L’intervista ad Althea

Cara Althea, iniziamo con una curiosità: hai ricordato di essere già comparsa nel blog con delle poesie pubblicate sotto pseudonimo. Da poco abbiamo presentato il nuovo Concorso Poetico, con una Giuria tutta nuova. Sicuramente ne prenderai parte come illustratrice, ma parteciperai? E quale dei due ruoli trovi più interessante e arricchente?
Non credo che parteciperò, no. In questo preciso momento della mia vita esporre al mondo qualcosa che considero così intimo e personale come le poesie mi farebbe sentire vulnerabile, e successivamente a disagio, ma non saprei spiegare bene il perché. Riguardo ai due ruoli, non credo che uno sia più interessante o arricchente dell’altro. L’arte, in ogni sua forma, è solo il manifestarsi del bisogno umano di esprimere ciò che si prova e ciò che si è. Dà la possibilità di raccontarsi mantenendo i contorni sfumati e incerti dell’animo di ciascuno, che non è mai qualcosa di preciso, di perfettamente individuabile e immutabile. Senza contare che c’è sempre lo scudo della libera interpretazione a proteggere l’io più nascosto dell’autore. In questo senso la poesia e le arti visive sono uguali, solo apparente la prima usa le parole le seconde le immagini. In realtà entrambe lavorano per immagini e le immagini permettono di mostrare senza affermare nulla. Per affermare qualcosa bisogna negare qualcos’altro, e questo può essere rischioso. L’arte permette di affermare senza dover negare. Ma mi sono dilungata troppo e probabilmente non ho neanche risposto alla domanda. Vediamo… non credo che uno dei due ruoli sia più interessante o arricchente dell’altro, ma forse il ruolo del poeta in questo caso è più coraggioso. È lui, infatti, ad esporsi in prima persona. L’illustratore non fa altro che mostrare a tutti ciò ha ha visto nel poeta.

Hai — giustamente, aggiungo da tuo “collega” — detto che uno studente di filosofia è bravissimo a farsi domande e incapace di trovarsi risposte per definizione. Come vivi questa dimensione di costante interrogazione di se stessa e cosa pensi, su questo ma non solo, della filosofia?
Da brava lunatica vivo questa dimensione in modi diversi a seconda dei momenti. Alle volte trovo affascinante il fatto che più si pensi a qualcosa e più di aprano strade da esplorare, che a loro volta aprono altre strade. Il tutto sembra essere estremamente inclusivo, tutto sembra essere possibile e ognuno di noi può sentirsi compreso e compatibile (nel senso greco del termine) con almeno una delle innumerevoli teorie e risposte che abbiamo precedentemente figurato come strade.
Altre volte invece vedere mille strade e mille possibilità crea confusione, addirittura ansia; se ogni risposta è giusta allora nessuna lo è davvero, nessuna può escludere davvero le altre. E questo causa una mancanza di punti fermi. Senza punti fermi è impossibile muoversi, ce lo dice la fisica. Sarebbe impossibile fare un passo se non ci fosse un pavimento che respinge la nostra spinta.
È proporio un approccio diverso. Nel primo caso la mente vola. Vola tra miriadi di possibilità, leggera, libera (non a caso parliamo di voli pindarici). Tuttavia non può approdare da nessuna parte, il che alla lunga diventa faticoso e insostenibile.
Nel secondo caso più semplicemente cammina. Ogni volta che il terreno è stabile e si è scongiurata la possibilità di una frana, lì il piede si poggia e raggiunge l’equilibrio per fare un altro passo.
La filosofia permette un’analisi profonda di ogni cosa, permette di vivere più intensamente il mondo in cui viviamo, il che è sia positivo che negativo. La filosofia è stancante, ma se in molti decidono di approcciarsi ad essa significa che quella stanchezza, in qualche modo, viene ricompensata. E la ricompensa è diversa per ognuno, e adatta a ciascuno.

Entriamo più nello specifico del nostro blog. Oltre alle poesie del Concorso, nel mese di agosto hai pubblicato delle illustrazioni, proprio nello stesso mese in cui abbiamo avuto la segnalazione e il blocco sui social. Complessivamente come hai vissuto quell’esperienza?
Ti dirò, in quel momento ero un’ospite sul sito, e non essendone membro la cosa mi ha toccato poco. Ho provato in po’ di rabbia per l’ingiustizia del mondo (cosa che mi capita spesso), ma ero certa che si sarebbe risolto tutto.

