Funzionalità/persona(lità)

La riflessione che segue ha il desio di svilupparsi traendo spunto da semplici situazioni quotidiane tipiche soprattutto del mondo giovanile, ma non solo. Passeggiando nel parchetto della propria città o aspettando il proprio figlio fuori da scuola, è facile notare che la maggior parte dei giovani indossa maglietta, pantaloni e scarpe dello stesso tipo e, senza dubbio, dell’ultima marca in voga in tutto il Paese. Siamo forse tutti uguali? Beh, forse il sentirsi tutto sullo stesso piano non è un male, anzi, però la favola dell’eguaglianza concettuale non fa il caso nostro. Si tratta piuttosto di uno spaccio di superficialità e conformismo che va a braccetto con una perdita incondizionata di valori.                     Riprendendo Z. Bauman, la caduta del Muro di Berlino del 1989 ha trascinato con sé la caduta delle ideologie favorendo il passaggio dalla fase solida alla fase liquida. Con l’avvento della postmodernità si è perso ogni possibile punto di appiglio, ogni forma di ideologia, vera o falsa che fosse. Non si ha un dio a cui rivolgersi, che sia religioso, politico o di altro tipo e ci si trova con l’acqua alla gola nel bel mezzo di una tempestosa globalizzazione. Annullando distanze, tempi e soprattutto pensiero critico, i potenti del mondo si muovono per plasmare gli individui, promuovendo intelligenze convergenti, quindi uniformi. Ciascuno viene risucchiato da un pervasivo flusso globalizzante andato creandosi nell’ultimo secolo. Emblematico è il processo di macdonaldizzazione per cui si è sviluppato un percorso lavorativo su scala globale in cui la standardizzazione, la ripetibilità, la rapidità di fruizione e consumo dei prodotti dominano sull’individualità di ciascuno. Nella modernità liquida, come sostiene U. Galimberti, la tecnica ha subito il passaggio da “strumento” a disposizione dell’uomo a “soggetto” della storia, rispetto al quale l’uomo è ridotto a funzionario dei suoi apparati.     Con la rivoluzione industriale l’uomo ha introdotto potenti innovazioni che via via sono divenute sempre più sofisticate grazie a nuovi macchinari. E così, in nome della tecnica – non più mezzo, bensì fine primo per raggiungere poi tutti gli altri – l’uomo diventa un semplice mansionario, (s)oggetto a disposizione delle macchine in una prospettiva in cui la funzionalità predomina nettamente e in modo irreversibile sulla persona che non può fare altro che mettersi miseramente al suo servizio deprivandosi della propria personalità più vera. L’uomo ha subito l’ignobile traslazione da “pastore” dell’essere a “pastore” delle macchine.                                                                                          Il dominio della tecnica è stato rinforzato nel ‘900 dal Taylorismo americano che auspica a un modello produttivo in cui l’uomo svolge un lavoro ripetitivo e monotono velocemente, perché vi è solo una buona via, one best way, per giungere al massimo rendimento nel minor tempo possibile, Fievole riscontro hanno ottenuto le proposte più umanitarie volte a promuovere benessere, engagement e soddisfazione dei lavoratori. In fondo, era ed è tuttora inevitabile che in una società in cui regna l’Economia, il dio Denaro, in cui l’efficienza e la ricchezza prevalgono, l’uomo sia solamente una miserabile vittima del processo di produzione capitanato dal Mercato globalizzato, dal nuovo Nessuno, invisibile, ma che ci vede benissimo.                                            L’essere, proprio e altrui, è stato annientato senza scrupoli con il genocidio degli ebrei, perché l’uomo ha varcato il confine dall’agire, per cui si svolge un’azione in vista di uno scopo, al fare, per cui si esegue perché è il proprio compito, così bisogna fare senza conoscerne il fine. La testimonianza di Eichmann, noto come il “burocrate dell’Olocausto”, è mestamente illuminante in questo senso: ‘Mi sono limitato a eseguire gli ordini’ ha pronunciato durante il processo di Norimberga.                                      Si evince, quindi, un annullamento di pensiero, riflessione, ragionamento e moralità, e un trionfo di obbedienza cieca e incontrollata. Certamente non possiamo affermare che la storia ci abbia insegnato qualcosa perché le dinamiche di ieri vigono fermamente ancora oggi: l’operaio è a disposizione delle macchine come un anello della catena produttiva e per qualche esigua forma di salario è intrappolato e costretto a servire il capitalismo che si cela sotto il volto della democrazia. Così l’uomo, deprivandosi inevitabilmente della propria persona e personalità, del proprio sé più intimo e profondo, del proprio essere pensante da cui cogito, ergo sum, si riduce a corpo acefalo, a un non-essere che non è, bensì fa

Annalisa Berbenni

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