Una stanza tutta per sé

Virginia Woolf, 1929

Che cosa rende l’opera di Virginia Woolf abbastanza attuale e interessante da essere richiamata nel 2020 come esempio di letteratura precorritrice di quel movimento, ancora oggi controverso, che si chiama femminismo? Quale può essere la rilevanza, alla luce di questo nuovo secolo, di un saggio sulle donne e la scrittura, tratto da due conferenze a cui assistettero fra le prime studentesse ammesse all’Università di Cambridge, quasi un secolo fa? 

Da studentessa universitaria proveniente da un’altra epoca, che ha preso tra le mani il libro e vi si è immersa per cercare le risposte a tali domande, vorrei riportare la sensazione da me provata alla fine di quest’esperienza: per la prima volta, quella di una stretta connessione con le donne venute secoli prima di me; tutte le donne scrittrici che, una dopo l’altra, hanno tentato con estrema fatica di svincolarsi dalle costrizioni derivate dalla propria funzione sociale di specchio capace di raddoppiare l’immagine maschile, riuscendo a creare infine una propria sfera d’azione nell’ambito della letteratura, dell’arte, e, più in generale, nel mondo.

L’autrice si rivolge dunque alle studentesse degli anni ‘20 del ventesimo secolo, probabilmente in cerca di punti di riferimento per dedicarsi a un’attività fino a quell’epoca considerata ancora inadatta al genere femminile, quando gli ostacoli che si erano sempre frapposti fra le donne e la scrittura non erano ancora stati del tutto rimossi. 

Nell’epoca attuale posso invece sentirmi piuttosto sicura che il mondo si sia abituato all’idea di una donna che scrive con ambizione, per cui il problema esposto dalla Woolf non dovrebbe toccarmi più di tanto. Eppure, quello che l’autrice trasmette ancora oggi è un messaggio universale, un potente incoraggiamento ad abbandonare ogni risentimento verso gli impedimenti esterni, lottando comunque per ottenere l’indipendenza materiale e intellettuale necessaria a scrivere, e quindi a vivere, esattamente come vorremmo. Quando l’autrice parla della necessità — di una qualsiasi donna che provi a scrivere — di possedere sufficiente denaro da potersi permettere una stanza tutta per sé in cui poter dedicarsi alla scrittura con una mente in pace, essa dimostra di saper parlare delle cose così come sono, mantenendosi ben radicata alla realtà quotidiana da cui dovrebbe partire, io credo, ogni genere di riflessione. Non si tratta di fermarsi all’elemento materiale, e quindi più superficiale, perché è proprio dalle condizioni di tale natura che dipendono quelle immateriali, come tutti quei sentimenti viziosi che hanno sempre inquinato l’animo femminile. La Woolf si ricorda di come lei stessa, una volta ricevuta la generosa eredità di sua zia, si fosse sentita liberata dall’umiliazione di dover sempre essere accondiscendente nei confronti degli uomini con cui aveva avuto un legame di necessaria dipendenza economica fino ad allora.

Un genio come quello di Shakespeare non sarebbe mai potuto nascere nel corpo di donna nella sua stessa epoca, per il semplice motivo che alle donne mancavano entrambe le condizioni materiali e immateriali perché potessero sviluppare il genio dell’artista: senza una stanza tutta per sé, e con l’indifferenza — o meglio l’ostilità — del mondo verso il tentativo di cimentarsi in un’attività diversa dalla procreazione e dalle mansioni domestiche, una donna dotata di talento letterario era facilmente portata a soffrire intensamente e a covare risentimento per tutta la vita.

E allora come fecero Jane Austen ed Emily Brontë, si chiede l’autrice, a produrre la letteratura del loro calibro nella condizioni in cui erano destinate a vivere? Esse furono fra le pochissime donne a scrivere con ingegno e integrità senza lasciarsi divorare dall’odio e dal risentimento verso il mondo: soprattutto la Austen riuscì, quasi miracolosamente, a consumare tutti gli ostacoli della mente, per produrre delle opere non viziate da tali sentimenti. Tutte le altre scrittrici avrebbero, secondo la Woolf, potuto sprigionare il proprio massimo potenziale, se solo avessero vinto sugli ostacoli della mente: “Che visione di solitudine e di disordine evoca il pensiero di Margaret Cavendish! Come se qualche cetriolo avesse ricoperto tutte le rose e i garofani del giardino, e li avesse soffocati fino a ucciderli”. Oltre a quella di elevarsi al di sopra dei sentimenti che imprigionano la mente e si riflettono sull’opera artistica, deturpandola e privandola di quell’integrità che la rende splendida ed eterna, l’altra caratteristica essenziale di una donna che si voglia muovere nel mondo con la propria arte è la fedeltà a se stessa: “Solo loro furono sorde a quella voce insistente, ora brontolante, ora condiscendente, ora autorevole, ora addolorata, ora scandalizzata, ora arrabbiata, ora familiare, quella voce che non lascia in pace le donne, ma deve sempre star loro addosso, come una governante troppo onesta”; non tanto una voce esterna, perché proviene invece sempre da quegli ostacoli della mente, che nascono per via delle condizioni esterne, ma che possono essere rimossi con una buona dose di coraggio.

Nella riflessione della Woolf si ritrova una straordinaria profondità di indagine della mente umana, che non può essere ridotta all’elemento maschile o a quello femminile, poiché multiforme e complessa; come si trova scritto nelle ultime pagine: “Nell’uomo la parte femminile del cervello deve comunque agire; e anche la donna deve avere rapporto con l’uomo che c’è in lei. Forse Coleridge voleva dire questo, quando affermò che una grande mente è androgina. […] Forse voleva dire che la mente androgina è risonante e porosa; che trasmette l’emozione senza ostacoli; che è naturalmente creatrice, incandescente e indivisa”. Un’idea simile, penso sfogliando le pagine avanti e indietro per assicurarmi di non aver sostituito una parola con un’altra inconsciamente e di aver quindi frainteso il concetto, è all’avanguardia persino un secolo dopo che fu trasferita su carta. Non posso che considerare quest’opera come un concentrato di saggezza particolarmente utile ai nostri tempi: se volete trovare la vera essenza del pensiero femminista, prendete dallo scaffale il libro di Virginia Woolf o riflettete su cosa possa voler dire quest’ultimo estratto: “Tutto quest’opporre un sesso all’altro, una qualità all’altra; tutto questo rivendicare superiorità, appartiene alla fase scolastica dell’esistenza umana”.

Valeria Delzotti

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