da 67 mila firme, depositata in Parlamento. Secondo te qual è la ragione di tanta indifferenza da parte dei politici (di ogni partito, visto che è una battaglia che non ha colore) e in che modo è ancora possibile continuare questa battaglia?
C’è un filo conduttore che lega le legislature da molto tempo, cioè il non voler trattare temi che riguardano le libertà. La tua domanda è specchio di una presa di coscienza del fatto che i cambiamenti non li abbiamo ottenuti grazie al legislatore, ma tramite le sentenze della Corte Costituzionale (si veda la Legge 40, quella sulle Unioni Civili o quella sui DAT): l’indifferenza è un filo conduttore di tutte queste legislature, dove si viene meno alla possibilità di attivare il potere legislativa per fare democrazia su libertà fondamentali che invece dovrebbero essere il fiore all’occhiello di un Paese democratico. Noi dovremmo percorrere tutte le strade possibili, attivando i cittadini in base agli strumenti che la legge e le sentenze ci forniscono, forti con la grande partecipazione dei destinatari stessi delle norme: quella legge che tu menzioni, depositata con 67 mila firme, ora ne conta — fuori deposito — più di 150 mila…
Come è noto, la percentuale di italiani favorevoli all’eutanasia è schiacciante. Ciononostante, la Chiesa — sia con le dichiarazioni del presidente della CEI, per cui “vivere è un dovere”, sia per quelle ben note del Papa — continua fortemente a osteggiare questa battaglia che, per usare le tue stesse parole, “ci rende tutti più liberi”. Qual è la tua posizione su questo e in che modo ritieni possibile (se lo ritieni possibile) un cambio di mentalità anche interno agli ambienti del Vaticano?
All’inizio del suo mandato, Papa Francesco disse che la Chiesa dovesse essere considerata un ospedale da campo che accoglie e cura le sofferenze. Per me quella è la Chiesa; non mi rivolgo agli ambienti del Vaticano affinché cambino idea ma lavoriamo per fare corretta informazione in un paese laico affinchè tutti possano esercitare una scelta personale. I cittadini italiani sono adulti, riescono a fare le loro scelte, e devono essere liberi di fare le proprie scelte; vige un principio di laicità che va sempre più affermato. Ti faccio un esempio: all’epoca del referendum sulla Legge 40, abbiamo somministrato dei questionari a delle coppie che desideravano la fecondazione assistita, che come tu ben sai non è certo ben vista in Vaticano… Facendo ciò, abbiamo scoperto che su 10 coppie che si rivolgevano alla medicina per avere un bambino, 7 erano cattoliche, e non ritenevano affatto un peccato farlo; questo è un dato significativo, che credo testimoni come ci debba essere più informazione e che poi ognuno di noi eserciti la propria libertà di scelta anche confrontandosi con il proprio credo religioso.
Infine, mi piacerebbe che questa intervista (e questo percorso ideale di tre dialoghi) si concludesse con una domanda del tutto soggettiva, che prescinda dal tuo ruolo nella Coscioni e che riguardi, invece, la tua personale visione: che cos’è, per Filomena Gallo, la libertà?
Io scriverei libertà=vita. La libertà riguarda la vita in tutte le sue sfaccettature, con tutti i dolori e le gioie che a questa sono naturalmente connessi. Una vita senza libertà non è vita, e ciò viene confermato e declinato in ciò che vedo e faccio ogni giorno. Se dovessi trovare una definizione, direi che la libertà è amore per la vita.
Federico