Charles Darwin sostiene che l’uomo si sia sviluppato grazie alla capacità di adeguare le proprie competenze anche nelle situazioni più aleatorie. Su questo concetto infatti verte la teoria della sopravvivenza delle specie. “Non saranno le specie più forti a sopravvivere, ma quelle che si sapranno adattare meglio alle condizioni ambientali”, sosteneva lo scienziato. Ergo, questi fattori che caratterizzano la specie umana sin dall’origine dei tempi ci qualificano e ci distinguono dagli altri esseri viventi. Tuttavia non dobbiamo dimenticare dove può spingerci questa nostra peculiarità. La capacità di adattarsi alle situazioni è spesso legata a doppio filo con la ricerca della felicità – proprio quella tanto celebrata dalla costituzione americana ma che purtroppo non viene sempre garantita, e che anzi viene frequentemente edulcorata da frasi buoniste prive poi di sbocchi concreti, né di operazioni che possano contribuire a sopperire delle grosse lacune e penurie da parte dello Stato.
La ricerca della felicità è un diritto imprescindibile dell’uomo; ognuno di noi deve avere la libertà di esprimersi e di realizzarsi all’interno della società come meglio crede o desidera. L’unico limite deve essere il rispetto dei diritti degli altri. Noi viviamo in una società collettivistica, dove è necessario che i comportamenti dei singoli non invadano gli spazi altrui incrementando una maturazione ed uno sviluppo collettivo e omogeneo, ed è necessario non intaccare la libertà del prossimo. Tuttavia l’uomo spesso si lascia abbindolare e trasportare dalla circostanza pur di raggiungere la propria felicità. Per esempio quando dà origine ai conflitti, alle dispute, ai genocidi, alle stragi; queste hanno quasi sempre avuto la medesima origine: il denaro. La prosperità, il benessere e il potere sono sempre stati agognati e divinizzati dall’intera umanità, ma saranno davvero quei veicoli attraverso potremo ambire alla felicità? Questo tabù sorge sin dalla coniazione della prima moneta, in Asia Minore nel 685 a.C. Ma la ricerca della felicità vera e propria si realizza davvero attraverso un mero accumulo di ricchezze e di averi? Siamo davvero sicuri che le vere necessità di una persona vengano appagate tramite il consumismo o l’ostentazione?
La cultura giovanile del nuovo millennio tende a esaltare particolarmente questa mentalità, che si vivifica divampando come benzina infuocata. L’ardore di questa fiamma è sempre alimentato dai media che propongono come modello di persona realizzata quella che riesce a imporsi sul mondo sociale e che si arricchisca a dismisura anche a costo di sacrificare gli altri. Ebbene: potrebbe essere così, come lo è stato per molte persone nella storia che hanno annegato le proprie giornate nell’edonismo e nell’ostentazione. Tuttavia si tratta di una sete inestinguibile.
La tendenza all’accumulo e quella di tagliare dei traguardi sempre più ardui si uniscono, in un corridoio lungo e sempre più stretto. Questo perché non ci si sente mai sufficientemente appagati dai propri risultati e si tenta di andare oltre alle proprie capacità senza mai godersi i traguardi raggiunti, finendo spesso per restare soli e comprimersi nella propria vita lavorativa. La cultura del denaro sorge anche dai ghetti, dalla plebe, dalle baraccopoli – dove l’unica cosa che conta è la sopravvivenza accontentandosi del minimo indispensabile. Non di rado accade infatti che le persone più generose, paradossalmente, siano anche quelle meno benestanti. Ciò si verifica perché questi soggetti possiedono una concezione diversa, e probabilmente anche più genuina, della ricerca della propria felicità.
Sicuramente i soldi sono indispensabili per poter vivere una vita tranquilla dove ci si possa sentire bene e a proprio agio con il mondo e con sé stessi, ma sarà forse vero che la pecunia non distragga semplicemente le persone con il suo canto ammaliante di sirena per poi inghiottirle come avvenne per i marinai di Ulisse? Un tempo la priorità del lavoro era quella di garantirsi una paga con la quale sopravvivere, ora l’obiettivo primario non è più quello dell’autosostentamento ma quello, appunto, dell’accumulo. Il fine ultimo degli sforzi e dei sacrifici compiuti da un individuo nell’arco della propria vita non ha più il proprio baricentro più nei sogni, ma nel mondo concreto. Prima si desiderava diventare un astronauta per la pura passione di poter viaggiare nello spazio e scoprire orizzonti mai scrutati prima, e non per lo stipendio che gli spetterebbe. Si è verificato un capovolgimento degli scopi ultimi, probabilmente anche perché la società ci propone come modello di figura realizzata e felice quella che ci viene perpetuamente propinata dalla televisione.
Forse anche perché le persone ricche e potenti vengono invidiate e si beano di effimeri piaceri che, seppur limitati, sono molto apprezzati dal palato dell’uomo che si lascia coinvolgere e pervadere da queste lussurie cui frutti sono molto graditi.
Spezzare questo tabù significherebbe indirizzare l’umanità verso uno dei binari possibili su cui corre il treno delle nostre società. Risulta chiaro che un umile giornalista in erba non possa aver la presunzione di definire precisamente quali siano i palinsesti che una persona si debba porre per raggiungere la propria felicità; ed il denaro è solo una delle eventuali vie percorribili. Gli edonisti appunto hanno creato un’apposita corrente filosofica improntata su questo ma il punto cruciale e nevralgico è che l’uomo è unico per sua natura quindi avrà delle proprie idee, ambizioni e sogni. Il libero arbitrio e la libertà sono gli unici mezzi su cui improntare il proprio futuro e su cui incanalare le proprie energie e il proprio futuro. La cupidigia induce spesso a perdere di vista questo aspetto che, per quanto scontato, risulta quello che spesso viene “seppellito sotto il tappeto” per la comodità di ripulire la nostra testa da qualsiasi cosa noi riteniamo secondario pur di poterci focalizzare al massimo sull’obiettivo finale di raggiungere la nostra felicità.
Sta quindi a noi doverci districare in questo labirinto di opportunità e di scelte che, seppur siano miriadi e spesso ci sanno indurre ad uno stato di irresolutezza, sono cruciali per vivere ogni giorno la vita nel modo migliore per noi stessi.
Forse su questo dovremmo avere il parere di noi stessi da bambini, privi di contaminazioni di qualsiasi tipo e con una sovrabbondanza di fantasia, semplicità e di purezza. Forse solo loro saprebbero davvero quali sarebbero le porte più adatte a noi da varcare quando ci troviamo davanti a più scelte. Forse loro sì che saprebbero rispondere meglio di me a quale sia veramente la ricerca della felicità e quanto il denaro sia rilevante e primario per l’ottenimento di questo fine. Forse dovremmo restare tutti per una piccola percentuale piccoli – perché loro riescono a raggiungere la felicità in un modo talmente semplice che spesso ci appare quasi stupido?
Più che il denaro, forse, serve altro.
Forse l’amore? Se solo i bambini ci sapessero insegnare il segreto della loro ingenua felicità…
Dario Bartolucci Lupi