Il corpo e il riflesso

Quando si parla di corpi, vige la concezione che vi sia una verità assoluta e assodata su di essi; un parametro che qualcuno ha stabilito e in base al quale valutiamo noi stessi e chi abbiamo intorno. Le sentenze sono spesso severe e risultiamo indifendibili. E’ questione di un secondo, di un passaggio obbligatorio che ci trasforma da bambini in adulti. Lo specchio si fa lente d’ingrandimento e riflesso dei nostri continui riflessi, la tela sulla quale nascono e si dipingono le nostre più grandi incertezze. Possiamo guardarci infinite volte e non notare, proprio come successe a Mattia Pascal, che il nostro naso è leggermente storto. Ce lo dirà qualcun altro, gentilmente o a brutto muso. Esso comparirà, da allora in avanti, come per magia. Sarà l’unica cosa sulla quale riusciremo a concentrarci. Daremo la colpa a quel nonno, o non incolperemo davvero nessuno, consci che qualunque sia la conclusione che ne trarremo, quel dettaglio apparterrà soltanto a noi. 

Il discorso si fa più complicato, se consideriamo che buona parte della percezione che abbiamo di noi stessi è influenzata da fattori sociali, ambientali e psicologici. L’uno esercita un potentissimo influsso sull’altro, in una condizione di continuo scambio, nel quale diventa difficile tracciare un confine. Basti pensare a come la concezione della bellezza sia mutata nel corso del tempo; pittori quali Modigliani, Renoir o Da Vinci avrebbero scelto, per i loro dipinti più iconici, i corpi delle nostre super models

La bellezza, della quale da tempo si discute, è da sempre uno degli aspetti più mutevoli della nostra società. Ce lo raccontano i film e le prorompenze di dive quali Sofia Loren e Marylin Monroe, e i nostri tanto amati – odiati – socials. Di forte pertinenza al modo dell’internet è il fenomeno del body shaming, che consiste nel «[…] deridere qualcuno per via del suo aspetto fisico», (Treccani, neologismi 2018). Dobbiamo immaginare, però, che la sofisticatezza apparente del termine e le forme di bullismo legate ad esso, non si siano radicate in società soltanto per vie traverse. A lasciarci sconvolti è di fatto la loro verticalizzazione nel sostrato sociale e nel pensiero comune. Secondo un’indagine condotta da Nutrimente Onlus, una donna su due (dai 18 ai 55 anni), sarebbe stata vittima di body shaming. In adolescenza, le statistiche salgono ben al 94%; un dato allarmante che ha portato questo fenomeno ad essere penalmente perseguito. Ma se di un crimine parliamo, che cosa lo rende così difficile da sradicare? E quali sono gli effetti che esso comporta?

Si è soliti pensare all’insulto come all’unica forma, virtuale e non, di maggiore diffusione del body shaming. In realtà, le nostre considerazioni aprono la strada all’universo del linguaggio. Dobbiamo immaginare che i neologismi ad oggi in uso si siano riversati e solidificati, a volte impropriamente, in vere e proprie abitudini linguistiche. Non esiste arma più letale delle nostre parole, e il body shaming inconsapevole è quello che, nel parlato comune, passa maggiormente inosservato. Tale fenomeno non esenta neppure i grandi nomi dello star system; proprio in questi giorni l’ennesimo caso di body shaming sta facendo parlare nel web. Si tratta della giovane artista Billie Eilish, presa di mira dai social dopo essere stata paparazzata e definita in “sovrappeso”. Viene dunque da chiedersi, è bene decidere per gli altri come un corpo sia veramente più giusto? E in base a cosa?

Standard e giudizi più o meno severi influiscono sulla percezione che abbiamo di noi stessi. Più fragile sarà la nostra psiche, più facile risulterà alimentare standard inarrivabili. Per sovvertire tale tendenza nasce il fenomeno del body positive, un aggregato spontaneo di eterogeneità e accettazione che mira a sfatare i cosiddetti canoni di bellezza. Se dunque un ago della bilancia pende ancora verso antiquati parametri di giudizio, si fanno più forti le voci di donne da adesso pronte a sfatarli. 

La sola cosa che dovremmo tenere a mente, però, è che il modo in cui percepiamo noi stessi dipende solo ed esclusivamente da noi, dal nostro vissuto e dalla consapevolezza che abbiamo del nostro valore. Possiamo scegliere di guardarci allo specchio e volerci diversi, oppure accettarci esattamente per quello siamo. Cercare di cambiare, certamente, non è un crimine, ma interrogarci sul perché intendiamo farlo, al nesso del nostro discorso, è senz’altro un dovere. Il giudizio finale starà soltanto a noi: cosa vogliamo realmente vedere nel nostro riflesso? Un nemico o un amico?

Francesca G.

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