C’era un volta, non molto tempo fa, una brutta fabbrica. A dire il vero ce n’era una nella periferia di ogni metropoli, di ciascuna città e perfino in tutti i paesi di campagna; erano edifici brutti, dalle mura alte, vecchie e imbrattate di luridume. Nonostante apparissero in rovina, queste fabbriche in realtà funzionavano tutte quante, producendo degli strani oggetti: piccoli fagotti uscivano circa ogni settimana, trasportati nelle loro nuove case da alcuni mezzi di fortuna. Alcuni erano tentati di piangere, eppure si limitavano a singhiozzare in silenzio, perché sapevano che se avessero pianto o se addirittura avessero osato protestare sarebbero finiti tra gli scartati.
Gli scartati erano tutti quei fagottini che, durante il lungo e difficile processo di assembramento, incontravano qualche intoppo, risultando così difettosi agli occhi dei proprietari delle fabbriche, figure non del tutto umane che apparivano in avanzato stato di decomposizione — proprio come i muri delle loro tanto amate fabbriche. I proprietari non facevano molto: stavano per la maggior parte del tempo rinchiusi nei loro uffici a contare e ricontare il loro denaro, ma talvolta, presi dalla noia, rinchiudevano i fagottini a loro dire difettosi in stanze senza finestre, lasciandoli senza rimorsi al loro destino. Non si guardavano mai indietro, non si chiedevano mai che cosa succedesse in quelle stanze: se solo lo avessero fatto, avrebbero scoperto che, in quei lunghi bui, tetri e fatiscenti, gli scartati prosperavano. Nascosti dalle occhiate inquisitorie degli operai, gli scartati imparavano a vivere con i loro simili, e ancor prima con loro stessi: quelli che per i proprietari era un difetto, per loro era una risorsa, e ne facevano tesoro come meglio potevano. La cosa buffa è che gli scartati non si identificavano con questo nome — anzi, non avevano nemmeno una definizione per loro stessi — ma vivevano tutti quanti assieme e dove non arrivava la vista di uno, arrivava quella di un altro; quando uno fra loro non riusciva a portare a termini un compito, altri cinque di loro erano subito pronti ad aiutarlo.
Col tempo, gli scartati divennero sempre di più e i proprietari delle fabbriche furono costretti a costruire appositamente per loro tante e tante stanze, che però si riempivano di fagottini nel giro di poche ore. Cominciò nelle campagne: i proprietari delle fabbriche più piccole notarono che, poco alla volta, i fagottini conformi alle indicazioni di fabbrica erano sempre meno, mentre quelli da scartare sempre di più. Un bel giorno, quando la primavera si preparava a lasciare il posto all’estate, gli scartati di un piccola fabbrica, forti del loro gran numero, marciarono tutti quanti insieme fuori dalla stessa, evadendo una volta per tutte da quelle anguste stanze nelle quali erano stati rinchiusi per troppo tempo. Insieme trovarono la via d’uscita: dapprima invasero le strade, suscitando lo stupore e la gioia degli abitanti, che nel vederli non poterono far altro che riconoscere la loro bellezza; così, in seguito, gli scartati di una piccola fabbrica di campagna si ritrovarono per la prima volta ad ammirare il sole tramontare e dipingere il grano di mille sfumature delicate.
In men che non si dica, si sparse per tutti i continenti la voce di questo avvenimento straordinario, e ben presto anche gli scartati di altre fabbriche si ribellarono allo stesso modo: in ogni campo, giardino, parco, orticello… Erano i fiori più belli di tutti e, insomma, com’è che diceva quel detto? Ah, sì: vissero tutti felici e contenti.
Giusto?
Mariana Rosa
Post Scriptum del redattore: prima di una più opportuna modifica, qualcuno dei (per fortuna tanti) lettori dell’ultima intervista, a causa di uno spiacevole malinteso occorso con l’intervistato — il quale ci ha fornito informazioni fuorvianti —, potrebbe aver pensato che il romanzo Brandelli Blu Mare fosse suo e non, come chiaramente appare dalla copertina che proprio a questo scopo avevamo annesso al testo, della sua unica autrice — Rosa Johanna Pintus. Anche se il nostro coinvolgimento in questo errore di attribuzione è stato assolutamente marginale (e cioè quello di riportare testualmente le parole pronunciate dal ragazzo intervistato) e le nostre migliori intenzioni sono state ratificate dalla pronta modifica del testo dopo una segnalazione esterna, ce ne scusiamo con l’autrice interessata.