Caro Paolo, ormai il tuo nome campeggia sovente nei miei editoriali e in generale qui su Bottega di idee. Di te, i nostri lettori sanno che hai vinto premi — nazionali e non solo — per le tue poesie, e che sei giurato del nostro Concorso, insieme a Mirella Borgocroce e Mira Andriolo. Cosa puoi dirci di più? Qual è stato il percorso che ti ha condotto sin qui?
Intanto grazie, Federico, a te e al tuo blog che sto apprezzando per la non comune qualità dei contenuti. Per prima cosa e per non millantare riconoscimenti, preciso che ho ricevuto solo premi nazionali. A livello internazionale sono entrato nella rosa dei finalisti di un premio abbastanza prestigioso, senza tuttavia vincerlo. Del risultato di quel concorso sono però abbastanza orgoglioso, viste la qualità dei partecipanti e la giuria di altissimo livello.
A condurmi al concorso di Bottega di idee è stato un breve passaparola che mi ha raggiunto, partendo da Mirella Borgocroce (che già conoscevo) grazie ad una amica comune che ha fatto da tramite. Poi, ovviamente, il fatto che tu abbia riposto fiducia in me dopo una breve conversazione telefonica, ha suggellato la collaborazione con mio grande entusiasmo.
Mi interesserebbe sviluppare, grazie alla tua presenza, un tema che, prima d’ora, non avremmo potuto toccare — e che infatti manca nell’intervista a Mirella Borgocroce: il livello delle poesie al giorno d’oggi. Non che intenda, con ciò, denigrare o elevare i componimenti del 2021 rispetto a quelli dei decenni e dei secoli precedenti — lo troverei esercizio vano e anche semplicistico, francamente — ma proprio avere un tuo punto di vista, da osservatore competente in materia, e riferendoci non solo (ma anche) alle 172 poesie pervenuteci per il Concorso. Come trovi sia il livello di componimento oggi? E, ultima cosa riguardo alla poesia dei nostri giorni: sappiamo bene che oggi molte persone usano la poesia, e la scrittura in generale, per esprimersi. Tu lo trovi un fenomeno positivo (nell’ottica di una democratizzazione del poetare, per addurre un argomento spesso invalso tra chi sostiene queste posizioni), negativo (nell’ottica di un abbassamento del livello medio di composizione, cosa che molti sostengono) o neutro? E perché?
Come sia il livello odierno del componimento rispetto a quello delle epoche passate, credo potrà dirlo con certezza solo chi verrà dopo di noi e avrà la possibilità di giudicare più obiettivamente, “dall’esterno” per così dire, ciò che è stato il nostro tempo dal punto di vista letterario. Oggi possiamo fare delle valutazioni “da dentro”, immersi nella nostra epoca e in un certo ambiente socio-culturale. Un po’ come gli astronomi, che riescono ad osservare parti della Via Lattea ma per avere un’immagine d’insieme, chiara e completa, di una galassia, devono spingere i telescopi fino ad altre, esterne e “sorelle” della nostra.
