Navigando in un mare di stereotipi

In sottofondo Donna Donna di Joan Baez direttamente da “Not a feminist playlist” — creata qualche anno fa, alla presenza di Nina Simone, Blondie e Pj Harvey, tra le altre. Joan, per chi non lo sapesse, è una cantautrice e un’attivista statunitense, famosa per il suo impegno nei diritti civili. Esatto, non è solo stata la compagna di Bob Dylan. 
E a proposito di diritti civili… di recente su Linkedin sono incappata in un post significativo, che raccontava come per anni — e come ancora, purtroppo — ci sia la tendenza a equiparare il successo di una persona con le ore di lavoro e il salario percepito. In poche parole: più ore lavori e più guadagni, più il tuo ascensore sociale sale. 
Siamo cresciuti un po’ così, o almeno per noi millenials, e qui ditemi voi se sbaglio, la mentalità che abbiamo ereditato dai nostri genitori è per lo più questa. Più o meno questo modo di pensare equivale all’associazione donna in carriera = no figli e no famiglia, al massimo un fidanzato anche lui in carriera. Oppure, ne ho viste e sentite altre, ahimè, donna giovane e single, in carriera, che arriva la mattina sorridendo in ufficio = “ci sta e me la porto a letto”. 

Lungi da me rendere il mio femminismo un attacco a qualsiasi uomo, non è così che funziona per quanto mi riguarda.
Ho un uomo fantastico al mio fianco che contribuisce quotidianamente alla mia realizzazione personale, e anche prima che ci fosse lui nella mia vita, non ho mai pensato che a non capire il femminismo fossero solo gli uomini. Anche per noi donne non è facile, e in un certo qual modo stiamo ancora imparando. Per esempio, le nuove generazioni mi sembrano molto più preparate rispetto a me, che ci sono arrivata verso la fine dei vent’anni e ancora sto imparando. 

Viviamo ormai in un marasma di stereotipi. Ho parlato solo di donne fino a ora, ma credetemi: anche gli uomini combattono le loro battaglie. Probabilmente non sono proprio quelle relative alla parità di genere, ma vi siete mai chiesti se un uomo non voglia essere libero di piangere più spesso? O, magari, ammettere le sue debolezze? Il punto è che non sa come fare. E non lo sa, non perché è uomo, ma per un fattore culturale. O almeno, ritengo che sia così nella maggior parte dei casi. 
Tornando alla parità di genere, se andiamo a leggere quanto riportato dall’European Institute for Gender Equality, aggiornato al 2019, potremo notare come i punteggi dell’Italia sono più bassi di quelli dell’UE in tutti i domini, eccetto quello della salute. Le disuguaglianze di genere sono più pronunciate nei domini del potere (47,6 punti), del tempo (59,3 punti) e del lavoro (63,1 punti). In questo ultimo dominio il punteggio dell’Italia è il più basso di tutti gli Stati membri dell’UE. 
Per questo, quando ci chiedono perché facciamo così rumore, sarebbe doveroso tenere presente questo: facciamo “rumore”, o, per meglio dire, “facciamo sentire la nostra voce”, per ottenere ciò che è giusto. Nessuno ce l’ha con nessuno, l’obiettivo finale è quello di essere felici. La felicità deriva anche da questo. 
Di recente, leggevo quanto pubblicato da Michela Murgia, la quale auspicava a un mondo dove una donna possa essere bella e sentirsi sensuale anche nella sua forma più naturale. Non potrei essere più d’accordo, ma per arrivare a capire questo mi ci è voluto tempo e un lavoro costante su me stessa, per capire che la felicità era un’altra da quella che la società mi propinava. O che io andavo cercando, Ma il punto è che noi siamo la società, e come canta Eddie Vedder “it’s a mystery”, e ancora: “You think you have to want more than you need, until you have it all you won’t be free”

Il mio auspicio è che questa voglia di avere di più si trasformi nel desiderio di ogni persona di raggiungere una maggiore consapevolezza del proprio valore.
Perché la felicità del singolo dipende dalla felicità degli altri. 

Vanessa Bocchi

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