Dopo l’omicidio di George Floyd, una frase che ho sentito pronunciare spesso è: “Com’è possibile che nel 2020, negli USA, accadano ancora cose del genere?”. Tralasciando l’ipocrisia dei molti italiani che ignorano la questione razziale nel nostro paese, questa affermazione ha senso: non è accettabile che in una delle nazioni più avanzate al mondo accadano ancora oggi eventi di questo tipo. Peccato che questa frase diventi un modo per attaccare gli USA e le battaglie degli afroamericani degli ultimi 150 anni, dichiarando che dalla fine della schiavitù “nulla sia veramente cambiato”. Questa affermazione ignora palesemente la storia delle lotte per i diritti civili avvenute negli anni ‘60 e che hanno messo fine alla segregazione razziale o il fatto che nel 2008 venne eletto come presidente degli Stati Uniti un uomo afroamericano. “Sono solo briciole”, dicono i detrattori. Vediamo.
Il progresso non è qualcosa che cade dal cielo, è una strada in salita che mette in discussione costantemente i risultati raggiunti, con l’obiettivo di arrivare a un risultato finale. È frutto di un duro e lungo lavoro, di lotte, e soprattutto di persuasione. Progressismo significa anche difendere i diritti conquistati, i quali possono rimanere sotto attacco per molto tempo. Ma alcuni/e progressisti/e mettono in discussione a priori qualsiasi risultato raggiunto, senza alcuna analisi critica, per portare avanti la propria agenda. Essi/e amano gridare slogan e frasi fatte, tracciare linee di separazione, identificare un nemico ed attaccarlo, definire “moderato” o “traditore” qualunque riformista che non la pensi esattamente come loro. Costoro vogliono ottenere tutto e subito, ritenendo che “la gente sia troppo stupida per poter capire”. Ai loro occhi la donna non si è affatto emancipata negli ultimi 50 anni ma vive ancora nel Medioevo e gli afroamericani sono in una nuova forma di schiavitù. Queste osservazioni sono ingenue e pericolose. Ignorando sistematicamente gli sforzi compiuti nel passato non solo si nega la realtà storica e fattuale ma si portano le persone ad indignarsi e basta. E questo è un problema.
L’indignazione è il sentimento dominante nel dibattito pubblico contemporaneo, sui giornali, alla TV. È un sentimento naturale che, in quanti umani, proviamo di fronti a eventi che troviamo riprovevoli e degni di biasimo. E fin qui non c’è nulla di male. Ma l’indignazione rimane un concetto vuoto se non conduce ad un’azione effettiva, a una riflessione e a un’analisi critica di se stessi e del mondo. Negli ultimi anni si è fabbricata indignazione fine a se stessa. L’indignazione non è il mezzo per giungere a un fine, ma è diventato il fine stesso. Basta navigare su un qualsiasi social network per vedere schiere di utenti indignarsi quotidianamente per un gran numero di eventi, che siano veri o meno. L’indignazione va a braccetto con le fake news: più una notizia scandalizza, più questa verrà diffusa automaticamente. In definitiva l’indignazione è un sentimento abusato, inutile e dannoso, che porta solo a una soddisfazione narcisistica.
Purtroppo molti/e progressisti/e fanno costantemente leva su questa indignazione. E quindi ci ritroviamo persone che sul web attacco in massa altre persone, rei di aver fatto una dichiarazione ritenuta “controversa” , senza alcuna argomentazione, solo con la volontà di isolare ed attaccare i bersagli. Costoro vorrebbero che a parlare dei problemi delle minoranze fossero solo i diretti interessati, senza alcun intervento da parte dei privilegiati maschi-bianchi-etero-cisgender. Ma questa idea è insensata.
Facciamo un gioco mentale: mettiamo che in uno stato inesistente, il Karakistan, non esista una legge che garantisca alle donne la possibilità di abortire. Ipotizziamo che il governo organizzi un referendum per legalizzarlo, a cui possano partecipare solo le donne: in fondo il corpo è loro ed hanno tutto il diritto di scegliere da sole. Ecco, mettiamo che il referendum perda clamorosamente, e la maggioranza delle donne non abbia votato per una legge che garantisca l’aborto. Credete sia qualcosa di inverosimile? Vorrei ricordare che alla guida di uno dei partiti di estrema destra italiano c’è una donna, così come in Francia. Il pensiero conservatore e reazionario è trasversale.
Il punto è che non conosciamo le ragioni e le storie individuali di ciascuno per capire cosa porti una persona a fare determinate scelte politiche: vi sono uomini che senza problemi appoggiano le battaglie femministe rispetto a certe donne, le quali non dovrebbero essere bollate come “traditrici”. Credere che possa esistere solo una visione comune per tutto il sesso femminile è assurdo.
Alcuni dicono che in realtà anche chi non è membro di una minoranza possa esprimere una sua opinione, basta che sia conforme a quella della minoranza stessa. E questo è un altro bel problema. Come ho già accennato non è detto che all’interno di un gruppo etnico-sessuale-sociale tutti i membri abbiano le stesse opinioni: quale sarebbe l’opinione che io, da osservatore esterno, dovrei abbracciare? Inoltre questa pretesa non tiene conto dell’ambito democratico in cui viviamo, in cui esiste la libertà di opinione e tutti possono argomentare su tutto. Democrazia significa la possibilità di poter esprimere il proprio pensiero, senza che tutte le opinioni abbiano lo stesso valore ovviamente: una persona che ha studiato o ha vissuto in prima persona certi fenomeni ha un bagaglio di conoscenze maggiore del mio. Ma un voto vale un voto, quindi le alternative per portare avanti le proprie battaglie sono due: o convincere il maggior numero di persone della bontà della propria causa, e fare in modo che la politica se ne occupi, aumentando la rappresentanza delle minoranze escluse; oppure instaurare un clima di terrore e di pressioni in cui qualcuno decide chi è il nemico e chi è l’amico.
Il problema del politically correct sta in questo: non tanto nel contenuto delle battaglie che porta avanti, le quali rimangono giuste e necessarie per un progressista, quanto nel metodo. Con queste tattiche in Italia non sarebbe passata alcuna legge sull’aborto. Bisogna ringraziare coloro che hanno sempre combattuto le loro battaglie senza guardare in faccia chi fossero i loro alleati, tra cui i Radicali Italiani, da cui i movimenti progressisti contemporanei, se vogliono avere successo, dovrebbero trarre una preziosa lezione.
Davide Muffatti*
*N.d.R. — articolo, questo, che prosegue la già presentata collaborazione con Il viaggiatore solitario, blog diretto proprio dall’autore di questo articolo.