Le epidemie non sono un fenomeno uniforme, in grado di agire in un solo, prevedibile modo. Sono sfaccettate, diverse le une dalle altre non solo nella loro essenza, ma soprattutto nella loro evoluzione e nel loro rapportarsi con l’uomo.
Molto spesso, esse arrivano, sottraggono alla società un certo numero di morti, e poi scompaiono misteriosamente. È questo il caso della moria1 di Atene raccontata da Tucidide, e in quello del sudore anglico, che colpì l’Europa tra il 1485 e il 1551.
Altre volte, le epidemie si manifestano con ferocia e con rapidità, per poi acquietarsi e trasformarsi in malattie sì gravi, ma non raccapriccianti quanto gli inizi promettevano, come ad esempio la sifilide.
In altri casi ancora, i germi raggiungono un certo livello di equilibrio con la società umana che li ospita, e da epidemie diventano malattie infantili, come, nelle città dell’età moderna, il vaiolo (che però restava epidemico nelle campagne).
Ma le epidemie che più terrorizzano l’uomo, e che di conseguenza mettono in crisi la struttura sociale, sono quelle che ciclicamente si ripresentano, mantenendo inalterata la loro virulenza e letalità. Tra queste, la più nota è senza dubbio la peste, malattia che devastò l’Europa dal 1347 al 1720, anno in cui si manifestò per l’ultima volta a Marsiglia2.
L’arrivo della peste fu uno shock per la società europea. E davanti a uno shock, la reazione più naturale è quella di cercare risposte. La scienza dell’epoca non era in grado di fornirne di soddisfacenti: al di là della teoria miasmatica, secondo cui l’epidemia sarebbe dipesa dalla presenza di atomi maligni nell’aria, la medicina del basso medioevo e dell’età moderna non era in grado di fornire spiegazioni convincenti o cure efficaci – anzi, le poche cure che forniva, come i salassi e le purghe, indebolivano l’organismo ed erano perciò nefaste. La religione, invece, non solo poteva fornire consolazione, ricordando dell’esistenza del Paradiso e del Purgatorio e quindi dando un senso alle sofferenze terrene, ma poteva anche indicare un percorso per scongiurare il ritorno dell’epidemia.
Alcune malattie, come la lebbra, erano già da tempo viste come punizioni divine per i peccati dell’individuo. Sulla scorta di questa mentalità, i predicatori definirono l’epidemia di peste come una punizione divina per i peccati della collettività3. Tali peccati potevano essere di diversi tipi, e tutti si ricollegavano alla presenza e all’accettazione, all’interno della società stessa, di persone diverse, che con la loro presenza lordavano l’ambiente. La soluzione era quindi ripulire la comunità da queste persone, la cui diversità era sinonimo di peccaminosità.
In primo luogo, diverso e peccaminoso era chi si discostava dall’ortodossia religiosa. Gli ebrei furono quindi perseguitati con particolare violenza durante i periodi più bui delle epidemie. Già ritenuti colpevoli della morte di Cristo, di affamare il popolo con i loro prestiti e del sacrificio di bambini cristiani a fini rituali, vennero accusati a più riprese di spargere il morbo per la città. Per questo, durante la grande epidemia del 1348 si verificarono diversi pogrom (termine russo che indica una sommossa violenta contro gli Ebrei), la cui atrocità fu superata solo dagli eventi della Seconda Guerra Mondiale4. Ma anche quando la violenza di questi pogrom perse vigore, gli ebrei continuarono ad essere vittime di discriminazioni, tanto che alle volte le autorità, allo scoppio di un’epidemia, decidevano di allontanarli dalle città5.
Diversi erano anche tutti coloro che non appartenevano alla comunità e che per essa rappresentavano un peso, come i migranti economici, che spesso vivevano in condizioni di povertà e quindi erano maggiormente esposti alle malattie.
Ma diverso e peccaminoso era anche chi si discostava dagli atteggiamenti socialmente accettati: le prostitute e i sodomiti. La colpa di queste categorie, al di là dell’improduttività demografica, era quella di lordare lo spirito della comunità, e quindi attrarre, potenzialmente, una nuova punizione divina. Ma se per quanto riguarda i bordelli non si presero particolari iniziative, per combattere il sovversivo atto della sodomia la società, che secondo San Bernardino era la causa dello scoppio delle pestilenze, si mise decisamente d’impegno. A Firenze, come anche a Venezia, si istituirono delle ronde notturne per il controllo della sodomia, seguite poi da numerosi processi, che trovarono colpevoli – si stima – il 2% della popolazione cittadina per ogni generazione.
Davanti alle epidemie, il nostro modus operandi è rimasto sostanzialmente lo stesso. Infatti, il protocollo sviluppato in Italia nel XVI secolo, che prevedeva la quarantena, l’uso di certificati sanitari, gli sforzi per evitare il collasso del sistema sanitario e per favorire il contenimento del contagio, ricorda molto quello adottato oggi davanti al pericolo dell’epidemia di Covid-19. Anzi, se c’è una cosa che è rimasta costante, nonostante i grandi progressi della scienza medica, è la nostra totale impreparazione ad affrontare un simile pericolo: la mancanza di letti, di personale medico e di strutture adeguate a far fronte all’emergenza era una realtà allora come lo è oggi.
Ma c’è un altro punto di contatto con l’età moderna che deve preoccuparci: il riaffiorare di una mentalità chiusa e intollerante. L’anno scorso, quando si sono scoperti i primi casi di Covid-19, sono stati frequenti gli episodi di razzismo nei confronti degli asiatici, accusati di essere degli untori in virtù della loro etnia. Diverse guide religiose, inoltre, hanno ripreso le teorie già espresse da San Bernardino. I neo-nazifascisti e gli antisemiti, poi, non avevano certo bisogno di un’epidemia per esprimere le loro aberranti posizioni. Ma se studiando la storia ci appare evidente l’assurdità di tali tesi, perché le persone si ostinano a dare loro di nuovo vita? È la storia che non merita il titolo di “magistra vitae”, o siamo noi ad essere dei pessimi studenti?
Benedetta Carrara
1 Si usa il termine ”moria” per evitare che il lettore associ questa epidemia a quella di peste del ‘300, in quanto non si trattò, con ogni probabilità, di questa malattia.
2 Dopo il 1720, in realtà, la peste continuò a manifestarsi nell’Europa orientale, oltre che nell’Impero ottomano, dove era endemica. Oggi, ci sono ancora 4 principali bacini di peste, collocati in Africa, in India, nella steppa Euroasiatica e in America; la malattia ha raggiunto forma epidemica negli anni ’90 in India, mentre in America vengono trovati, di tanto in tanto, piccoli focolai.
3 Naphy, Spicer, La peste in Europa, 2006, Il Mulino, pp. 50-51
4 Zorzi, Storia Medievale, 2016, UTET p. 186
5 Ad es. Carlo Maria Cipolla, Il pestifero e contagioso morbo,2012, il Mulino, p.69. È curioso notare come, nel provvedimento citato da Cipolla, oltre all’allontanamento degli ebrei viene stabilito anche l’allontanamento dei saltimbanchi e dei vagabondi.
Grazie Benedetta, un ottimo articolo. La storia insegna solo a chi vuole imparare…
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