Dal passato ci sono giunte le opere maestre; le opere secondarie, magari anche molte che qualche pregio lo avrebbero, sono state in genere dimenticate, fermate da quel grande filtro che è il tempo. Di conseguenza, il paragone rischia di essere impietoso, oltre che non adeguato, visto che la poesia odierna deve ancora essere sottoposta a tale processo. Credo che oggi si scriva sia poesia eccellente che poesia di cattiva qualità, ma aggiungerei che si scrive anche “non-poesia”, nel senso che a volte sembra sia passato il concetto per cui basta che uno scritto sia suddiviso in versi per farne una lirica. Ovviamente – ma a ben pensarci forse così ovvio non è – le cose non stanno in questi termini e, benchè sia quasi impossibile definire cosa sia la poesia (in tanti ci hanno provato ma credo non si sia mai trovata una definizione che mettesse d’accordo tutti), un minimo comune denominatore si può identificare per tracciare una linea di confine, sia pure evanescente. Con questo non intendo dire che chi sente il bisogno di esprimersi per mezzo della parola scritta pur non essendo un letterato faccia male a farlo, anzi. La parola ha un potere salvifico, curativo, scrivere ci fa sentire meglio, lenisce ferite; affrontare la scrittura in versi significa tentare di esprimere il non esprimibile, che diversamente continuerebbe a premere dentro di noi. Ciò che scaturisce da questa operazione non è però detto sia di qualità: così come è giusto e benefico (per noi stessi) manifestare tutto ciò che ci inquieta o che ci fa soffrire o che, al contrario, ci provoca gioia, è altrettanto corretto cercare di discernere tra ciò che può avere elementi di interesse o di originalità e ciò che dovrebbe rimanere relegato nelle pagine di un diario privato. Oggi i cosiddetti social danno a chiunque la possibilità di far circolare i propri scritti senza alcun tipo di intermediazione, quindi sovente accade che presunte poesie scritte da autori non preparati vengano sottoposte a lettori altrettanto non preparati. Non voglio demonizzare i social, anzi (io stesso li utilizzo), ed è vero che autori e lettori non “educati” possano, a fronte di questi stimoli, evolvere ed affinare gusti e sensibilità. Tuttavia, è ovvio che in questo modo il materiale di qualità non eccelsa tende a prevalere e a togliere visibilità a proposte migliori. Aggiungiamo a tutto ciò anche il fatto che oggi chiunque, a pagamento, può pubblicare libri. Non mi sento di giudicare in modo del tutto negativo editori che coprono parte delle spese grazie al contributo economico degli autori (pubblicare poesia è spesso un’operazione in perdita), a patto che gli editori stessi facciano un’opportuna opera di selezione. Ciò spesso non avviene, con il risultato che l’autore si illude di potere indossare la corona di alloro, il libro non avrà lettori, la confusione aumenterà. Aggiungo che qualche casa editrice ha, a mio modo di vedere, letteralmente creato fenomeni editoriali, talvolta facendo leva su gusti non proprio raffinatissimi di una parte del pubblico.
Ci siamo occupati del presente della poesia, dunque mi sembra naturale parlare del suo passato e del suo futuro, ovviamente col tuo peculiare punto di vista: quali i riferimenti da cui sei partito per le tue poesie? E quali prospettive pensi che la poesia sia destinata a raggiungere nel futuro?
Potrei dire che ho tentato di mettere insieme parole e versi fin da adolescente, come tanti del resto. A spingermi in quella direzione sono state le inquietudini tipiche di ogni essere umano, che si evolvono nel corso della vita ma che non scompaiono e che – mi sentirei di dire – fanno di noi, appunto, degli esseri umani. Non ho studi classici alle spalle (confesso che ne sento molto la mancanza) e devo tanto di ciò che sono a qualche insegnante che mi ha fatto amare la letteratura in generale e la poesia in particolare. Ricordo con particolare affetto quei professori incontrati alle medie inferiori. Altri insegnanti, in seguito, hanno rischiato di allontanarmi dalla letteratura ma per fortuna la loro influenza non ha prevalso. Non saprei dire da quando si potrebbe iniziare a definire poesia ciò che scrivo; credo ci sia stata una lenta evoluzione che è stata possibile grazie alla lettura di diversi autori, soprattutto contemporanei e, in fasi della vita successive, grazie allo stimolante confronto con altre persone, poeti spesso di più lunga esperienza, e alle loro osservazioni sincere e talvolta severe. Da loro sono stato influenzato; non escludo di avere anche involontariamente “copiato” prima di trovare una mia modalità espressiva. Confesso inoltre che essere definito poeta un po’ mi imbarazza, anche se tecnicamente ciò è corretto. Si tratta di un termine impegnativo e mi pongo sempre dubbi sul fatto che la qualità di ciò che scrivo sia all’altezza di tale denominazione.
Dovendo citare autori di riferimento non posso non menzionare alcuni giganti del Novecento italiano, Ungaretti e Montale in primis ma anche Quasimodo, Caproni e Campana. Più recentemente ho molto amato le liriche di Pierluigi Cappello. Tra gli stranieri cito la nicaraguense Gioconda Belli (da noi più famosa come narratrice), il cubano Eliseo Diego, il russo Brodskij, il greco Elitis, il caraibico Walcott. Sto comunque facendo torto a tanti che non menziono per brevità ma che apprezzo profondamente.
