Lo abbiamo conosciuto come autore e, nei mesi passati, abbiamo avuto modo di intervistare Ibrahima, uno dei suoi collaboratori. Ora è giunto il momento che sia Michele Ottonello, intervistato dal nostro Enrico, a raccontarsi e a raccontarci qualcosa di più sull’associazione che, negli anni, è riuscito a costruire.
Come prima “domanda”, ti chiederei di presentarti e raccontarci qualcosa di te.
Devo dire che hai scelto una domanda che non è tra le più facili a cui rispondere, ma credo che sia un problema piuttosto comune e che capiti un po’ a tutti di non sapere come parlare di sé… Diciamo che io tendo a definirmi una persona “non normale”, nel senso che ho un’idea poco chiara del concetto di normalità — anzi, sono quasi convinto che la normalità in realtà non esista e che ognuno di noi abbia una sua originalità, una sua unicità che lo contraddistingue. Sicuramente in me c’è un po’ di follia.
E lo dico con cognizione di causa, come un ragazzo di ventiquattro anni che gestisce un’associazione culturale, con tutto ciò che ne consegue. Capita di frequenta che qualche mio amico venga da me e mi dica “Michele, ma chi te lo ha fatto fare?”
Parlando di me in maniera classica, posso dire che ho appunto ventiquattro anni e frequento un’Accademia di Belle Arti a Milano, con la laurea prevista per luglio.
Parliamo un attimo anche dei tuoi interessi, qualche cosa in particolare che dovremmo sapere?
Mi piacciono un po’ tutte quelle cose che sono, appunto, folli. Per esempio, sto organizzando, con un amico, un viaggio un po’ particolare: un cammino attraverso l’Italia, senza soldi e senza cellulari…
Una delle cose che mi contraddistingue è il fatto che tendo a svegliarmi ogni mattina con un sogno diverso, è così da quando ero bambino ed è una cosa che ha indubbiamente i suoi lati positivi ma anche negativi: forse a 24 anni dovrei avere degli obiettivi più chiari!
Un’ultima cosa, anche se non è propriamente uno dei miei interessi ma più una mia caratteristica: credo ancora che si possa sperare di costruire un mondo migliore e che questa speranza debba partire dalle nostre azioni come singoli.
Hai parlato della tua associazione, ti va di raccontarci qualcosa di più?
Allora, diciamo che la nostra è una realtà un po’ particolare: se a statuto siamo un’associazione culturale, a me piace pensarla più come una fucina di art-tivisti, dove nella crasi tra “artisti” e “attivisti” è rinchiusa un po’ tutto quello che siamo. La nostra non è un’arte fine a se stessa, ma deve avere un risvolto sociale, deve aiutare gli altri, contribuire a creare il mondo migliore a cui facevo riferimento prima.
Un impegno, quello sociale, che è parte del vostro progetto sin dalle origini…
La storia della nostra associazione, di quella che è oggi Valley’s got talent, inizia nel 2016: un anno complicato, in quanto io ero appena rientrato dalla mia prima esperienza di volontariato internazionale, in Albania e, allo stesso tempo, con un’amica, ero arrivato in semifinale ad un importante contest per cabarettisti che sembrava potermi aprire molte porte.
Venendo sia io che la mia amica da realtà piuttosto piccole — due piccoli paesini, uno ligure e uno piemontese — la voce si era sparsa piuttosto in fretta tra i nostri compaesani ed eravamo sommersi di richieste. Richieste che all’inizio mi ero promesso di ignorare, salvo poi cambiare idea. Sempre nel 2016 ho quindi deciso di coinvolgere tutti i miei amici artisti e mettere in piedi l’evento Masone’s got talent, dove Masone è il nome del mio paese.
Anche la genesi dell’evento è stata piuttosto travagliata, perché poche settimane prima della nostra esibizione il centro Italia è stato colpito dal terremoto che ricorderai. A seguito di questo, all’interno del gruppo le opinioni erano discordi: c’era chi diceva che lo spettacolo era da fare comunque e chi, invece, pensava che fosse meglio fermarsi. Poi il colpo di genio: perché non fare una raccolta fondi da destinare alle zone colpite? L’idea piacque e, tramite la Croce Rossa locale riuscimmo a metterci in contatto con la Croce Rossa di Amatrice e far avere loro tutti i proventi della serata…
A seguito di quell’evento, numerosi altri artisti locali sono venuti a bussare alla nostra porta, così abbiamo capito che non potevamo fermarci lì: è nata così l’organizzazione Masone’s Got Talent che, nel 2019 si è trasformata in associazione con il nome di “Valley’s got talent” visto che, nel frattempo, si erano aggiunti ragazzi provenienti da altri comuni della vallata.
