Tra forma e sostanza delle nostre battaglie ideologiche
Il mese scorso ho dibattuto a lungo con un’amica per quanto riguarda il rifiuto della Uefa d’illuminare lo stadio di Monaco, in occasione della partita Germania-Ungheria del 23 giugno 2021. Il sindaco di Monaco aveva fatto questa richiesta per sottolineare il sostegno da parte della Germania al movimento LGBTQ+, ponendo l’accento sulle politiche discriminatorie del governo ungherese. Il rifiuto dell’Uefa ha portato all’indignazione dell’Europa benpensante, che ha contestato la neutralità (vera o presunta) dell’organizzazione calcistica. È poi saltato fuori che il presidente della Uefa sia amico del miliardario ungherese Sandor Csanyi, membro dei comitati esecutivi di Uefa e Fifa e vicino al presidente Victor Orbán.
Gli Europei 2021 sono stati anche fronte di dibattito del movimento Black Lives Matter. Vi ricorderete come la nazionale italiana abbia ricevuto parecchie critiche per il fatto che non tutti si fossero inginocchiati, come forma di rispetto. Da un lato dimostra quanto il nostro paese sia spaccato tra razzisti e non razzisti. Dall’altro, abbiamo avuto la dimostrazione che la nazionale italiana avesse pensato al significato di ciò che faceva, e ha preferito lo scandalo all’ipocrisia.
Spesso viene da chiedersi se questi simboli rappresentino davvero un dibattito o siano solamente l’imposizione di una forma senza sostanza o contenuto. Se per protestare e portare avanti un’idea o un credo basta postare qualcosa di moralmente accettabile e mettere un bell’hashtag, siamo sicuri che le nostre battaglie ideologiche siano sentite? Le sfide all’ordine costituto sono davvero sfide, dato che non presuppongono alcun rischio o sacrificio individuale?
I simboli servono certamente portare avanti un’idea. Ma ci basta piazzare qualche hashtag qua e là per sembrare politicamente investiti senza cambiare niente della nostra vita? Come ha detto il Commissario Tecnico della Germania Joachim Low riguardo alla questione dello stadio di Monaco: “Sarei stato felice [se fosse stato illuminato], ma è importante che non spegniamo le luci con i nostri comportamenti. L’importante è vivere questi valori”.
Il dominio dei tabù morali imposti dal politicamente corretto ci ha portato al conformismo morale in cui ci basta sapere come bisogna comportarsi, cosa bisogna dire, che pronomi bisogna usare etc. etc. Il nostro modo di esprimersi a livello formale è messo sotto inchiesta, e noi ci adeguiamo e ci adegueremo. Ma se il movimento parte sul piano formale, allora anche le risoluzioni saranno sul piano formale. Useremo gli asterischi alla fine delle parole, ci inginocchieremo nelle manifestazioni pubbliche e faremo i minuti di silenzio. Ma i simboli non bastano. Sul piano personale di tutti i giorni vanno portate avanti le nostre convinzioni, sempre che le abbiamo. I grandi gesti passano sui media e ci fanno fare bella figura, ma per raggiungere dei veri obbiettivi bisogna operare un cambiamento su di noi. Bisogna smettere di evidenziare il comportamento di una persona solo perché lesbica, marocchina o albanese; bisogna discutere con i nostri parenti i nostri amici che prendono in giro chi è già preso in giro dalla società intera, soprattutto se abbiamo il privilegio di farlo senza essere giudicati a prescindere a nostra volta. E bisogna accettare che nonostante gli hashtag e le bandiere della pace, chi sta dietro la discriminazione siamo noi, tutti i giorni.
Lucia Bertoldini