Non posso immaginare un futuro senza poesia. Ciò sarebbe possibile solo con la morte dell’umanità, intesa come capacità dell’essere umano di amare la bellezza e di esprimerla. Credo anzi che la poesia, come le altre forme di espressione artistica, possa diventare una specie di “salvagente” in quest’epoca così confusa e in cui solo ciò che produce profitto sembra avere importanza. La tristemente famosa frase pronunciata da un noto politico, “con la cultura non si mangia”, mi sembra indicare chiaramente il degrado verso cui rischiamo di incamminarci. Sottoscrivo invece le parole – purtroppo meno famose – di Tiziano Terzani, il quale auspica che il mondo possa essere salvato da un complotto di poeti.
Non so come potranno evolversi le forme poetiche in futuro. La lingua e il suo uso si evolvono, nuovi termini vengono costantemente introdotti, aggettivi e sostantivi si aggiungono di pari passo con l’evoluzione tecnologica e la sua applicazione. La letteratura del futuro non potrà prescindere da questo, così come la letteratura odierna, nascendo dall’esperienza dell’uomo di oggi, si è evoluta rispetto a quella del passato. Ciò che è imprescindibile è la trasposizione nei versi di ciò che l’essere umano profondamente prova, sente e percepisce e che non sarebbe esprimibile diversamente. Da questo punto di vista potremmo dire che la poesia è un’arte “perdente”, che nasce sconfitta e continuerà ad esserlo, nel senso che deve – appunto – confrontarsi con ciò che le parole non possono esprimere per mezzo del loro significato ufficiale. Per questo il poeta inventa accostamenti inusuali di termini, attraverso il cui suono o ritmo o altro di indefinibile, le parole possano evocare e portare il lettore a percepire piuttosto che a capire razionalmente.
Arriviamo, ora, a una domanda forse più personale: come hai trovato, ora che le poesie vincitrici sono state selezionate, il compito di giudicare delle poesie? E quali osservazioni hai desunto?
Si è trattato di un compito particolarmente stimolante e, direi, impegnativo dal punto di vista della responsabilità. Una poesia letta in un certo momento, in un determinato stato d’animo, suscita reazioni diverse rispetto allo stesso componimento letto in situazioni differenti. E sappiamo bene che condizioni, stati d’animo e circostanze emozionali variano con frequenza. Ho quindi cercato di rileggere tutte le poesie proposte il maggior numero possibile di volte, in modo da cercare di avvicinarmi al massimo a criteri di obiettività. Spero di essere riuscito nell’intento.
Le osservazioni che posso riportare sono diverse: come prima cosa credo sia emerso abbastanza chiaramente quali autori frequentino con assiduità la poesia, in termini di lettura, di ricerca e anche di sforzo, inteso come tentativo di creare qualcosa di inedito ma non artificioso. In secondo luogo devo dire, e mi fa molto piacere affermarlo, che in quasi tutte le liriche presentate compare qualcosa di interessante, sia esso un accostamento originale di parole, un verso ironico o spiazzante, una sonorità particolare. A volte tali guizzi si perdono tra altri versi meno riusciti o magari un po’ scontati che lasciano intravedere poco “lavoro” o magari semplicemente poca esperienza. Credo che questi autori vadano incoraggiati a vivere la poesia con maggiore metodo, leggendo autori contemporanei e cercando persone con cui potersi confrontare. Ad alcuni vorrei suggerire, molto modestamente, di provare ad utilizzare l’italiano di oggi invece di tentare imprese manieristiche con un linguaggio che non è attuale e che, benché sublime nelle liriche ottocentesche, suona fuori luogo in un componimento moderno.
In ogni caso ritengo particolarmente positivo che tante persone, di cui molte giovanissime, si siano cimentate con passione.
Continuo a sollecitarti su qualcosa di più personale, poi muoviamo verso la conclusione con considerazioni più genericamente riferite. Ti chiederei, dunque, tre parole per definire te stesso (come persona, non come autore), tre per definire i tuoi componimenti, e una considerazione sul gruppo di lavoro nel quale sei stato in questi mesi, composto da me e dalle altre due giurate. Come hai trovato quest’esperienza? Te lo chiedo anche e soprattutto perché, in una telefonata di qualche mese fa, mi avevi detto di essere all’esordio nei panni del giurato…
Definirmi non mi risulta semplicissimo ma ci provo: complesso, sensibile, solitario (non sempre per scelta).
