Qui i primi 60 film della Lista
Nell’oceano della mia cinefilia, ci sono alcune baie che amo in modo particolare. In questa puntata, forse fra tutte la mia preferita, ne troviamo due: gli Anni Settanta (che ho sfiorato, ma non vissuto) e i film lunghi.
Gli Anni Settanta perché, sfruttando i grandi stravolgimenti del decennio precedente, hanno goduto di una generazione di giovani autori, interpreti e persino tecnici nel pieno ardore creativo, scevri come erano da dogmi e sovrastrutture.
I film lunghi perché, da lettore di Proust, amo i grandi affreschi nei cui ritmi fluviali, fra rapide e ristagni, posso perdermi per poi ritrovarmi, e riperdermi ancora…
Certo, se il vostro ideale sono i cinquanta minuti scarsi degli episodi standard delle serie Netflix, fra i titoli di oggi sarete in difficoltà. Ma se come me amate le sfide, troverete un buon trampolino di allenamento: le asperità, in questo senso, verranno nelle prossime parti…
L’ENIGMA DI KASPAR HAUSER
Jeder für sich und Gott gegen alle, Repubblica Federale Tedesca, 1974; col., 106’) di Werner Herzog. Con Bruno S. e Brigitte Mira.
Norimberga, 1828. In una piazza viene abbandonato un giovane. Non sa parlare, sta a malapena in piedi e sa scrivere solo il suo nome. Si scoprirà che ha sempre vissuto in prigionia, e nient’altro…
PERCHÉ VEDERLO
Werner Herzog è il più iconico degli autori del Nuovo Cinema Tedesco. Camminatore, mistico, quasi ascetico, ha incentrato la sua enorme produzione sul concetto di verità estatica, vale a dire una sorta di manipolazione della realtà atta a far emergere concetti assoluti. Impossibile nel suo cinema distinguere fiction e documentario. Qui, nel raccontare una storia vera, è al suo meglio, sostenuto nell’impresa dal più improbabile degli attori, Bruno S., un emarginato che trascorse quasi tutta la sua vita fra orfanotrofi, riformatori e carceri. I suoi occhi straniti e il tono di voce folle sono perfetti per ridare vita al “trovatello d’Europa”.
DOVE TROVARLO
OPAC Sondrio.
…E SE VI È PIACIUTO
Provate con Cuore di vetro (1976), in cui Herzog fa recitare l’intero cast, di non professionisti, sotto ipnosi. Oppure Fitzcarraldo (1982) col suo attore feticcio, Klaus Kinski. Oppure la “trilogia aliena”: Fata Morgana (1971; documentario), Apocalisse nel deserto (1992; documentario) e L’ignoto spazio profondo (2005).
C’ERAVAMO TANTO AMATI
(Italia, 1974; col., 120’) di Ettore Scola. Con Nino Manfredi e Vittorio Gassman.
Venticinque anni della vita di tre amici, ex partigiani, che prenderanno strade diverse, chi restando fedele alla causa, chi tradendola, chi vivendo di chimere.
PERCHÉ VEDERLO
Ci sono film che andrebbero somministrati come medicine. In questo capolavoro assoluto della commedia all’italiana, non ci sono buoni né cattivi, né tutto sommato vincitori e vinti, ma un (in)credibile spaccato dei vizi e delle virtù del paese, come già (e forse pure più di) Una vita difficile prima di lui. Grandi interpreti, grande regia, grande sceneggiatura, grande colonna sonora. E, a punteggiare la trama, tanto, tantissimo (meta)cinema. Difficile chiedere di più.
DOVE TROVARLO
OPAC Sondrio.
…E SE VI È PIACIUTO
Scola fu un Maestro con un’unica pecca: essere contemporaneo di numerosi altri maestri più in vista di lui. Di suo vale la pena vedere Una giornata particolare (1977), La terrazza (1980) e La famiglia (1987).