Una delle rubriche di cui curerai le illustrazioni, cioè quella di Valeria, tratterà di quella terra lontana e affascinante che è il Giappone; Michela e Anna, invece, in altre due rubriche, tratteranno di Corea e Cina. C’è un Paese, fra questi tre, che ti colpisce e ti affascina di più? E, in generale: cosa pensi che l’Occidente possa apprendere dall’Oriente?
Credo che ognuno di questi tre paesi, ma in realtà ogni luogo del mondo, abbia il proprio fascino ammaliante e valga la pena di essere conosciuto e scoperto. Nel 1800 abbiamo (noi come umanità) assistito, qui in Europa, al fenomeno del nazionalismo. I gruppi umani sparsi sul territorio hanno sentito il bisogno di unirsi a coloro che vivevano la stessa cultura, le stesse tradizioni e appartenenze, e che nel corso dei secoli precedenti erano stati divisi dai vari espansionismi e dalle guerre di chi credeva, in virtù della propria superiorità economica e/o militare di avere il diritto di annettere e sottomettere i vicini. Ecco nell’800 a seguito di lotte ideologiche e nazionaliste i confini si sono finalmente adeguati ai sentimenti di appartenenza nazionale(anche se non dappertutto purtroppo). E questo è molto bello. Peccato che poi la lotta per la propria cultura si sia trasformata, a causa di un sentimento tipicamente umano che è l’avidità, da “lotto per la mia cultura” a “la mia cultura è migliore della tua”. E da qui l’espansionismo sfrenato verso Asia e Africa che ha creato tutti gli orrori che conosciamo, e le cui conseguenze esistono ancora oggi. Ebbene, perché questo preambolo? Perché se l’800 ci ha insegnato qualcosa, è proprio che la diversità culturale è una ricchezza dell’umanità che va preservata. Le altre culture possono essere indagate e scoperte, ma la chiave di lettura deve essere il rispetto, e va evitata in ogni modo l’arroganza.
Giappone, Cina e Corea hanno tre culture diverse ed estremamente affascinanti. Non ce n’è una che mi affascini più delle altre, ma c’è tanta voglia di scoprirle tutte.
Riguardo all’ultima domanda beh, ora che l’oriente si sta così tanto occidentalizzando per una questione meramente economica diventa più difficile rispondere. Ma direi che l’occidente può imparare molto dall’oriente in merito al rapporto con l’interiorità. Noi occidentali puntiamo molto sulla cura del corpo, sulla carriera e sul divertimento. In Oriente, ho questa sensazione ma potrei sbagliarmi, c’è più attenzione all’interiorità, alla cura di quella che, con una parola molto controversa, potremmo chiamare anima. Qui in occidente chi si dedica ad attività come la meditazione è considerato un po’ strambo, un po’ hippie. E la cura dell’anima è associata alla lettera o alla religione, il che mi sembra un po’ riduttivo.

Andiamo verso la fine con una domanda di riflessione generale e con una più personale. Iniziamo dalla prima: in questo periodo, da ormai un anno, stiamo vivendo in modo molto diverso rispetto a prima. Come — se lo ha fatto — questa esperienza ti ha arricchito e cosa — se lo pensi — credi si possa imparare dagli ultimi dodici mesi che abbiamo vissuto?
Su questo punto sarò un po’ cinica. Non credo si possa imparare molto, come umanità, da questa esperienza. Quello che ho notato io è che se la cosa non tocca da vicino te o i tuoi cari, beh, le persone imparano poco e dimenticano in fretta. C’è molto menefreghismo e molta ignoranza. Questi ultimi dodici mesi non mi hanno arricchita, ο almeno, il mio arricchimento non è collegato alla situazione sanitaria che stiamo vivendo. A dire il vero è stato un periodo molto difficile. Ho vissuto due lutti importanti in quest’ultima fase della mia vita (non causati dal virus), e non poter trovare conforto tra le braccia delle mie persone care per via del distanziamento sociale (che comunque ritengo necessario e inevitabile) ha rincarato la dose. Per mia indole personale mi riesce molto difficile non abbattermi e continuare a perseguire i miei obiettivi quando tutto sembra andare storto, e l’ultimo anno, ma già da prima, è stato davvero debilitante.

Chiudiamo, come dicevo, con una riflessione più personale. Nel testo con cui ti sei presentata hai scritto che l’unico elemento costante, in te, è il cambiamento. Ecco: se questo è vero per te, il punto relativo alla costanza del cambiamento è senz’altro reale anche per il nostro blog. Ciò detto, la domanda con cui chiudiamo è duplice: in che modo hai compreso (e fatto pace con te stessa, se di conflitto interiore si è trattato) che l’unico elemento costante fosse il cambiamento e cosa ti aspetti da questo tuo ingresso in Bottega di idee?
Partiamo dalla parte difficile: come ho fatto a fare pace con me stessa? Semplice, non l’ho fatto. Anche qui la chiave è il mio essere lunatica. Passo da momenti in cui mi impongo l’auto accettazione semplicemente in un’ottica di autoconservazione, a momenti in cui non ci riesco e non riuscire a definirmi mi fa sentire vuota, povera, non abbastanza. In una parola, inadeguata.
Ora la parte facile: dal mio ingresso in bottega di idee non mi aspetto altro che stimoli. Sento di avere il bisogno di mettermi in gioco e vista la mia pigrizia e la mia incostanza, avere qualcosa che in un certo senso mi obblighi a creare credo possa essermi di aiuto. E se a questo aggiungi il fatto di unirmi a un progetto encomiabile come un sito che promuova il legame tra i giovani e la cultura beh, c’è una buona ragione per non farne parte?

Federico

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