Definire i miei componimenti mi è ancora più difficile ma cercherò di non sottrarmi alla domanda: trasparenti (di solito), migliorabili (spesso), indispensabili (nel senso che non avrei potuto fare a meno di scriverli).
Per quanto riguarda il gruppo di lavoro, mi sono trovato benissimo. Credo di poter dire che ci siamo confrontati con sincerità e trasparenza, abbiamo sempre espresso apertamente la nostra opinione su ogni aspetto e la collaborazione è stata massima. Una bella esperienza anche dal punto di vista umano. Mentre con Mirella l’amicizia e la frequentazione è di lunga data (ricordo, tra le altre cose, un corso di scrittura frequentato insieme moltissimi anni fa), ho potuto conoscere e apprezzare Mira e te solo in occasione di questo concorso e credo di poter dire che c’è stata sintonia fin da subito.
Arriviamo, come promesso, alle domande generali: quale pensi sia stato il ruolo giocato dalla pandemia nell’orizzonte culturale italiano? Come, insomma, questa esperienza condiziona e condizionerà non solo le nostre abitudini di vita, ma anche i libri e i giornali che leggeremo? — intendo, qui, sia da lettore sia da autore.
Credo di non sbagliare di tanto se definisco l’impatto della pandemia sulla cultura, devastante.
Cinema e teatri chiusi, concerti annullati, mostre e musei inaccessibili, lavoratori del settore in grave difficoltà… Forse la poesia ha sofferto un po’ meno delle altre manifestazioni artistiche, forse la reclusione forzata del primo lockdown ha perfino stimolato la ricerca interiore e il desiderio-necessità di farne scrittura. Lo noto su me stesso anche se, ovviamente, non costituisco un campione statisticamente rilevante. Nel corso delle attuali restrizioni, gli autori e gli appassionati si sono organizzati con letture e discussioni in diretta via internet che hanno coinvolto persone anche molto distanti geograficamente. In questo i social hanno giocato un ruolo estremamente positivo. Quindi c’è anche un bicchiere mezzo pieno, a ben vedere.
A chi afferma che la cultura non serve per campare vorrei chiedere come avremmo potuto sopravvivere senza libri, senza musica (registrata), senza cinema (su piccolo schermo) nei mesi più cupi.
Il futuro è un punto interrogativo: il desiderio di tornare a vivere di persona gli eventi è grande; mi chiedo se saremo in grado di farlo responsabilmente ma senza vedere nel prossimo un possibile untore. Lo strascico degli accadimenti lo immagino lungo, soprattutto a livello psicologico. Non credo che la letteratura lo potrà ignorare, saltare a piè pari come se nulla fosse. Per quanto riguarda i giornali, occorrerà tempo prima che sulle pagine riguadagnino spazio notizie e approfondimenti non legati alla pandemia. Spero vengano evitate speculazioni di basso livello tese a vendere qualche copia in più. In generale, auspico che ciò che stiamo vivendo possa davvero rappresentare un’opportunità di crescita, che però finora pare non siamo stati capaci di cogliere. Non appieno, comunque.
La penultima domanda mi piace pensarla come trait d’union delle precedenti: quale sia il ruolo della poesia per i giovani al giorno d’oggi, e non solo nel senso di come la poesia possa arricchire i giovani, ma anche come i giovani possano arricchire la poesia.
La poesia rappresenta una grande possibilità di introspezione; trovo che non sia dissimile da un percorso spirituale o da una forma di meditazione. Con la poesia possiamo guardarci dentro, fare emergere ciò che è sedimentato. Ma come per ogni percorso che si rispetti, occorre un lavoro serio, che non significa noioso o pesante. Sarebbe un errore pensare che scrivere poesia sia facile e dedicarsi ad essa perché, ad esempio, per scrivere romanzi occorre spendere più tempo e fatica.
Credo che i giovani possano dare molto e influenzare positivamente l’evoluzione della poesia in quanto conoscitori dei nuovi linguaggi. Mi vengono in mente alcuni componimenti partecipanti al concorso che secondo me richiamano, ad esempio, certi ritmi dell’hip-hop che – chissà? – se opportunamente gestiti potrebbero rappresentare un elemento di novità interessante.