JEANNE DIELMAN, 23, QUAI DU COMMERCE, 1080 BRUXELLES
(Belgio/Francia, 1975; col., 201’) di Chantal Akerman. Con Delphine Seyrig e Jan Decorte.
Tre giorni della vita di una casalinga vedova che vive con il figlio adolescente, tra faccende domestiche svolte maniacalmente e un’attività segreta da prostituta.
PERCHÉ VEDERLO
Salutato ancor prima della sua distribuzione nelle sale come il primo capolavoro femminista, l’opera monumentale di Chantal Akerman mantiene le promesse. Per quasi quattro ore ci viene mostrata con impietosa ripetitività (numerosi piani fissi, colori acidi) la non-vita di una donna della piccola borghesia belga. L’effetto alienante è inevitabile, il ritmo è ipnotico, ma se saprete cogliere alcune impercettibili variazioni nei gesti, improvvisamente ne coglierete il messaggio “eversivo” (e saprete spiegarvi il finale). Attenzione: la visione richiede moltissimo impegno. Inedito in Italia.
DOVE TROVARLO
Online, sottotitolato.
…E SE VI È PIACIUTO
Un buon modo per approcciarlo/approfondirlo, è vedere il cortometraggio di esordio della Akerman, Saute ma ville (1968), che potete trovare facilmente online. Per il resto, purtroppo, la cinematografia femminista non ha avuto la distribuzione che avrebbe meritato. Se riuscite a trovarlo (impresa non facile), vi segnalo Processo a Caterina Ross (1982), di Gabriella Rosaleva, girato nella vicina Poschiavo. Detto questo, il miglior modo di accompagnare Jeanne Dielman è attraverso l’ascolto di Four Women, di Nina Simone (qui una cover da brividi).
NASHVILLE
(USA, 1975; col., 159’) di Robert Altman. Con Rooney Blakley e Keith Carradine.
Cinque giorni di un festival di musica country a Nashville, Tennessee, narrati attraverso le vicende di ben ventiquattro personaggi.
PERCHÉ VEDERLO
Si può raccontare in un film di fiction un intero festival attraverso una miriade di volti e senza nessun protagonista? È quello che ha fatto Robert Altman, nel film chiave del cinema americano Anni Settanta. Un gigantesco affresco corale, dai toni variegati come quelli della vita reale, con la musica a fare da cornice. Imprescindibile per farsi un’idea della società americana del periodo, e non solo: sulla kermesse aleggia la figura di un candidato alla presidenza populista e vagamente fascistoide (impensabile all’epoca, tristemente reale a distanza di quarant’anni). Capolavoro assoluto, da vedere e rivedere. Peccato che in Italia sia praticamente irreperibile…
DOVE TROVARLO
Online, sottotitolato.
…E SE VI È PIACIUTO
La struttura narrativa “circolare” di Robert Altman è tanto difficile da adottare quanto rara da ritrovare. Vi consiglio quindi un altro suo film, America oggi (1993). Oppure il film d’esordio di Paul Thomas Anderson, Magnolia (1999). Entrambi molto belli, ma non valgono Nashville. In Italia, una struttura simile, ma con tutt’altra funzione, la possiamo trovare in Amarcord (1973) di Federico Fellini.
LA RECITA
(O Thiasos, Grecia, 1975; col., 230’) di Theodoros Angelopoulos. Con Eva Kotamanidou e Aliki Georgouli.
Le traversie personali, professionali e politiche di una compagnia di attori itineranti nella Grecia tormentata dalle dittature, prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale.
