La storia mai scritta

Il primo giorno d’estate

L’odore della sigaretta l’aveva resa stanca; aveva tradito il patto. Una cavalcata ambigua se l’era trascinata da parte a parte, un’esplorazione nella borgata tra cassonetti finti e stratificazioni d’immondizia. Poi, arrivata a destinazione, le era stato negato l’acquisto: al di sotto dei quindici euro non era possibile pagare con bancomat. Che stronzo, il commesso. Che stronzata tutta questa rigidità di regole legati ai soldi. 

Voleva solo fumare una sigaretta. Appollaiarsi in un angolo per sentirsi a tutti gli effetti un uccello un po’ infame. Spiare la gente, valutando bene cosa fare e perché sparire nella desolazione la facesse sembrare più sola di quanto pensasse. 

Non aveva più il tempo di sentirsi profonda; forse neppure la voglia. Per strada, tra una macchina e l’altra, s’era pensata in fuga e solitaria da sempre. Tutte le etichette che adesso s’era messa addosso le sembravano finte: un rifugio in conflitto con la dinamicità della vita, uno spazio meschino da utilizzare per raccontarsi a un’estraneo. 

Ma E, che la conosceva bene, non l’avrebbe descritta così; paranoica, v’avrebbe detto, dilaniata da un’insicurezza perenne dovuta ad una nascita prematura. V’avrebbe detto pure che era spaventata dalla fatica e che piangeva sempre. Che non sapeva quanto in là si sarebbe spinta, perché nella vita familiare le erano mancate basi solide, e ciò comportava un’eterna salita. 

Nei loro momenti più belli, l’una si stringeva all’altra, impiegando le parole come Esopo: Somigli a una piccola volpe, “e tu dormi come un cane”. Entrambe, poi, tabagiste recidive, temevano profondamente l’abbandono. Tutte quelle frasi, per le quali la volpe piangeva e il cane gioiva, creavano una commozione sottile, di certo simile al sudore. Scrollarsi di dosso la certezza che tutto quello non sarebbe bastato, non avrebbe colmato la mancanza d’empatia della seconda, né il desiderio d’aiutare della prima. 

Ecco perché quando litigavano la volpe cercava un pretesto per fuggire, mentre il cane per restare. 

Adesso, mentre la sigaretta consumava dita e cenere, e un sabato pomeriggio suturava crepe bisestili, la nostra protagonista si sentiva traditrice: dell’infanzia, per esser stata disposta così velocemente ad abbandonare i propri sogni; e della gente, per non riuscire ad adempire affatto a quello che gli altri si aspettavano da lei. 

Il tempo stringeva e la volpe – così la chiameremo – non aveva avuto modo di sentirsi crescere. Mille erano state le richieste e lei una cosa sola. Nel letto, pensò, aveva raccontato a quel cane l’abuso: visto stringerle gli occhi contro una parete, mentre braccia – e non zampe – le segnavano i confini del suo corpo marmoreo. Poi la stessa aveva letto un libro aspettandosi che l’altra cogliesse una traccia netta con la sua vita, ma se l’aveva fatto, di certo non gliel’aveva detto. Il cane si era messo chino e in ascolto; era – tra le tante – la sua dote migliore. 

La volpe, che adesso si sentiva sola, era cresciuta troppo in fretta. Aveva sorriso agli amici e disimparato ad usare il telefono. Aveva spinto la carta sopra il pos, preso le sue sigarette, contato tutti i doveri che ancora, e poi ancora, la tenevano stretta in quella vita. 

Per l’ennesima volta si era stancata di scrivere. Potessi finire anche solo una storia

Aveva spento la sigaretta, traditrice, e dosato le sue prossime parole. Era, tutto sommato, la prima giornata d’estate, e lei, ignara, giaceva nel movimento cardine della sua stessa vita.

Francesca G.

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