E da quel giorno le iniziative benefiche non si sono certo fermate.
Esattamente, a partire dal nostro secondo evento, che è stato un po’ l’esordio per l’organizzazione, all’ospedale pediatrico Gaslini di Genova. Pensa che conserviamo ancora i pensieri che i piccoli pazienti ci hanno lasciato! Lo spettacolo è stato un successo.
Le iniziative poi sono state molte: dalla raccolta fondi insieme ai Padri Carmelitani da destinare alla realizzazione di un pozzo in Africa Centrale — cosa che ha portato anche alla realizzazione di un filmato molto commovente, sino alla cooperazione con il SERMIG, il Servizio Missionario Giovani, che in virtù del nostro impegno nel sociale ci ha riconosciuti come “Punto di Pace nel Mondo”.
Un’iniziativa a cui tengo molto è stata la raccolta fondi per le famiglie colpite dal disastro ambientale della terra dei fuochi. Lì, oltre allo spettacolo, ci siamo fatti sostenitori di una marcia contro la Camorra, che a oggi è il principale imputato per quel dramma. Quindi, come ti dicevo, art-ivisti è il termine che vedo più adatto per descriverci.
Ascolta, sentendo questa tua descrizione, l’idea che mi sono fatto della vostra associazione è di un qualcosa di vagamente paradossale, con una dimensione fortemente locale — a partire dal nome — ma il cui impegno sociale va ben oltre le zone in cui vi esibite, oserei dire che avete una dimensione internazionale.
Direi che ti è passata l’immagine più corretta.
Credi che l’essere nati in seno ad una comunità così piccola — parlavi prima di una vallata — abbia favorito il vostro successo? In altre parole, l’essere “fortemente locali” abbia fatto sì che l’associazione godesse di un maggior sostegno?
Vedi delle volte sono piuttosto critico nei confronti del mio paese, ma è un criticismo buono, misto ad affetto. Un po’ come quello di un genitore, se vogliamo. Certamente siamo molto legati al nostro ambiente, ai nostri comuni, se non lo fossimo non ci impegneremmo tanto!
Mi piace molto, a tal proposito, una frase di Paolo Borsellino, anche se non posso dire che rispecchi in toto il mio pensiero: quando gli chiesero se amasse Palermo, lui rispose che aveva imparato ad amarla cambiandola. Ecco, per noi è qualcosa del genere: più ci impegniamo per cambiare le cose, per migliorarle, più amiamo la nostra comunità.
Ti va di parlarci dei vostri progetti futuri?
Non ti nascondo che la pandemia ci ha letteralmente tagliato le gambe, ma a chi non lo ha fatto?
Devo dire anche che ho temuto che, come spesso accade nelle associazioni giovani, lo stop obbligato ci avrebbe portato alla chiusura, ma invece abbiamo trovato la forza di reagire, in particolar modo grazie ai social, dove ogni artista ha curato una sua rubrica settimanale e dove siamo riusciti a mantenere il contatto con la gente, che è la cosa più importante.
Ovviamente abbiamo continuato ad organizzare le nostre raccolte fondi, con l’ultima abbiamo finanziato l’acquisto di sei tablet per sei diverse strutture sanitarie, uno per ogni struttura, e una fornitura di materiale sanitario per la croce verde di uno dei comuni.
Per il periodo natalizio invece abbiamo pensato ad uno spettacolo itinerante a bordo di un trattore: porteremo qualche minuto di musica, teatro e divertimento nelle piazze dei nostri paesi, il tutto senza creare assembramenti e nel rispetto delle normative.
Per quanto riguarda l’anno prossimo, vedremo cosa il Co-vid ci permetterà di fare: le idee non mancano.
Un’anticipazione?
Avvieremo una collaborazione con la ONLUS Mary’s Mills, un’associazione che si occupa di fornire cibo e assistenza a livello internazionale.
Poi stiamo pensando a qualcosa come dei seminari, o dei cicli di incontri, ma come ti ho detto i progetti sono davvero tanti!
Enrico Luigi Giudici