PERCHÉ VEDERLO
Quattro ore di durata. In greco con i sottotitoli. Interminabili piani sequenza in cui, a volte, i personaggi tornano indietro nel tempo (escamotage rivisto poi nel 2003 in Eternal Sunshine of a Spotless Mind, di Michel Gondry). Narrazione acronica. Sistematico abbattimento della quarta parete. Infiniti livelli di lettura. Tutto, ne La Recita, sembra fatto per allontanare lo spettatore. Ma se avrete pazienza (ne serve tantissima), vivrete un’esperienza arricchente, sia pure un po’ destabilizzante. Personalmente, l’ho visto una volta sola, a sedici anni, ed è ancora vivido nella mia memoria. Non succede spesso…
DOVE TROVARLO
Online.
…E SE VI È PIACIUTO
complimenti! Con Dog Star Man e Satantango, è sul podio dei film più difficili della Lista… Per una volta, però, lasciate perdere il Cinema: le pellicole simili a La recita sono pochissime, pesantissime e non ne raggiungono i livelli. Approfondite piuttosto la Tragedia degli Atridi, punto nodale per la comprensione dell’opera. Leggete quindi l’Orestea di Eschilo, magari nella traduzione di Pier Paolo Pasolini.
HARLAN COUNTY U.S.A.
(USA, 1976; col., 106’) di Barbara Kopple.
Impossibilitati dalla loro ditta a sottoscrivere un contratto che migliori la loro sicurezza, i minatori di una cittadina del Kentucky scioperano a oltranza.
PERCHÉ VEDERLO
Girato sul campo da Barbara Kopple, più volte aggredita e malmenata, è uno dei più importanti capolavori del documentario. Cinema militante puro, con una grande attenzione non solo alle condizioni di vita dei minatori, ma anche alle ricadute sulla comunità, mogli, forze dell’ordine, crumiri. Le varie scene sono introdotte da cantastorie. A tratti durissimo, quasi intollerabile, non si dimentica facilmente.
DOVE TROVARLO
Online, con una certa difficoltà.
…E SE VI È PIACIUTO
Barbara Kopple è uno dei miti del cinema documentario. Provate con My generation (2000), su Woodstock.
TAXI DRIVER
(USA, 1976; col., 113’) di Martin Scorsese. Con Robert De Niro e Jodie Foster.
Un reduce del Vietnam trova lavoro come taxista a notturno a New York. Il degrado della città e l’amore platonico per una prostituta bambina lo condurranno verso il delirio paranoide.
PERCHÉ VEDERLO
Pietra miliare del Nuovo Cinema Americano, amatissimo in tutto il mondo (ma non in madrepatria), Taxi Driver è un film volutamente brutto, sporco e cattivo, il primo a fare i conti con l’impossibile reinserimento dei reduci. A metà fra le brutalità del cinema di exploitation e le raffinatezze avanguardistiche della Nouvelle Vague, è impreziosito dalla prima delle interpretazioni monstre di Robert De Niro, e dall’ultima partitura del grande Bernard Herrmann. Come Nashville (anche qui troviamo un candidato populista alla Presidenza), è un tassello fondamentale per capire gli USA del periodo.
DOVE TROVARLO
OPAC Sondrio.
…E SE VI È PIACIUTO
Con Sentieri Selvaggi (John Ford, 1956) e A History of Violence (David Cronenberg, 2005) forma una Trilogia ideale sui temi del giustizialismo e della violenza. Ma non tralasciate di approfondire Scorsese: Toro Scatenato (1980) è ancora più bello, anche se un po’ meno importante. Oppure Quei bravi ragazzi (1990) o The Irishman (2019). Su Youtube potete vedere anche il suo corto d’esordio The Big Shave (1967).
IO E ANNIE
(Annie Hall, USA, 1977; col., 93’) di Woody Allen. Con Woody Allen e Diane Keaton.
Dopo la fine della relazione con l’intraprendente Annie Hall, il comico Alvy Singer si trova a raccontarne la storia.
PERCHÉ VEDERLO
Comicità e psicanalisi non si erano praticamente mai ritrovate in un film fino all’avvento di Woody Allen, che si pone, almeno nella prima parte della carriera, a metà strada fra la stand-up comedy e i tormenti di Bergman. Il suo è un cinema jazz, pieno di battute micidiali e nevrosi. Io e Annie (fuorviante titolo italiano che porta alla ribalta anche Allen a discapito della sua protagonista) ne è la summa.