A fare le rivoluzioni sono sempre stati i giovani, la loro energia è insostituibile. Perché non potrebbe avvenire ciò anche in campo poetico? Però attenzione: se facciamo poesia non facciamo canzoni, benché i due territori siano contigui, forse in parte sovrapposti, ed entrambi rispettabili. Una poesia deve dire qualcosa di nuovo, di non detto, se no per quale motivo scriverla? Vorrei citare una frase tratta da un saggio del poeta Odisseas Elitis che mi sembra molto pertinente: “E’ dovere del poeta rischiare movimenti dell’anima improvvisi e incontrollati, provocare, intervenendo nella sintassi, tempeste inaudite, dare al suo stile, alla sua lingua, quel sussulto tipico del corpo giovane, lo slancio dell’aquila verso l’alto”. E’ chiaro, aggiungo io, che le rime zuccherose con termini abusati sono l’opposto dello “slancio dell’aquila verso l’alto”.
Siamo arrivati, purtroppo, al termine di questa intervista di cui ti ringrazio. L’ultima cosa che vorrei chiederti è un (o più d’uno) suggerimento. Mi spiego subito: in questi ultimi tre mesi, con una rubrica in particolare ma in realtà anche con articoli e iniziative collaterali, ci siamo preoccupati di portare la voce dei giovani su quanto accade al giorno d’oggi, e su quanto la pandemia possa frustrare la categoria dei giovani (oltre ovviamente a tutte le altre, alcune anche ben più colpite). Credo, infatti, che mai come ora sia importante che tutti, lavoratori e non, giovani e anziani, adulti e ragazzi, possano esprimere il loro diverso, ineliminabilmente peculiare, punto di vista: e non solo per garantire la possibilità di uno sfogo a tutti, ma anche per una più ampia informazione — non c’è solo la pandemia che impedisce ai lavoratori di stare in cassa integrazione, o costringe gli infermieri in ospedale, ma anche quella che reclude giovani in casa impedendo loro, spesso (anche se non sempre, per fortuna), un’istruzione di un certo livello, e credo sia importantissimo parlarne. In questo scenario, ed è qui che vengo alla domanda, capita spesso — anche a me personalmente — di aver bisogno non solo di parlare di quanto ci succede, ma anche di leggere — o per capire ancor meglio quel che succede, o anche solo per evadere un po’ dagli stessi temi. Quali letture puoi consigliarci a questo scopo?
Posso consigliare alcune letture in cui all’occorrenza trovo rifugio. Ovviamente l’elenco è assai parziale e dettato da gusti personali; ma chissà che i gusti di qualche lettore dell’articolo non corrispondano a quelli del sottoscritto.
Suggerisco senz’altro l’opera da cui ho tratto la frase citata poco sopra: Il metodo del dunque e altri saggi sul lavoro del poeta di Odisseas Elitis.
Tra i poeti non posso non raccomandare quelli citati precedentemente. Mi limito a ricordare qui quelli che generalmente non trovano spazio nelle antologie scolastiche (però non sono molto aggiornato in merito, quindi potrei sbagliarmi) aggiungendone qualche altro: il già citato Odisseas Elitis; Kostandinos Kavafis; Seamus Heaney; Derek Walcott; Adam Zagajewski; Pierluigi Cappello; Eliseo Diego; Gioconda Belli (ammesso che sue poesie siano state pubblicate in italiano, cosa di cui non sono certo).
Tra le opere di narrativa che consiglierei, inserisco le seguenti: Cecità di José Saramago (questo romanzo ha delle attinenze non trascurabili con la situazione che stiamo vivendo); La donna abitata di Gioconda Belli; Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi; Treno di notte per Lisbona di Pascal Mercier; In culo al mondo di Antonio Lobo Antunes; Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez; Storie della disperanza di Alvaro Mutis; La danza della realtà di Alejandro Jodorowsky.
Mi rendo conto che faccio torto a tante opere e tanti autori. Se però qualcuno seguisse questi suggerimenti, mi piacerebbe sapere cosa ne pensa. Grazie a te, Federico, a Mira e Mirella, a tutti i partecipanti al concorso e a chi leggerà questa intervista.
Federico