Parlare senza dire niente

La mente e il linguaggio del corpo

Siete seduti in metro, davanti a voi un anziano con la testa china si guarda intorno con gli angoli della bocca rovesciati. Vi sembra stanco, fino a che non notate la saldezza delle mani e vi dite allora: “sicuramente è triste”. Diventate improvvisamente consapevoli del fatto che non servono le parole per dare un’impressione di sé nel mondo. A volte basta un’espressione, un paio di braccia conserte a consolidare l’idea che forse non dovremmo insistere. Si può parlare allora senza parlare davvero? E in che modo le nostre espressioni e gesti si fanno portavoce delle nostre emozioni più sincere?

Facciamo un passo indietro.

Siamo nel 1872, e l’antropologo naturalista Charles Darwin pubblica per la prima volta uno scritto in cui esplora l’espressione dell’emozione umana e animale; egli afferma che la natura dell’emozione, a prescindere da chi appartenga, ha un linguaggio universale e che si manifesta in base alla natura stessa dell’emozione. Gli studi del teorico evoluzionista avrebbero aspettato quasi un secolo prima di essere riconosciute e approfondite. Da sempre, infatti, la direzione verso cui la società si è mossa è stata di natura logocentrica. Ci sarebbero voluti i travolgenti anni Settanta perché uno psicologo americano, Paul Elkman, catalogasse le espressioni in base a sei tipi fondamentali di emozioni e ponesse la lente d’ingrandimento sui “micro-sintomi” che tradiscono la menzogna. Con la bellezza di quarantatré muscoli facciali, infatti, disponiamo di un vera e propria tela che, più che somigliare ad un astratto, risulta un ritratto facilmente interpretabile anche da chi, di linguaggio del corpo, non ne sa proprio niente. Alle volte è questione di “pelle”, altre volte di fiutabili contraddizioni, eppur non essendo pienamente coscienti di quanto comunichiamo, certamente lo siamo in qualità di riceventi. 

A quanti di voi è capitato di ritrovarsi a mentire? 

La risposta, che non lascia presagire altrimenti, presuppone una domanda ben più specifica e a tratti insidiosa: a quanti di voi sono state dette bugie? Che si tratti di un partner o di un rappresentante di enti di beneficienza fittizi, anche in questo caso la risposta vien da sé. E allora fate attenzione alle mani e agli occhi; un bugiardo incallito e senza remore non distoglierà lo sguardo, come vi aspettereste che faccia, ma continuerà a fissarvi nel tentativo di prender tempo per costruire una bugia credibile. Le mani, invece, sono indicatori di fiducia o meno; mostrare i palmi è da sempre sinonimo di affidabilità, e la puntualità con la quale gesticoliamo all’interno di un discorso può aiutarci a rendere il messaggio ancora più incisivo di quanto con le sole parole non sia. Il migliore esempio, in questo caso, rimangono i politici, da sempre maestri del public speaking e abili fruitori delle mani per consegnare enfasi a un discorso. Pensiamo ad Hitler o allo stesso Mussolini, alla propaganda e al contatto col popolo che si risolse con l’instaurazione dei regimi totalitari; se siete incappati nei loro discorsi su canali come History Channel, avrete notato come i loro corpi, e il senso di grandiosità trasmesso da essi, fossero indispensabili ad “abbindolare” la folla per i loro scopi propagandistici; braccia estremamente tese e mani sui fianchi, posture militaresche e scenari di sfarzo statale per ostentare la propria forza politica. Attenzione, però, a non fare di tutto l’erba un fascio; sì, perché la classe soprammenzionata si scinde in due categorie: nella prima troviamo i politici capaci di un linguaggio del corpo d’impatto e convincente, quali la neoeletta Kamala Harris e il nostro tanto amato-odiato premier Conte, e nella seconda vi sono quelli che spiccano come esempi in negativo; si veda Boris Johnson e la sua pessima postura, oppure l’eccessiva staticità dell’ex Premier Mario Monti. Proprio qualche giorno fa, in vista dell’elezioni statunitensi, e sebbene lontani dal clima — forse neppure troppo — dittatoriale del tempo, sono incappata in dei filmati dell’ex Presidente Barack Obama. Nessuna ferocia o aggressività nel tono delle sue parole, ma credibilità dettata dal dinamismo del suo corpo e dall’intelligente uso che fece delle proprie mani; ben diverso il modo di comunicare, potremmo dire ad oggi, rispetto a quello del democratico Joe Biden. 

E sebbene dubiti che tra i nostri principali obiettivi ci sia quello di diventare Presidente degli Stati Uniti, la potenza e l’incoscienza del nostro corpo non passa di sicuro inosservato. Noi italiani, in qualità di gesticolatori per eccellenza, proferiamo una quantità d’informazioni inestimabili. Possiamo smentirci o dissuadere l’interlocutore, svelarci insicuri o intimiditi dal contesto in cui ci troviamo, oppure risultare ferocemente appassionati. Il corpo si cimenta dunque come intermediario di realtà e mente, in una reciprocità che non conosce distinzioni. Cambiare e specchiarci in una data maniera nel nostro riflesso, può influire sia sull’umore che sulla percezione che abbiamo di noi stessi. 

È importante ricordare, che nonostante i mille tecnicismi, non esiste un modo universale di parlare o non parlare nel modo giusto; infinite sono le possibilità e infiniti gli esiti di cui soltanto pochi potranno fare al caso nostro. Ciò che conta, alla fine, è quanto di più essenziale abbiamo: la nostra nuda incoscienza, la spontaneità.
Cercare di controllare la comunicazione non verbale risulta, in estremo, impossibile. E, considerando la difficoltà e le distanze con le quali al giorno d’oggi siamo costretti ad esprimerci, diventa fondamentale riconoscerci in gesti di solidarietà per restare uniti. Potremmo non parlare, certo, ma ciò che non diciamo non dovrebbe mai renderci più muti di quanto — di fronte allo sconforto — già non siamo.
Per questo, più che di linguaggio del corpo, parlerei di corpi e basta; tutti, nella nostra diversità, siamo legati da una lingua preziosissima che non necessita di traduzioni.

Francesca G.

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