DOVE TROVARLO
OPAC Sondrio.
…E SE VI È PIACIUTO
Se amate Woody Allen non avete che l’imbarazzo della scelta: ha diretto cinquanta film! Per un’infarinatura, Manhattan (1979), Zelig (1983), Ombre e nebbia (1991) e Match Point (2005). Se invece volete allargare il campo, potete guardare i primi lavori di Nanni Moretti, oppure, per una serata all’insegna del disimpegno, Maledetto il giorno che t’ho incontrato (1992) e Sono pazzo di Iris Blond (1996), entrambi di Carlo Verdone. Se vi sentite (molto) cinefili, non perdete Sherman’s March (1986) di Ross McElwee.
IL CACCIATORE
(The Deer Hunter, USA, 1978; col., 183’) di Michael Cimino. Con Robert De Niro e Christopher Walken.
Tre amici, operai in un’acciaieria e cacciatori, partono per la guerra del Vietnam. L’esperienza stravolgerà per sempre le loro vite.
PERCHÉ VEDERLO
Strano a dirsi per un film di tre ore, ma Il cacciatore è fatto di piccoli dettagli, segni quasi impercettibili che ci danno il senso dell’essere born in the USA (come la canzone omonima di Bruce Springsteen che ne condivide tema e molto altro). Ritenuto erroneamente un film di guerra (le scene belliche occupano meno di un terzo della durata) è l’ennesimo grande affresco della provincia americana, supportato da uno dei cast più incredibili di sempre. Così bello da non poter essere ignorato dai ben più commerciali premi Oscar. Impossibile non emozionarsi, inevitabile commuoversi.
DOVE TROVARLO
OPAC Sondrio.
…E SE VI È PIACIUTO
Se ne parla come del primo titolo sul conflitto vietnamita, ed è quindi doveroso inserirlo nella filmografia essenziale sull’argomento, con Apocalypse Now (Francis Ford Coppola, 1979) e Full Metal Jacket (Stanley Kubrick, 1987). E non dimenticate di ascoltare Springsteen! Ma non per questo il “folle” Michael Cimino merita di essere trascurato: il successivo I cancelli del cielo (1980), mastodontico racconto di una vicenda storica di lotta di classe nel Far West, merita di essere visto, ma solo se lo trovate nella versione integrale.
L’ALBERO DEGLI ZOCCOLI
(Italia, 1978; col., 186’) di Ermanno Olmi. Con Luigi Ornaghi e Francesca Moriggi.
Fine Ottocento. In una cascina di Palosco, in provincia di Bergamo, seguiamo le storie di quattro famiglie di braccianti agricoli.
PERCHÉ VEDERLO
Di derivazione neorealista, il cinema di Ermanno Olmi è impregnato di consapevolezza, poesia e un pizzico di nostalgia. Povertà e miseria, certo, ma anche dignità e solidarietà trovano posto in questo capolavoro assoluto, interpretato da attori non professionisti che recitano in dialetto bergamasco. Per assurdi pregiudizi e antico retaggio familiare, l’ho visto per la prima volta a quarant’anni suonati. Voi non fate come me e guardàtelo prima. E se già l’avete visto, beh: riguardàtelo.
DOVE TROVARLO
OPAC Sondrio.
…E SE VI È PIACIUTO
Per un quadro completo, abbinatelo a Novecento (1976) di Bernardo Bertolucci. E se volete, leggete il memoriale Il tuo nome sulla neve (Gnanca na busia) di Clelia Marchi, scritto sulle lenzuola del corredo matrimoniale. Quanto a Olmi, fate attenzione, perché non tutti i titoli sono valevoli: con Torneranno i prati (2014), però, andrete sul sicuro.
Mattia Agostinali