Lisistrata è il nome della protagonista dell’omonima commedia di Aristofane e, come la tradizione comica spesso vuole, in esso è già contenuta la trama. Significa infatti “colei che scioglie gli eserciti” ed è il riflesso della vicenda e del ruolo del personaggio.
La commedia antica, a differenza della tragedia, non si occupa di temi universali ambientati nel tempo sacro e indefinito del mito, ma tratta gli eventi presenti, osservandoli con occhio critico.
La Lisistrata va in scena nel 411 a.C. quando Atene è ormai impegnata da vent’anni nella Guerra del Peloponneso. Le donne sono stanche di questa situazione di belligeranza che, a detta loro, subiscono con una pena maggiore rispetto agli uomini! Dormono sole, per mesi, nel pieno della giovinezza e partoriscono figli per vederli soldati. L’ateniese Lisistrata allora chiama a sé un collegio di donne da tutta la Grecia e le convince a giurare: non si concederanno più ai loro uomini finché non sarà tornata la pace.
Aristofane, dunque, non ci restituisce solo le baruffe politiche, la corruzione e l’ottusità della sua città, ma ci dà una fonte preziosissima per comprendere una così grande fetta di Grecia che per millenni ha vissuto nell’ombra, ovvero le donne.
Il commediografo ce le rappresenta in parte nei loro pregi e in parte in quei difetti così decantati dall’immaginario misogino greco. In ogni caso, là dove nessun autore parla di donne se non per sottolinearne la tragica sorte (come Euripide nella Medea), Aristofane ce le descrive nella loro vera vitalità quotidiana. Parlano di abiti e scarpe, di figli, mariti, lana e telaio, sono impertinenti e sferzanti nelle loro battute rivolte contro il coro di vecchi. Sono donne reali, che parlano e agiscono in totale naturalezza.
Certo, ci viene confermata la loro totale assenza nel mondo politico, difatti l’unico modo per ottenere quel che vogliono è tramite gli uomini e un ricatto, ma esse non sono certo inesistenti nell’ambito sociale. Le donne non sono escluse dalla città, partecipano alle sue celebrazioni religiose come protagoniste e nel loro dialogo con gli uomini sembrano molto meno sottomesse di quanto ci si immagini solitamente.
Persino in ambito matrimoniale e sessuale (dove la sottomissione al marito è comunque sottolineata) sono attive e partecipative. Quando le donne, accettando lo sciopero dell’amore, si chiedono che cosa dovranno fare se il marito le costringe, Lisistrata risponde di concedersi controvoglia poiché “in queste cose non c’è piacere a farle per forza” e “l’uomo non gode se anche la donna non gode“. L’effetto sortito, quindi, non cambierà: non sarà comunque un amore soddisfacente.
Inoltre, anch’esse sono dotate di emozioni e pulsioni; non per caso, contenere il desiderio femminile non sarà certo facile per Lisistrata. Una volta arroccate sull’Acropoli le donne cercheranno di scappare in mille modi per raggiungere i mariti e provare l’ebbrezza dell’amore.
Infine, contro ogni pregiudizio tradizionale la scena di interazione fra la coppia di Mirrina e Cinesia ci descrive un matrimonio in cui i coniugi sembrano teneramente legati, là dove nel pensare comune la coppia greca non era altro che l’unione forzata di individui contrari.
Nonostante la rappresentazione di donne determinate e salde, che mantengono il proprio giuramento e che vogliono la pace, non mancano certo delle indirette considerazioni misogine.
La commedia si apre con Lisistrata sola, che attende le altre in ritardo. Il suo progetto inizialmente non è compreso, le sue compagne sembrano indifferenti e preferiscono parlare di tuniche e scarpine o addirittura di sesso, argomenti molto più interessanti e che ci mostrano le protagoniste come superficiali e predisposte agli eccessi.
Era infatti abbastanza diffusa in Grecia l’accusa mossa al genere femminile di eccedere nel sesso e nel vino, tanto da essere diventato un topos descrittivo in età ellenistica. Sebbene dunque Aristofane si dimostri un uomo ateniese a tutti gli effetti, riprendendo più volte nel testo il proverbio per cui “le donne sono il male peggiore per gli uomini“, scrive anche che questi ultimi non possono vivere “né con loro, né senza di loro“.
Le donne entrano, per la prima volta, come protagoniste nelle rappresentazioni teatrali comiche e sono riconosciute come necessarie al vivere civile e non certo isolate nei loro ginecei come spesso sono state descritte. Certo, per il greco medio la donna ideale era confinata nell’oikos (la casa), ma la donna reale era ben integrata nella vita sociale e soprattutto religiosa.
Quelle aristofanee sono protagoniste vivaci e naturali, piccoli ritratti di vita portati sulla scena.
Tutte le fonti tacciono riguardo al mondo femminile e tutto quel sappiamo ci è giunto per vie indirette, ma Aristofane è un prezioso aiuto per conoscere davvero questo argomento.
Al ritratto della donna perennemente infelice e costretta, se ne accosta uno molto meno tragico, in cui la donna è sì legalmente sottomessa e impotente, ma nella quotidianità capace di realizzarsi e di avere una vita serena.
Il più grande commediografo dell’antichità si dimostra quindi di nuovo per quello che realmente è: un acuto osservatore del mondo.
Laura