Un caloroso saluto a tutti e quattro i miei lettori. Sì, lo so, sono ottimista, ma che ci volete fare? Sono talmente ottimista, pensate, che non ho ancora tolto il seguito alla pagina facebook de “La Repubblica”, nonostante sia ormai chiarissimo come la parte più interessante dei loro articoli riguardi i commenti sotto al post di presentazione, un’attrattiva seducente ma al contempo pericolosa, capace di prosciugare il lettore di tempo, forze e della sua più intima energia vitale: lo spirito critico. Ed ecco che egli si ritrova incastrato in un girone dantesco popolato dalle più varie creature, da chi esorta gli altri a recarsi ad agire in deretano a chi, preso dalla foga e dallo spirito di superiorità, esprime il medesimo concetto in forme più estrose, cimentandosi in supercazzole forbite degne del più eccelso DPCM. Un tripudio di agonismo ed arroganza a cui non è semplice resistere, complici i titoli sempre più clickbait, l’incapacità di utilizzare efficacemente, in particolar modo per certe fasce di età, le piattaforme virtuali e la voglia di ognuno di noi di dimostrare al mondo che siamo ben migliori della signora Concetta, 58 anni, 2 gatti, un figlio, una nipotina e la licenza media, la quale ha apertamente sfidato la nostra intelligenza scrivendo che è inutile preoccuparsi di creare un piano vaccinale, i vaccini non bisogna proprio farli perché sono prodotti coi feti abortiti. È così che qualsiasi notizia o informazione (sempre che di ciò si possa parlare) passa in secondo piano, e quello che davvero importa è la suddetta tenzone, c’è in gioco l’orgoglio.
Il vero problema di questa situazione è l’ideologia di fondo. Non è necessario dare risposte coerenti, sensate, che aggiungano un qualche valore, magari risolutivo, ad una discussione o dibattito, è necessario dare risposte credibili. La conoscenza ha perso qualsivoglia attrattiva le fosse rimasta in favore della convinzione. La formula è banale: convincere qualcuno di aver ragione equivale di per sé ad aver ragione.
Volete un esempio concreto? Molto bene. Classico articolo di un giornale a caso riportante i dati dell’aumento di casi depressivi durante la pandemia. La sezione commenti si popola di personaggi di dubbia credibilità che, presi dal desiderio di imporsi come guide morali, spargono frasi idiote riguardanti guerre, educazione troppo permissiva, generazioni di rammolliti e simili. Il tutto si trasforma nella bettola di Gigi quando Bepi cala l’asse di prima mano a scopa. Il problema è magicamente risolto. Certo, quei dati sono ancora lì, immutati, si potrebbe cercare di andare alla radice del problema, di capire che forse più che una minor tempra oggi si hanno semplicemente più mezzi per individuare certe patologie e meno stigmatizzazioni nei confronti di chi frequenta uno psicologo, che il positivismo è morto e sepolto e si sta affermando l’idea ansiosa di un futuro sempre più precario e fragile. Ma ciò che conta è rimuovere il turbamento che la notizia può instillare nel modo più facile, non affrontandola, negandola. Tanto prima o poi ci sarà qualcuno costretto a farci i conti, ma finché non siamo noi va tutto bene.
Potremmo poi salire pian piano di livello, dalla colpevolizzazione dei “runners” per un sistema sanitario martoriato da decenni alla decisione di fermare il fenomeno migratorio chiudendo qualche porto e foraggiando un paio di dittatori locali che facciano da cuscinetto. Avanti così fino a citare le manovre speculative che negli ultimi ottant’anni hanno permesso di produrre a ritmi serrati e insostenibili ricchezza immediata, accumulando un mostruoso debito economico-ambientale, affiancate dal tentativo ciclicamente riproposto di spostare il fardello del saldo su una generazione successiva. Una pezza al culo alla volta si supera abbondantemente il costo dei pantaloni.
È un po’ come decidere che se il computer di casa traballa per colpa della ventola gli si stringono due dadi a vista e lo si lascia lì spento per un po’ per vedere se riparte. Senza curarsi del fatto che si scalda come la Mussolini il 25 aprile.
L’ideologia di fondo è sempre la stessa, dare una risposta semplice ad una problematica complessa, perché nessuno ha voglia di approfondire un problema e aver a che fare con molteplici variabili, lo vogliamo solo accantonare con qualche stratagemma rapido e indolore e aspettare che al suo ripresentarsi ci sia qualcun altro che se ne faccia carico, se ci sono anche i margini per fare la figura degli esperti tanto di guadagnato. E se i servizi di informazione ormai scrivono articoli, e soprattutto titoli, in maniera da alimentare questo processo è solo perché ogni sciatta risposta ne genera altre, aumentano le interazioni e il rendimento.
Il circolo vizioso è servito: l’informazione si fa più scialba ma il giornale aumenta i click, il pubblico si abitua a schivare i problemi riuscendo comunque a sentirsi nel giusto e finché il sistema regge tutti sono contenti.
Finché il sistema regge.
Perché ad un certo punto il computer o lo si fa aggiustare da qualcuno di più competente, ammettendo quindi di non esserlo a sufficienza, o si impara come ripararlo a dovere. Oppure, naturalmente, lo si può gettare via e comprarne uno nuovo, proseguendo nel cerchio. Almeno finché si hanno i soldi per farlo.
Feltrino