Dalla crepa all’oro

Più di mille. Tante sono state le visualizzazioni in un mese con solo un articolo (questo escluso) all’attivo.
Oltre cinquecento. Tante sono state le persone, a settembre, a entrare sul nostro blog, in un mese — il secondo di fila, ormai — di fatto privato dei social, del tutto essenziali per piattaforme come la nostra.
Sono numeri, lo posso dire con sincerità, che chi scrive si limitava ad auspicare, solo “nel migliore dei mondi possibili”, per citare Leibniz.
Ma visto che Leibniz, come ben sapeva Schopenhauer, aveva ragione poche e limitate volte — e che questo è, non di rado, il peggiore dei mondi possibili — le speranze che quest’auspicio si concretizzasse erano davvero poche.
E, invece, così è stato.

Nella solitudine del web, creataci ad hoc da un segnalatore mai abbastanza odiato e da un algoritmo mai abbastanza denunciato, ci avete regalato una risata, consentendoci di aprire rapporti con l’esterno nonostante tutto ciò ci costringesse anche a una interiorizzazione profonda e talvolta difficoltosa. Uno scenario che da distopico si è fatto presente, invadente, come un film disturbante o un’opera teatrale talmente drammatica da scuotere l’animo di chi la osserva. Uno scenario che ci ha spinto a ricercare un’impresa evidentemente fuori dal normale, del tutto estranea a ciò che ogni nostro collega, trovandosi nella nostra situazione, avrebbe fatto: cercare di sopravvivere, sul web, senza social. E non solo, per ora, ci siamo riusciti: ma, come in un gigantesco flusso di coscienza, il nostro percorso è diventato il vostro. Personalmente, dirigendo questa splendida macchina, ho ricevuto decine e decine di messaggi di supporto, vicinanza, di cui già nel precedente editoriale avevo parlato. Il nostro senso di smarrimento è diventato necessità di reinventarsi, tanto di chi scrive (nel diffondere i suoi contenuti) quanto di chi legge (nell’entrate sul sito seguendo vie diverse dalle usuali, per fare un solo esempio).

A oggi è presto per dire se, a dicembre, alla resa dei conti definitivi, avremo avuto la meglio noi, e sopravvivremo; o loro, e dovremo chiudere, magari riaprendo da un’altra parte. Quello che, però, sono già certo di poter dire senza alcun timore di sbagliarmi o di essere contraddetto, è che questa logorante, sfiancante e ingiusta esperienza ci sta facendo crescere, tanto come blog quanto come persone. Abbiamo provato, e tuttora stiamo vivendo, le incoerenze del mondo dell’Internet (che abbiamo raccolto in una serie di post a tema a settembre, che continueranno a essere pubblicati, ogni sabato, da ottobre a dicembre, sulle pagine social), le difficoltà date dal perseguire un ideale in un mondo che ne è totalmente privo, e — anche se, per nostra fortuna, molto in piccolo — il sapore agrodolce del condurre una battaglia senza sapere come andrà a finire, ma certi della forza della propria motivazione. E questa forza è data da una frase forse semplice, ma non banale: noi non abbiamo sbagliato. Quell’immagine, ora rimossa, non era pornografica. E, anche se davvero non c’è bisogno di dirlo, il nostro contenuto non era inautentico. Com’è ovvio, riavvolgendo il nastro a cinquanta giorni fa, direi a Virginia di proporre un’immagine differente, ma solo avendo il cosiddetto “senno di poi” — non certo perché la trovassi (l’immagine) pornografica, come ogni persona di buonsenso potrà certo confermare.

A conclusione di questa breve riflessione, una sola specificazione, che credo quantomai opportuna: nel mondo di oggi, così volubile e virtuale, non solo l’uomo è “una canna pensante”, come ben sosteneva Pascal, ma lo sono anche e soprattutto le sue creazioni: basta un soffio, e tutto cede, tutto cambia. Se questo è vero, però, non lo è di meno quanto abbiamo asserito poco sopra, tanto sulla forza nel condurre questa battaglia quanto nella crescita che queste asperità ci stanno costringendo ad attuare.

Del resto, pur senza avere la saggezza di quello storico popolo, dal Giappone possiamo solo imparare, perché come ben sapeva Jim Butcher,

Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa riempiendo la spaccatura con dell’oro. Essi credono che quando qualcosa ha subito una ferita e ha una storia, diventa più bello.

Federico

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